Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1438 del 25/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 25/01/2021), n.1438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15205/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

I.PE.M. – INDUSTRIA PETROLI MERIDIONALI SPA, rappresentata e difesa

dall’avv. Fulvio Neri, elettivamente domiciliata presso il suo

studio in Roma, via Archimede, n. 116.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione n. 23, n. 105/23/12,

pronunciata il 22/04/2011, depositata il 20/04/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 01 dicembre 2020

dal Consigliere Riccardo Guida.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale De Matteis Stanislao, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’avv. Pasquale Pucciarello l’Avvocatura Generale dello Stato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.PE.M. – Industria Petroli Meridionale S.p.a. impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brindisi l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRPEG e ILOR, per l’annualità 1997, oltre a costi non inerenti e a costi ritenuti non di competenza di quell’annualità, per quanto tuttora rileva, l’ammortamento anticipato (nella misura di lire 1.488.603.000) dei costi di realizzazione di un nuovo impianto di stoccaggio, in ragione della mancata iscrizione a ricavo tassabile, nell’esercizio di incasso, della prima rata del contributo ricevuto ai sensi della L. 19 dicembre 1992, n. 488.

2. La C.T.P. di Brindisi accolse il ricorso, con sentenza (n. 35/02/2004) confermata dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, la quale, con la sentenza menzionata in epigrafe, nel contraddittorio della contribuente, ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate, rilevando che: (a) la società aveva correttamente imputato a debito il contributo statale, inizialmente concesso in via provvisoria e concesso in via definitiva soltanto con decreto del 24/08/2000, dopo che il competente ministero aveva verificato la tipologia dell’intervento e le sue modalità attuative; (b) a prescindere dalle condizioni contrattuali, la società aveva applicato la disciplina degli ammortamenti, ossia l’art. 67, t.u.i.r., che consentiva un ammortamento anticipato doppio nell’esercizio (nella specie si tratta del 1997) in cui i beni erano entrati in funzione; (c) per i contributi in conto capitale, invece, l’art. 55, t.u.i.r., nella formulazione vigente nel 1997, prevedeva l’accantonamento del 50% del contributo a riserva e l’imputazione a ricavo del 50% residuo in quote costanti nell’esercizio in corso e nei successivi quattro esercizi; (d) l’ufficio aveva applicato, testualmente (cfr. pag. 4 della sentenza) una norma entrata in vigore solo a partire dal 1/01/1998.

3. L’Agenzia ricorre per cassazione con due motivi; la società ha depositato il controricorso e una memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

a. Preliminarmente va disattesa l’eccezione della società d’improcedibilità del ricorso per cassazione per violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per omesso deposito, nella cancelleria della Corte, degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda.

Come chiarito dalle sezioni unite: “per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 25, comma 2, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poichè detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato alla trasmissione alla S.C. ex art. 369 c.p.c., comma 3, a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte” (Cass. sez. un. 03/11/2011, n. 22726; conf.: Cass. 30/09/2020, n. 20840; 30/11/2017, n. 28695; 25/03/2015, n. 6021; 24/07/2014, n. 16813).

Nella specie, la difesa erariale, che presentò istanza di trasmissione ex art. 369 c.p.c., comma 3, non aveva alcun onere di produrre nuovamente i documenti contenuti nei fascicoli di parte nel giudizio di merito.

1. Con il primo motivo del ricorso (“1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 55, comma 3, lett. b), del TUIR nonchè della L. n. 488 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia premette che la società ha considerato il decreto di concessione provvisoria del contributo del 1996 come sottoposto a condizione sospensiva e, quindi, insuscettibile di produrre alcun effetto fiscale fino alla concessione definitiva, vale a dire fino al decreto del 24/08/2000, e che, per tale ragione, ha iscritto come “acconti” le rate di contributo incassate; per converso, l’Amministrazione finanziaria, senza contestare il carattere “provvisorio” della concessione del contributo (perchè tale è la definizione che ne dava il decreto di concessione), aveva precisato che la concessione del contributo era sottoposta a condizione risolutiva e non sospensiva, sicchè gli effetti del decreto di concessione si producevano immediatamente.

Indi, l’ufficio censura la sentenza impugnata per non avere considerato la rata di contributo incassata dalla società nel 1997 come una sopravvenienza attiva, che concorreva a formare il reddito tassabile secondo il principio di cassa, come previsto dall’art. 55, comma 3, lett. b), t.u.i.r., nella formulazione ratione temporis vigente.

2. Con il secondo motivo (“2) Omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5”), l’Agenzia critica la sentenza impugnata per avere del tutto trascurato la questione, decisiva, della natura della condizione, sospensiva o risolutiva, cui era sottoposta la concessione del contributo. Ribadisce, al riguardo, che l’A.F. aveva ritenuto che la concessione del contributo fosse sottoposta a condizione risolutiva e non sospensiva, sicchè gli effetti del decreto di concessione si producevano immediatamente, e, proprio in virtù di tale presupposto giuridico, aveva conseguentemente qualificato il contributo come sopravvenienza attiva, suscettibile di tassazione secondo il criterio di cassa.

3. Il primo motivo è fondato e il secondo motivo è assorbito.

E’ ius receptum della Corte, al quale d collegio intende aderire, che: “In tema di determinazione del reddito di impresa, le somme corrisposte per effetto del decreto di “concessione provvisoria” del contributo di cui al D.L. 22 ottobre 1992, n. 415, convertito nella L. 19 dicembre 1992, n. 488, costituiscono sopravvenienze attive, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 3, lett. b), – per il quale sono considerati tali i proventi in denaro corrisposti a titolo di contributo, esclusi quelli per l’acquisto di beni ammortizzabili -, e non, invece, debito nei confronti dell’ente erogatore, in quanto il provvedimento indicato, determinando a norma del D.M. 20 ottobre 1995, n. 527, art. 7 l’impegno dell’importo dell’agevolazione da parte del Ministero competente, già costituisce la fonte del diritto di credito per il beneficiario, e non, più limitatamente, l’assenso all’erogazione di una parte del contributo anteriormente al sorgere del diritto di credito” (Cass. 12/10/2012, n. 17522; in senso conf.: Cass. 20/07/2018, n. 19430).

La C.T.R., discostandosi da questo principio di diritto, ha ritenuto corretta l’imputazione a debito della prima rata del contributo, sul presupposto della sua erogazione provvisoria, senza considerare che la rata del contributo ministeriale doveva essere qualificata come sopravvenienza attiva, che concorre a formare il reddito nell’esercizio di incasso, conformemente all’art. 55, comma 3, lett. b), t.u.i.r., (in tema di redditi d’impresa), ratione temporis vigente, in base al quale: “3. Sono inoltre considerate sopravvenienze attive: (…) b) i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui all’art. 53, comma 1, lett. e) e f). Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto; tuttavia il loro ammontare, nel limite del 50 per cento e se accantonato in apposita riserva, concorre a formare il reddito nell’esercizio e nella misura in cui la riserva sia utilizzata per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio o i beni ricevuti siano destinati all’uso personale o familiare dell’imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”.

4. Ne consegue che, accolto il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, la sentenza è cassata, con rinvio alla C.T.R. della Puglia, sezione staccata di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2021

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