Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1438 del 23/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1438 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: D’ASCOLA PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso 11935-2010 proposto da:
Societa’ INFISUD s.r.l. (gia’ Edilco s.r.1.) P.IVA
00625900881, in persona dell’Amministratore Unico,
Fabio Micca, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA M.
DIONIGI 43, presso lo studio dell’avvocato PUGLISI
GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato
2013

SCHININA’ GIAMBATTISTA;
– ricorrente –

2143

contro

CONDOMINIO “AGENTI DI COMMERCIO” sito in Via PIETRO
NENNI n. 83 – RAGUSA C.F. 92016830884, in persona del

Data pubblicazione: 23/01/2014

0

suo amministratore e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIO
CESARE 95, presso lo studio dell’avvocato RITA BRUNO,
rappresentato e difeso dall’avvocato LICITRA CECILIA;
– controricorrente –

di CATANIA, depositata il 28/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/10/2013 dal Consigliere Dott. PASQUALE
D’ASCOLA;
udito l’Avvocato GIUSEPPE LA SPINA con delega
dell’Avvocato CECILIA LICITRA difensore del resistente
che si e’ riportato al controricorso ed alla memoria
depositata;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 1443/2009 della CORTE D’APPELLO

Svolgimento del processo
Il Condominio Agenti di Commercio di via Nenni 83 in Ragusa nel
novembre 2000 chiedeva e otteneva dal locale tribunale la condanna
della Edilco srl, società costruttrice del fabbricato
condominiale, all’eliminazione di infiltrazioni d’acqua piovana

8.105,22 euro ex art. 1669 c.c. e al rimborso di quanto speso per
il collaudo dell’ascensore.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 28 ottobre 2009,
rigettava il gravame interposto dalla Infisud srl, incorporante
1′ Educo.
La Corte confermava la sussistenza della legittimazione attiva del
Condominio; la inammissibilità e comunque l’infondatezza delle
eccezioni di prescrizione e decadenza della pretesa ex art. 1669
cc; la gravità dei difetti denunciati; la sussistenza del diritto
al rimborso delle spese di collaudo, anticipate dalla parte
committente, con comportamento secondo buona fede, a fronte
‘ dell’inerzia dell’appaltatrice.
Infisud srl ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 22
aprile 2010, svolgendo dieci motivi.
Il condominio ha resistito con controricorso.
All’udienza del 27 gennaio 2012, in vista delle,. quali le parti
avevano depositato memorie, la causa veniva rinviata per acquisire
autorizzazione assembleare all’amministratore del Condominio a
resistere all’impugnazione.

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nella zona garage e ascensore o in alternativa al pagamento di

Eseguito l’adempimento, è stata depositata nuova memoria di parte
resistente.
Il collegio ha deliberato la redazione di sentenza in forma
semplificata.
Motivi della decisione

territoriale abbia ritenuto il Condominio legittimato ad agire per
il risarcimento dei danni di cui si discute; in particolare
lamenta violazione degli artt 1130 e 1131 c.c. perché sarebbe
stata affermata una inesistente soggettività giuridica del
Condominio.
La doglianza non può essere accolta. Pur con qualche frettolosità
espositiva, che va emendata nell’esercizio del potere correttivo
del giudice di legittimità, la Corte di appello non ha inteso
affermare che il Condominio in quanto tale sia proprietario
dell’immobile o soggetto giuridico autonomo, ma ha sottolineato
che il Condominio ha titolarità dell’azione ex art. 1669 c.c. ed
ha richiamato la giurisprudenza su detta norma, nella parte in cui
consente al terzo proprietario compratore, e non solo al
committente, di agire verso l’appaltatore.
E’ da intendere che tale potere compete al condominio in quanto
rappresentato dall’amministratore, come pacificamente riconosciuto
dalla giurisprudenza di legittimità, la quale insegna che: la
legittimazione dell’amministratore derivante dall’art. 1130, primo
comma, n. 4, cod. civ. – a compiere gli atti conservativi dei
diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio – gli consente di
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2) Con il primo motivo parte ricorrente si duole che la Corte

promuovere azione di responsabilita’, ai sensi dell’art. 1669 cod.
civ. nei confronti del costruttore a tutela dell’edificio nella
sua unitarieta’ (Cass.22656/10; 23693/09; 167484/06).
3) E’ infondato anche il secondo motivo,

con il quale il ricorso

lamenta che la legittimazione del condominio sia stata fatta

in forza di assegnazione degli alloggi ai soci avvenuto nel 1995.
Rileva che lo scioglimento della cooperativa è avvenuto nel 1997;
l’estinzione della società c000perativa il 13 maggio 1999, cioè
dopo l’assegnazione dei beni e il sorgere del condominio, e che al
momento della cessazione delle cooperativa il contratto di appalto
aveva esaurito i suoi effetti e il condominio non poteva
subentrarvi.
Richiamato quanto sopra osservato in ordine alla legittimazione,
puntualmente esercitata dell’amministratore, la Corte deve qui
rilevare che il presupposto stesso della censura è infondato. Va
infatti riconosciuta agli acquirenti degli immobili, che possono
farlo tramite il condominio e il suo amministratore per quanto
concerne i danni subiti dalle parti comuni, il diritto di agire,
nel termine lungo previsto dall’art. 1669 c.c., nei confronti sia
dell’appaltatore (come nella specie) sia della cooperativa
costruttrice dell’immobile stesso, che si sia avvalsa di un
appaltatore (cfr Cass. 16202/07).
La sorte della Cooperativa non provoca quindi il venir meno dei
diritti degli assegnatari divenuti proprietari degli alloggi.
Nella specie ogni doglianza è poi vana anche perché risulta dalla
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discendere dal subentro dello stesso alla Cooperativa appaltante,

sentenza impugnata che i fenomeni dannosi si sono manifestati nel
settembre 1999 e l’azione è stata introdotta nel 2000, sicchè a
quel tempo non vi poteva essere dubbio alcuno sulla attribuzione
della legittimazione attiva e passiva delle parti oggi in causa.
4) I motivi immediatamente successivi concernono le eccezioni di

Dette eccezioni sono state rigettate sulla base di una doppia
ratio decidendi:

sono state ritenute inammissibili, perché

sollevate genericamente nei termini fissati dal regime preclusivo
di cui agli artt. 180 e 183 cpc; infondate perché la contestazione
delle infiltrazioni era stata denunciata nel febbraio 2000 e la
loro manifestazione era avvenuta nel settembre 1999, secondo la
data indicata da parte attrice e ritenuta dalla Corte di appello
non contestata.
4.1)11

terzo motivo

denuncia violazione degli artt. 1362 e 1363

c.c. perché la Corte di appello non avrebbe indagato sulla volontà
della parte eccipiente e non avrebbe compreso che il richiamo alla
decadenza e prescrizione doveva essere letto alla luce della
circostanza che il collaudo era avvenuto nel 1995, quattro anni
prima, come era stato chiesto di provare, nonché delle
precisazioni contenute in sede di conclusioni, nellZ qual‘ era
stato dedotto che le infiltrazioni risalivano all’anno 1996,
“oltre cinque anni prima la data del sopralluogo”.
La censura è manifestamente infondata.

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prescrizione e decadenza sollevate da parte convenuta.

Le

deduzioni

definitivamente

sopra

riportate

confermano,

la

non

smentiscono,

genericità

delle

ma

anzi

eccezioni

sollevate.
La data del collaudo non dà di per sé corpo all’eccezione, perché
non vale a far retroagire la data di scoperta dei danni ex art.

successo perché i difetti della costruzione non sono ancora emersi
nella loro evidenza rilevante.
Inoltre la circostanza (relativa alla data di manifestazione dei
guasti) esposta solo in conclusioni conferma che nel termine
/
i
preclusivo,
ritenuto determinante dalla Corte di appello,
l’eccezione era stata formulata in modo talmente vago, cioè senza
allegare gli indispensabili elementi costitutivi (SU 10955/02;
21321/05), da giustificare il rilievo dei giudici di appello.
4.2) Il quarto motivo assume che in violazione dell’art. 156 c.pc.
la Corte d’appello avrebbe rilevato tardivamente l’inammissibilità
dell’eccezione,

sebbene vi

fosse stata sul punto tacita

accettazione del contraddittorio.
La censura è infondata, atteso che il regime di preclusioni
introdotto nel rito civile ordinario riformato deve ritenersi
inteso a tutela non solo dell’interesse di parte, ma anche
dell’interesse pubblico al corretto e celere andamento del
processo, con la conseguenza che la decadenza per il mancato
rispetto, da parte del convenuto, del termine perentorio, di cui
all’art. 180, secondo comma, cod. proc. civ., per la proposizione
delle eccezioni processuali e di merito, deve essere rilevata
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p

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1669 c.c., trattandosi di attività che può ben avvenire con

d’ufficio

dal

giudice,

indipendentemente

dall’atteggiamento

processuale della controparte al riguardo.
Inoltre

l’esame,

in

sede

d’impugnazione,

di

questioni

pregiudiziali o preliminari, rilevabili d’ufficio, resta precluso
per effetto del giudicato interno formatosi sulla pronuncia che

pronuncia che, nel provvedere su alcuni capi della domanda, abbia
necessariamente statuito per implicito sulle medesime, onde tale
preclusione non si verifica quando il capo della sentenza
comportante, con una decisione di merito, la definizione implicita
di questioni pregiudiziali o preliminari sia investito dalla
impugnazione, ancorche’ limitatamente alla detta pronuncia di
merito.

Deve pertanto escludersi che possa dirsi formato il

giudicato implicito sull’ammissibilita’ dell’eccezione di
prescrizione – tale da precludere, in sede di appello, 11 rilievo
officioso della contraria inammissibilita’ di questa eccezione
(nella specie proposta tardivamente, oltre il termine perentorio
assegnato al convenuto ai sensi dell’art. 180, secondo comma, cod.
proc. civ.) – allorche’ la sentenza di primo grado, la quale abbia
provveduto, denegandolo, sul fondamento nel merito di una simile
eccezione, senza peraltro statuire espressamente sull’anzidetta
ammissibilita’, sia stata impugnata in secondo grado per ragioni
di merito.
Le due massime, da condividere, sono estratte da Cass. 11318/05,
che, al contrario di quanto si sostiene in ricorso, è stata
appropriatamente citata dal giudice di appello, giacchè la
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abbia esplicitamente risolto tali questioni, ovvero sulla

formulazione inidonea, in comparsa di risposta, delle eccezioni di
cui si tratta si risolveva nella tardività della loro formulazione
successiva e di quanto in proposito già discusso ed esaminato a
proposito del terzo motivo.
5)Non sussiste quindi, sul punto, il vizio di insufficiente

6) Il sesto e settimo motivo, relativi alla fondatezza nel merito
delle eccezioni di prescrizione e decadenza, restano assorbiti.
7) Con l’ottavo motivo è censurata, per difetto di motivazione, la
parte della sentenza che ha affermato la sussistenza dei vizi.
Va subito detto che, contrariamente al vero, nella parte finale
del motivo si deduce che nulla la Corte d’appello avrebbe “detto”
in ordine alle doglianze dell’atto di appello riportate in
ricorso,

doglianze che riguardavano soprattutto la gravità dei

difetti.
Nel terzo capoverso della pag. 6 della motivazione, la gravità è
stata invece riaffermata facendo riferimento alla sentenza di
primo grado e ai precedenti giurisprudenziali ivi citati.
Nei due precedenti capoversi la Corte di appello ha dato
esaurientemente conto della natura dei vizi e della loro
imputabilità all’impresa, individuandoli nella mancata esecuzione
di un vespaio di isolamento e nel difetto di impermeabilizzazione
dei giunti,

nonché sul giudizio espresso dal consulente,

necessariamente indiziario.

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motivazione denunciato con il quinto motivo.

Il ricorso contesta questa valutazione, citando alcune espressioni
della stessa consulenza di ufficio che potevano far dubitare
delle ipotesi formulate dall’architetto consulente.
Trattasi di rilievo inammissibile laddove implica una nuova
valutazione di merito in sede di legittimità: non si tratta

degli elementi riportati dal consulente e che, nonostante la loro
esistenza, non lo hanno dissuaso dal suo complessivo convincimento
circa la configurabilità dei difetti stessi e la loro ovvia
imputabilità all’impresa costruttrice.
Il fatto che la mancata impermeabilizzazione dei giunti sia stata
indicata come “altamente probabile” – e non come certa – nulla
toglie alla legittimità della finale valutazione complessiva del
giudice di merito, che è congrua e logica se si basa sulla
conforme opinione del consulente, il quale necessariamente deve
esprimersi in termini probabilistici su fenomeni non percepibili
direttamente.
8) Il

nono motivo concerne il rimborso delle spese

(circa 619

euro) per il collaudo dell’ascensore, che la Corte ha riconosciuto
a parte attrice, negando che con la consegna dell’opera appaltata
e il collaudo della stessa la Cooperativa (e quindi il Condominio)
avesse rinunciato a far valere l’obbligo dell’appaltatore di
collaudare il macchinario.
Secondo parte ricorrente, la Corte d’appello avrebbe indebitamente
evocato in proposito il principio di buona fede sancito dall’art.
1176 c.c., perché in tal modo sarebbe incorsa in violazione
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infatti di risultanze trascurate o misconosciute, ma di una parte

dell’art. 112 c.p.c. per avere pronunciato su “eccezioni e difese”
non sollevate dal Condominio.
La tesi è ardita e priva di pregio.
La sussistenza di comportamento secondo buona fede non costituisce
infatti eccezione rilevata arbitrariamente d’ufficio, ma è

e dunque il pregio dell’eccezione sollevata dall’appellante. In
tal modo è stato spiegato, con inquadramento giuridico corretto,
per qual motivo la scelta dell’appaltante, che aveva preferito
procedere al collaudo complessivo del fabbricato e accettare la
consegna dell’opera anziché rifiutarla per la modesta mancanza di
collaudo dell’ascensore ,non comportava rinuncia al diritto.
Né rileva, come si dice in ricorso, che la Cooperativa committente
avrebbe potuto accettare l’opera con una specifica riserva in
ordine all’ascensore. La possibilità di questa condotta non
implica di per sé che l’omissione di riserva valga a dismettere la
pretesa di esigere un ascensore collaudato e non comporta quindi
la violazione – unica lamentata – degli artt. 112 c.p.c. e 1176
c.c.
L’ultimo motivo, sempre concernente questa spesa per ascensore, è
inammissibilmente formulato. Nell’addebitare i ritardi nel
conseguimento della certificazione non alla propria “perdurante
inerzia” (espressione usata in sentenza), ma ai ritardi
dell’istituto pubblico competente, parte ricorrente sostiene che
vi sarebbe un difetto di motivazione della sentenza, che non

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argomento giuridico utile per valutare la condotta dell’appaltante

avrebbe spiegato perché abbia attribuito all’appaltatore atti che
erano di competenza dell’ente.
Poiché dalla sentenza (che parla genericamente di irrilevanza dei
motivi dell’inerzia) non risulta posta la questione dell’addebito
a un terzo della responsabilità dell’omesso conseguimento della

(Cass. 23675/13; 20518/08), avrebbe dovuto riferire i termini
esatti con i quali essa era stata posta in sede di primo e secondo
grado.
Inoltre, poiché l’obbligo di conseguire le certificazioni degli
impianti

installati

fa

parte

del

dovere

che

incombe

sull’appaltatore, il ricorso avrebbe dovuto almeno indicare le
risultanze documentali – trascurate in sentenza – che attestavano
la colposa condotta dell’istituto e quindi la diligenza della
ricorrente nel fare tempestivamente tutto quanto in proprio potere
per conseguire le certificazioni.
Nulla di tutto ciò è esposto in ricorso, ditalchè il vizio di cui
all’art. 360 n. 5 c.p.c. non è in alcun modo configurabile.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna
alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in
relazione al valore della controversia.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle
spese di lite liquidate in euro 2.500 per compenso, 200 per
esborsi, oltre accessori di legge.
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certificazione, la censura, per sfuggire al rilievo di novità

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della seconda
sezione civile tenuta il 22 ottobre 2013
Il Presidente

Il Consigliere est.

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