Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14379 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2010, (ud. 08/02/2010, dep. 15/06/2010), n.14379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello

Stato e domiciliata presso i suoi uffici in Roma Via dei Portoghesi

12;

– ricorrente –

contro

T.C.E.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 70/29/05 della Commissione tributaria

regionale di Milano, emessa il 8 aprile 2005, depositata il 26 aprile

2005, R.G. 4251/04;

udita la relazione della causa svolta all’udienza dell’8 febbraio

2010 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Fabrizio Urbani Neri per il ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha per oggetto l’impugnazione, da parte del contribuente T.C.E.P., del silenzio rifiuto opposto alla sua richiesta di rimborso dell’IRAP corrisposta negli anni dal 1998 al 2000 in relazione alla attività di conduttore televisivo, speaker e autore di programmi, svolta senza l’ausilio di collaboratori e senza l’impiego di attrezzature di rilevante valore.

La C.T.P. di Milano ha accolto il ricorso ritenendo provate le circostanze dedotte dal contribuente per dimostrare l’assenza di una organizzazione autonoma della sua attività professionale.

La C.T.R. ha confermato la decisione.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a due motivi di impugnazione.

Non svolge difese il contribuente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 144, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27, 36. Secondo l’Agenzia ricorrente è erronea l’interpretazione recepita dalla C.T.R. secondo cui va esclusa dall’imposizione IRAP l’attività artistica o professionale non autonomamente organizzata a livello materiale.

Il motivo è infondato. Coerentemente alla pronuncia della Corte costituzionale (n. 156/01) la C.T.R. ha riscontrato il carattere “reale” dell’I.R.A.P. che comporta l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate e ha contestato, fondatamente, la tesi dell’ufficio secondo cui dalla pronuncia della Corte costituzionale deve trarsi il principio della soggezione di tutti i lavoratori autonomi.

Con il secondo motivo si deduce la omessa, illogica ed incoerente motivazione su un punto decisivo della controversia. Secondo l’Agenzia delle Entrate tra i requisiti caratterizzanti le prestazioni professionali appartenenti al mondo dello spettacolo debbono ritenersi assolutamente prevalenti l’impiego dell’intelligenza e del talento artistico che possono rendere inutile l’impiego anche di quantità minime di capitali o lavoro altrui mentre può essere sufficiente la capacità di ottenere contratti attraverso una estesa rete di relazioni e pubblicità.

Anche questo motivo è infondato. E’ infatti arbitraria la deduzione dell’Agenzia ricorrente, secondo cui, essendo nel lavoro artistico assolutamente prevalente l’apporto personale del talento artistico, diverrebbe pressochè irrilevante il requisito dell’organizzazione autonoma. La tesi è in palese contrasto con la giurisprudenza costituzionale citata e con l’indirizzo consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di IRAP, l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, postula che l’attività abituale ed autonoma del contribuente si avvalga di un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la sua capacità produttiva; non è invece necessario che la struttura organizzata sia in grado di funzionare in assenza del titolare, nè assume alcun rilievo, ai fini dell’esclusione di tale presupposto, la circostanza che l’apporto del titolare sia insostituibile per ragioni giuridiche o perchè la clientela si rivolga alla struttura in considerazione delle sue particolari capacità (Cass. civ. sez. 5^ n. 5011 del 5 marzo 2007). In altri termini, in tema di IRAP, anche alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, esclusi i casi di soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, non dev’essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. Essa è riscontrabile ogni qual volta il professionista si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, o impieghi nell’organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l’esercizio dell’attività, costituendo indice di tale eccedenza, fra l’altro, l’avvenuta deduzione dei relativi costi ai fini dell’IRPEF o dell’IVA, ed incombendo al contribuente che agisce per il rimborso dell’imposta indebitamente versata l’onere di provare l’assenza delle predette condizioni (Cass. civ. n. 3673 del 16 febbraio 2007).

L’Agenzia fa anche rimarcare che da interrogazioni all’anagrafe tributaria risulta che il contribuente ha definito le imposte in discussione ai sensi della L. n. 289 del 2002, e che pertanto è ormai precluso il riconoscimento del diritto al rimborso. Si tratta di una deduzione tardiva e che doveva essere documentata dall’Agenzia ricorrente al fine di far valere nei confronti del contribuente l’inammissibilità della sua richiesta di rimborso.

Il ricorso va pertanto respinto senza alcuna statuizione sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

 

 

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