Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14374 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 08/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 08/07/2020), n.14374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3780-2016 proposto da:

E.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AURELIANA

53, presso lo studio dell’avvocato CARLO BRUNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCO DE BONIS;

– ricorrente –

contro

CIEMME IMMOBILIARE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9,

presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA MASTROCOLA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROMINA RICCARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1332/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/08/2015, R.G.N. 8994/2012.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

che con sentenza n. 1332/2015, depositata in data 11 agosto 2015, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Velletri, ha respinto le domande di E.V. volte ad ottenere, nei confronti della Ciemme Immobiliare S.p.A., l’accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso dall’1/9/1996 al 20/9/2006 (con interruzione dal novembre 1998 all’aprile 1999), escluso il periodo già regolarizzato 3/2 – 30/6/1997, e il pagamento delle conseguenti differenze retributive;

– che, a sostegno della propria decisione, la Corte di appello ha rilevato: 1) che l’ E. era stato A.U. della società e che l’esercizio di tale carica era da ritenersi incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato; 2) che, in ogni caso, l’istruttoria non aveva confermato che il padre della socia di maggioranza, e A.U. della società successivamente all’ E., vi avesse effettivamente rivestito la qualità di amministratore di fatto e che l’appellato fosse sottoposto al potere direttivo, di controllo e disciplinare di quest’ultimo; – che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ E., con due motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito con controricorso la Ciemme Immobiliare S.r.l. (già Ciemme Immobiliare S.p.A.);

– che la società ha depositato documenti relativi all’ammissibilità del controricorso;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 36 Cost., artt. 2086,2094 e 2099 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata sia per avere ritenuto incompatibile la qualità di A.U. di una società con la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sia per non avere adeguatamente valutato il materiale probatorio e, in particolare, le risultanze delle dichiarazioni testimoniali;

– che con il secondo motivo, deducendo il vizio di motivazione nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 114,132 e 359 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere motivato in ordine al diritto alle mensilità supplementari e agli emolumenti di fine rapporto relativamente al periodo (dal 3/2/1997 al 30/6/1997) in cui esso era stato regolarizzato, nonostante che la relativa domanda fosse stata reiterata in grado di appello;

osservato:

preliminarmente che l’eccezione di nullità o di inammissibilità del controricorso, per non essere stato firmato nè manualmente nè digitalmente dal legale della società, deve essere disattesa alla stregua della documentazione depositata da quest’ultimo, avv. Romina Riccardi (“Asseverazione di conformità della copia cartacea dell’atto notificato in formato telematico via PEC” e relativi allegati), documentazione dalla quale risulta la sottoscrizione della stessa in calce all’elenco degli atti (ivi compreso il controricorso) notificati ad entrambi i difensori della controparte in formato digitale a mezzo posta elettronica certificata;

– che il primo motivo è inammissibile;

– che, infatti, anche ove potesse mettersi in discussione il principio, di cui la Corte ha fatto applicazione (e cioè quello della incompatibilità tra la carica di A.U. di una società e la contemporanea sussistenza, in capo al medesimo soggetto, della qualità di lavoratore subordinato alle dipendenze di essa: in tal senso Cass. n. 6819/2000), resta che la seconda ragione decisoria, di per sè autonomamente idonea a sostenere la pronuncia di rigetto delle domande, non risulta adeguatamente censurata, avendo il ricorrente svolto in proposito considerazioni unicamente dirette ad un diverso apprezzamento del merito della controversia, estraneo alla sede del giudizio di legittimità, e risultando altresì, e comunque, non trascritte le deposizioni testimoniali, di cui la Corte di appello avrebbe frainteso la reale portata dimostrativa;

– che, come ripetutamente precisato, “qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass. n. 2108/2012, fra le numerose conformi);

– che anche il secondo motivo è da ritenersi inammissibile, per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 non avendo il ricorrente riportato l’atto di appello nella parte in cui sarebbe stata reiterata la domanda (di pagamento, per il periodo regolarizzato, delle mensilità supplementari e degli emolumenti di fine rapporto) del cui omesso esame egli si duole;

ritenuto

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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