Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14373 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/06/2017, (ud. 13/10/2016, dep.09/06/2017),  n. 14373

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18964-2010 proposto da:

D.M.A., erede universale del Sig. D.D.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio

dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO COLAPINTO CARLO, rappresentata

e difesa dall’avvocato RAFFAELE D’INNELLA delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 64/2009 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 09/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per il controricorrente l’Avvocato GENTILI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.M.A., nella qualità di erede di D.D., propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, rigettandone l’appello, ha confermato la legittimità del diniego di definizione dei ritardati o omessi versamenti ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 bis per avere ella contribuente corrisposto solo la prima rata, rimanendo di conseguenza la sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13commisurata alle imposte non versate o versate in ritardo, come risultanti dal controllo della dichiarazione ai sensi del 600600/

art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis.

Il giudice d’appello ha ritenuto infatti, con riguardo alla sanatoria prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis che qualora il contribuente alle scadenze previste non versi integralmente o anche solo in parte gli importi dovuti in applicazione della norma decade dal beneficio per effetto del mancato perfezionamento della definizione, la quale si realizza solo se tutte le rate risultano versate alle scadenze e negli importi predeterminati. In mancanza di disposizione espressa, non è infatti possibile applicare a tale forma di definizione la regola, prevista per altre specie di condono, secondo cui la definizione si perfeziona con il pagamento della prima delle rate previste.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia “insufficiente motivazione in ordine all’eccepita nullità dell’intimazione (vale a dire del diniego) per difetto di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5″; con il secondo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000m, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 in ordine all’eccepita nullità del provvedimento di diniego per difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; con il terzo ed il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione, rispettivamente, della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis in ordine alla eccepita illegittimità del diniego impugnato, e dell’art. 16 bis, comma 1 bis medesima legge, introdotto dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 32, comma 7, convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2, postulandone un’applicazione “anche in contrasto con precedenti pronunce di questa Corte,” “che sostanzialmente equipari la fattispecie del condono previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis alle altre previste dalla stessa normativa”.

I primi due motivi del ricorso, che siccome strettamente connessi vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

Questa Corte ha affermato che “il diniego di condono è atto amministrativo che, come tale, deve essere assistito da idonea motivazione, la cui funzione è di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e di mettere il contribuente in grado di conoscere i motivi della decisione assunta con l’atto, al fine di consentirgli di decidere se impugnarlo o meno e di approntare idonea difesa” (Cass. n. 16724 del 2010).

Il giudice d’appello, esaminato l’atto impugnato nella sua funzione di provocatio ad opponendum, ha accertato che esso non incideva “sulla possibilità di concreto esercizio del diritto di difesa del contribuente, atteso che dall’esame dell’atto di diniego era facilmente desumibile tutto ciò che serviva per un’eventuale adeguata opposizione”.

E infatti il detto provvedimento di diniego di definizione, nella parte trascritta nel ricorso per cassazione, puntualmente chiarisce come “l’istanza di definizione dei ritardati od omessi versamenti di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 bis, comma 1 presentata in data… non si è perfezionata per i seguenti motivi: mancato perfezionamento degli esiti da condono per versamenti carenti”.

E’ infondato il terzo motivo, in quanto, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, “la definizione agevolata ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 biscomportante la non applicazione delle sanzioni relative al mancato versamento delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 dicembre 2002, e per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data, si perfeziona solo se si provvede all’integrale pagamento del dovuto nei termini e nei modi previsti dalla medesima disposizione, attesa l’assenza di previsioni quali quelle contenute negli artt. 8, 9, 15 e 16 medesima legge, che considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche senza adempimento integrale, e che sono insuscettibili di applicazione analogica, in quanto, come tutte le disposizioni di condono, di carattere eccezionale: in applicazione di questo principio, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, la quale, in relazione a sanzioni per omessi versamenti IRPEF, aveva affermato che il mancato pagamento di una o più rate successive alla prima determina non la totale inefficacia della domanda di definizione, ma solo il ripristino della sanzione limitatamente alle rate non versate” (ex multis, Cass. n. 21364 del 2011 e n. 19546 del 2011).

E’ infine infondato il quarto motivo.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che la L. n. 289 del 2012, art. 16 bis introdotto dal D.L. n. 185 del 2008, art. 32 “non giustifica un ripensamento del suddetto indirizzo di legittimità, ormai del tutto consolidato (da ultimo, ex plurimis, sentt. 21364/12, 10650/13, 23648/13, 23651/13, 1214/14, 455/14, 2027/14). Il fatto che il legislatore abbia esteso anche alle definizioni L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis le norme (volte a snellire e rendere più incisiva l’azione esattoriale) dettate per la riscossione dei debiti iscritti a ruolo ai sensi dell’art. 7, 8, 9, 15 e 16 stessa legge non incide sotto alcun profilo sulla questione della individuazione delle condizioni a cui l’art. 9 bis lega l’effetto estintivo dell’obbligazione di pagamento delle sanzioni. La portata dispositiva dell’art. 16 bis, comma 1 bis, infatti, si risolve esclusivamente nella estensione dell’operatività delle disposizioni di cui allo stesso art. 16 bis, comma 1, di agevolazione dell’azione esattoriale, anche alla riscossione delle somme dovute a seguito del mancato pagamento delle rate del condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis fermo restando che tali somme comprendono, oltre al residuo importo ancora eventualmente dovuto a titolo di imposta, anche l’importo delle sanzioni calcolate sull’intera obbligazione tributaria originaria” (Cass. n. 26566 del 2014, e quindi Cass. n. 20734 del 2016, entrambe in motivazione).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.200 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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