Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14372 del 14/07/2016

Cassazione civile sez. lav., 14/07/2016, (ud. 15/03/2016, dep. 14/07/2016), n.14372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8105/2011 proposto da:

D.P.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OVIDIO 10 (Studio Commercialista Rosati), presso la Dottoressa ANNA

BEI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI ADINOLFI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

CORTE DEI CONTI, C.F. (OMISSIS), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2789/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/05/2010 R.G.N. 2653/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato VITALE ANGELO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 2789 del 2010, accoglieva l’impugnazione proposta dalla Corte di Conti, nei confronti di D.P.A., avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale Napoli il 12-20 dicembre 2007, e per l’effetto rigettava la domanda del lavoratore.

Il Tribunale aveva accolto la domanda del D.P. dichiarando il diritto del ricorrente all’inclusione dell’assegno ad personam in misura pari alla quattordicesima mensilita’ nella retribuzione pensionabile spettante, con condanna della Corte dei Conti al pagamento di Euro 7.365,75, a titolo di differenze retributive, oltre accessori, ed alla rifusione delle spese di giudizio.

2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il D.P. prospettando sette motivi di ricorso.

3. Resiste la Corte dei Conti con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha prospettato i seguenti motivi di ricorso.

Con il primo motivo e’ dedotta violazione degli artt. 112, 327 e 424 c.p.c.. Vizio di extrapetizione. Violazione del diritto alla difesa.

La sentenza della Corte d’Appello e’ censurata in quanto il giudice di secondo grado non si sarebbe attenuto ai motivi di impugnazione.

1.1. Il motivo non e’ fondato.

Come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare (Cass., n. 2209 del 2016; n. 20652 del 2009) il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purche’ restino immutati il “petitum” e la “causa petendi” e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio.

Cio’ si e’ verificato nella fattispecie in esame, atteso che la Corte d’Appello ha proceduto alla ricostruzione giuridica delle condizioni legislative e contrattuali che devono sussistere per il riconoscimento delle indennita’ in questione, nell’ambito del thema decidendum come delimitato dalle parti e dei fatti di causa.

2. Con il secondo motivo di ricorso e’ dedotta omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5, in particolare sull’applicabilita’ dell’accordo del 13 maggio 2005. Violazione degli artt. 112, 327 e 424 c.p.c.. Vizio di extrapetizione. Violazione del diritto alla difesa.

Si censura la statuizione della Corte d’Appello che ha ritenuto non applicabile al ricorrente l’accordo 13 maggio 2002 Ipost poiche’ il lavoratore era ormai transitato nella Corte dei Conti e non aveva provato di avere effettuato la regolarizzazione contributiva prevista dall’accordo.

Assume il ricorrente che il giudizio verteva sulla conservazione stipendiale di tale voce e non sulla pensionabilita’ ed inclusione nella indennita’ di fine rapporto, per cui nessun onere di prova sussisteva a carico di esso lavoratore.

3. Con il terzo motivo di ricorso di deduce omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio- art. 360 c.p.c., n. 5, in particolare sulla inclusione della 14 mensilita’ nella indennita’ di fine rapporto. Violazione degli artt. 112, 327 e 424 c.p.c.. Vizio di extrapetizione. Violazione del diritto alla difesa.

Il ricorrente censura il richiamo effettuato dalla Corte d’Appello ai principi enunciati da Cass. n. 28281 del 2008, mai invocato dall’Amministrazione appellante, che non sarebbe applicabile al caso di specie (miglior trattamento economico goduto al momento del trasferimento alla Corte dei Conti) in quanto si riferisce al calcolo indennita’ di buonuscita.

4. Con il quarto motivo di ricorso e’ dedotto vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, art. 360 c.p.c., n. 5.

Viene censurata l’equiparazione dell’indennita’ di amministrazione con la quattordicesima mensilita’, adducendo la natura non pensionabile di tale voce retributiva, atteso che esso ricorrente aveva sempre asserito che l’indennita’ di amministrazione era una componente accessoria e come tale legata a fatti contingenti.

5. Con il quinto motivo di ricorso il M. censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione e non corretta applicazione del principio del divieto di reformatio in peius richiamato dal contratto individuale.

Erroneamente, la Corte d’Appello, accogliendo motivo di appello non scritto, aveva affermato che la lavoratrice non aveva provato l’applicabilita’ nei propri confronti del divieto di reformatio in peius richiamato dal contratto individuale. Atteso che tale prova si trovava nel prospetto provvisorio della retribuzione allegata la contratto sottoscritto.

Da tale documentazione emergeva che la 14 mensilita’ non era un elemento accessorio e variabile della retribuzione, ne’ un’indennita’ diretta a compensare disagi, ma una componente fissa e continuativa del trattamento corrispondente ad una determinata posizione di lavoro, normativamente individuata. La Corte d’Appello affermava che non vi era reformatio in peius solo in base al raffronto tra gli stipendi senza considerare il diritto del dipendente a conservare le voci fisse (tra cui la 14 mensilita’) e non tutte le altre voci variabili, che concorrono a determinare lo stipendio in godimento. Nella specie, afferma il ricorrente, non si tratta di un elemento accessorio e variabile della retribuzione, ne’ di un’indennita’ diretta a compensare particolari disagi, ma di una componente fissa e continuativa del trattamento corrispondete ad una determinata posizione di lavoro. Esso ricorrente aveva diritto. a conservare le sole voci fisse tra cui al quattordicesima e non tutte le altre voci, definite variabili, che concorrono solo a determinare lo stipendio attualmente in godimento.

6. Con il sesto motivo di ricorso e’ denunciato il vizio di mancata prova delle norme applicabili al trasferimento. Violazione art. 2112 c.c..

La Corte d’Appello non ha indicato quale era la disciplina del trasferimento, che e’ norma di generale applicazione, richiamata nel contratto: del D.Lsg. n. 163 del 1995, art. 4, comma 2, conv. dalla L. n. 273 del 1995. In mancanza di disposizioni speciali, nella fattispecie doveva trovare applicazione l’art. 2112 c.c., con la salvaguardia del diritto al trattamento economico in godimento presso l’Amministrazione cedente.

7. Il settimo motivo di ricorso verte sul principio generale della riassorbilita’ dell’assegno e del divieto di reformatio in peius.

Nel caso di specie, non vi era stata attribuzione di assegno ad personam benche’ vi fosse stata una deminutio rispetto alla precedente retribuzione. Per cui l’affermazione della Corte d’Appello della possibilita’ dell’assegno ad personam riassorbibile in caso di trasferimento era contraddittoria.

8. Il primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.

8.1. Occorre precisare che in ragione dell’oggetto della domanda introduttiva del giudizio e della statuizione del giudice di primo grado, come riportati dalla sentenza della Corte d’Appello e non contestati specificamente dal ricorrente che non riproduce, in particolare, in ricorso l’atto introduttivo del giudizio dinanzi al Tribunale, si controverte della riconoscibilita’ ad dipendente di Poste italiane spa, passato alla Corte dei conti (marzo 2001) della 14 mensilita’, ancor prima che come assegno ad personam riassorbile, quale voce della retribuzione pensionale, spettante indipendentemente dall’operativita’ del principio della reformatio in peius.

8.2. Tanto premesso, osserva il Collegio che questa Corte, con la sentenza n. 12861 del 2015, ha affermato che i dipendenti dell’Amministrazione delle poste e telecomunicazioni che, ai sensi della L. 29 gennaio 1994, n. 71, art. 6, comma 4, siano transitati nei ruoli di altra amministrazione dello Stato presso la quale erano comandati non hanno diritto alla conservazione della quattordicesima mensilita’ di cui all’art. 3 del CCNL per il personale dipendente dell’Ente Poste Italiane per il biennio 1996/1997, dovendosi considerare gli stessi, a seguito della trasformazione dell’Ente Poste in Poste Italiane S.p.A., provenienti da rapporto di lavoro subordinato privato e non da Amministrazione dello Stato, requisito la cui sussistenza condiziona il diritto a conservare il miglior trattamento economico maturato presso il datore, di lavoro di provenienza.

Ne’, comunque, tale voce, come retribuzione pensionabile, faceva parte del trattamento economico in godimento da parte del lavoratore al momento del passaggio alla Corte dei Conti (a far data dal 16 ottobre 2001 giusto D.P.C.M. 19 aprile 2001, n. 013867, come dedotto nel ricorso dal lavoratore), atteso che solo con l’accordo (post del 13 maggio 2002, allorche’ il ricorrente era gia’ transitato nella Corte dei Conti, veniva riconosciuta ai dipendenti di Poste italiane spa la pensionabilita’ della 14 mensilita’, previa regolarizzazione della posizione contributiva.

Correttamente e con congrua motivazione quindi, vigendo, altresi’, nel pubblico impiego contrattualizzato il principio di tassativita’ legale delle componenti della base pensionabile, sancito del D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 43 e successive modificazioni, poiche’ il lavoratore non era piu’ dipendente postale e non aveva, altresi’, provato la regolarizzazione dei contributi (necessaria presso Poste italiane spa per la pensionabilita’ della 14 mensilita’) la Corte d’ Appello ha escluso il diritto all’emolumento in questione nei termini di retribuzione pensionabile. Correttamente, altresi’, il giudice di secondo grado ha escluso l’attribuibilita’ dell’assegno ad personam riassorbibile, dovendosi a fondamento di quest’ultima statuizione richiamare Cass. n. 12861 del 2015.

Ne’ trova applicazione nella fattispecie in esame, in ragione della natura del rapporto di lavoro, l’art. 2112 c.c..

9. Il ricorso deve essere rigettato.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2016

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