Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14371 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2010, (ud. 03/02/2010, dep. 15/06/2010), n.14371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SALOTTI ITALIA S.r.L., in persona del legale rappresentante

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Liegi, n. 28, nello studio

dell’Avv. URSINI Gildo, che la rappresenta e difende, unitamente

all’Avv. Fabio Chiarelli, giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARTINA FRANCA;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, Sezione distaccata di Tarante, n. 128, depositata in data 11

ottobre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienze del dal

consigliere Dott. Pietro Campanile;

Sentito il difensore della ricorrente, Avv. Chiarelli;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, il quale ha concluso per il

rigetto dei primi due motivi e per l’accoglimento degli altri.

 

Fatto

1.1 La S.r.l. Salotti Italia proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento con cui il Comune di Martina Franca contestava – relativamente all’anno 1996 l’omessa denuncia di locali per una superficie complessiva di mq 977, intimando il pagamento della relativa tassa per i rifiuti solidi urbani, con sovrattassa, pena accessoria e interessi.

1.2 – La Commissione tributaria provinciale di Taranto, con sentenza n. 143/01/1998, accoglieva il ricorso, contenente, in particolare, alcuni rilievi inerenti all’inidoneità, sul piano tecnico, del personale utilizzato per l’accertamento della superficie, nonchè alla illegittimità sia della delibera di approvazione della tariffa sia – sotto vari profili – dell’avviso di accertamento.

1.3 – La Commissione tributaria regionale della Puglia, con la sentenza indicata in epigrafe, accogliendo l’appello proposto dal Comune, dichiarava la nullità della decisione di primo grado per difetto di motivazione, rigettando il ricorso introduttivo e compensando le spese processuali.

1.4 Avverso tale decisione la S.r.l Salotti Italia ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

Il comune intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

2.1 – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 4 e art. 72, comma 2, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.2 – Con il secondo motivo le medesime censure vengono prospettate, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione della decisione impugnata, deducendosi l’insussistenza di qualsiasi nesso fra il vizio di motivazione della sentenza di primo grado, rilevato dalla Commissione tributaria regionale, e le questioni inerenti alle dedotte violazioni procedimentali nella rilevazione dei dati.

2.3 – I motivi sopra indicati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto fra loro intimamente collegati. La questione denunciata, come evidenziato, sia sotto il profilo della violazione di legge che dei vizio motivazionale, attiene all’attività preliminare di rilevazione dei dati, sulla quale si base la divergenza fra la superficie denunciata e quella accertata posta alla base dell’atto impositivo.

Era stato dedotto (come emerge anche decisione di primo grado, interamente riprodotta in quella emessa dalla Commissione tributaria regionale) che “la rilevazione effettuata e la conseguente azione accertatrice (dovevano) ritenersi del tutto illegittime, dal momento che i rilievi erano stati eseguiti da personale inadeguato e inidoneo a svolgere la funzione affidatagli”.

Nel ricorso si richiama, altresì, un ulteriore profilo di illegittimità, per omessa comunicazione, nei termini stabiliti dalla norma, dell’accesso che il personale addetto alla rilevazione avrebbe compiuto. Quanto a quest’ultimo aspetto, giova sin d’ora evidenziare che nel caso scrutinato l’accesso non riguarda l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 73 comma 2, che inerisce agli accertamenti eseguiti “in caso di mancato adempimento da parte del contribuente” all’invito di esibire o trasmettere atti o documenti”, bensì quella le rilevazioni di carattere generale, eseguite, come nel caso di specie, sulla base delle convenzioni di cui all’art. 71 comma 4, dello stesso D.Lgs. Al riguardo questa Corte, invero, ha costantemente affermato che la prima fase della procedura di accertamento, disciplinata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 73, comma 1, è caratterizzata dal dialogo fra Comune e contribuente, per il consolidamento (mediante controllo in base a documenti, planimetrie, risposte a questionari, ecc.) dei dati contenuti nella denuncia presentata, ovvero acquisiti dall’ufficio tramite rilevazione diretta delle superfici. Pertanto, nel corso di questa fase interlocutoria e collaborativa, i dipendenti comunali o il personale operante a convenzione accedono all’immobile del contribuente col consenso espresso o tacito del medesimo, con la conseguenza che essi non hanno bisogno di autorizzazione specifica da parte del sindaco, e l’eventuale preavviso corrisponde a ragioni di mera opportunità o cortesia, sicchè la sua mancanza non determina l’invalidità della procedura tipizzata dal consenso dell’interessato (Cass., 9 giugno 2009, n. 13230; Cass., 3 luglio 2009, n. 15713; Cass., 9 marzo 2005, n. 5093).

Quanto all’aspetto concernente l’idoneità tecnica del personale che avrebbe eseguito le rilevazioni, non può condividersi l’assunto della ricorrente secondo cui la Commissione tributaria regionale si sarebbe limitata ad affermare il difetto di motivazione della decisione di primo grado. Nella sentenza impugnata, infatti, è contenuto un preciso riferimento al rilievo, mosso con il ricorso originario, concernente la inidoneità del personale che avrebbe eseguito le rilevazioni, rilievo che viene confutato sulla base di due osservazioni: la prima, basata sul dettagliato contenuto delle regole dettate dal D.Lgs. n. 707 del 1993, art. 71, e segg., che, fra l’altro, non riservano esclusivamente ai geometri l’espletamento delle mansioni relative alle rilevazioni de quibus (con conseguente irrilevanza di una denuncia – dall’esito ignoto – presentata dalla Associazione Geometri Martinesi poichè fra i cinquanta addetti all’attività in questione vi sarebbero stati solo 4-5 iscritti in albi professionali); la seconda, di maggiore pregnanza, ed ignorata in questa sede dalla Salotti Italia, consistente nell’assunto secondo cui il ricorso introduttivo risultava “privo di qualsiasi fondamento”, dovendosi anche “ogni eventuale vizio ritenere, comunque, sanato dal comportamento del contribuente, il quale nessuna riserva e nessuna eccezione ha mai sollevato circa presunte irregolarità procedurali”.

Tale aspetto viene dalla ricorrente giudicato insufficiente, sostenendosi che incombeva al Comune l’onere di provare il presupposto dei suoi accertamenti, “sia dei requisiti del personale accertatore, sia del rispetto dell’obbligo del preavviso”.

Dell’assoluta carenza di decisività e, comunque, dell’infondatezza, di quest’ultimo profilo sì è già detto.

Quanto alla questione inerente alla idoneità tecnica del personale impiegato, mette conto di osservare, in primo luogo, come nel ricorso si ponga l’accento meramente sulla distribuzione del relativo onere della prova, senza cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale si evidenziano sia l’assenza di specifiche prescrizioni, nella normativa di riferimento, in relazione alla qualificazione professionale del personale addetto alle rilevazioni, sia, soprattutto, la mancata proposizione di rilievi, da parte della società, in merito a “irregolarità procedurali”, tale da sanare “ogni eventuale vizio”.

Tale aspetto, interpretato nel senso dell’irrilevanza delle irregolarità meramente formali del procedimento, che non incidono sul contenuto dell’atto, corrisponde al principio generale secondo cui la violazione delle regole dell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti, in mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso (Cass., 16 giugno 2006, n. 14058; Cass., 23 dicembre 2005, n. 28695), principio ribadito anche a proposito delle rilevazioni ai fini dell’accertamento finalizzato all’applicazione della tassa sui rifiuti solidi urbani (Cass., 3 luglio 2009, n. 15713). Tale orientamento, del resto, corrisponde alle tendenze evolutive del diritto amministrativo, nel cui ambito si esclude l’annullabilità dell’atto (o, secondo un’accreditata teoria, l’interesse processuale a dedurla) qualora il vizio procedimentale non risulti aver inciso sul contenuto del provvedimento (L. n. 241 del 1990, art. 21 octies).

Non può omettersi di rilevare, per completezza di esposizione, che la norma invocata (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 4), oltre a non prevedere una specifica qualifica professionale degli addetti, non descrive in alcun modo i “requisiti di capacità ed affidabilità del personale impiegato” (ragion per cui l’onere probatorio postulato nel ricorso attiene a un oggetto alquanto indefinito, e non solo dal punto di vista normativo), limitandosi a prescrivere che i requisiti stessi siano indicati nel capitolato (nel caso in esame neppure menzionato) delle convenzioni appositamente stipulate “con soggetti privati o pubblici per l’individuazione delle superfici in tutto o in parte sottratte a tassazione”. Tanto indice a ritenere che la capacità tecnica del personale impiegato per le rilevazione si riverberi, com’è naturale, sulla qualità delle rilevazioni, che possono essere contestate nel merito sia durante la fase preliminare, sia in sede giudiziale, tramite l’impugnazione dell’atto che le abbia recepite, senza alcun pregiudizio per il contribuente.

2.4 – Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 277 c.p.c., per omessa pronuncia su specifici punti oggetto di giudizio, in quanto nella decisione impugnata sarebbero state completamente pretermesse le questioni, introdotte con il ricorso introduttivo e ribadite in sede di appello, inerenti alla legittimità o meno della delibera di determinazione della tariffa, alle modalità di irrogazione delle pene pecuniarie e alla loro determinazione, nonchè all’inattivazione del servizio come ipotesi di illegittimità della pretesa.

Il motivo è fondato.

Invero nella decisione impugnata le questioni testè richiamate, che parte ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza, ha dimostrato essere state ritualmente dedotte con il ricorso originario e riproposte in sede di appello, non risultano affatto esaminate nella decisione impugnata, di talchè deve affermarsi la sussistenza del denunciato vizio di omessa pronuncia in relazione a temi non privi del carattere della decisività .

2.5 – Deve rilevarsi, infine, l’infondatezza del quarto motivo di ricorso, con il quale si sostiene che, in relazione ai capi non impugnati dal Comune della sentenza di primo grado, vi sarebbe stata acquiescenza impropria ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2.

La tesi non può essere condivisa, in quanto, essendo stata l’intera decisione di primo grado impugnata per totale carenza di motivazione, ed essendo stata tale censura accolta con l’esplicita declaratoria di nullità (“La sentenza impugnata va, quindi, dichiarata nulla per difetto di motivazione..”), non può ravvisarsi acquiescenza, sia pure impropria, da parte del Comune appellante alle parti della sentenza non espressamente richiamate nel ricorso in appello. Ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, tale ipotesi si verifica quando si desuma dall’atto, in modo non equivoco, la volontà dell’appellante di sottoporre solo in parte la decisione all’appello (elemento soggettivo) e le diverse parti siano del tutto autonome l’una dall’altra (elemento oggettivo): non anche quando la parte impugnata costituisca sviluppo logico di quella parte non impugnata, per cui l’impugnazione della prima si ponga in nesso consequenziale con l’altra (Cass. 7 gennaio 2008, n. 33). In altri termini, la denuncia di nullità dell’intera decisione di primo grado per totale carenza di motivazione (certamente sussistente sulla base dell’intero testo riportato in quella di secondo grado, che tale censura ha accolto) non consente di ipotizzare alcun tipo di acquiescenza.

D’altra parte, ove si ponga mente alla distinzione concettuale fra acquiescenza impropria e giudicato implicito, appare evidente come quest’ultimo effetto non possa essere utilmente invocato in relazione a una decisione dichiarata interamente nulla per difetto di motivazione, senza, per altro, che tale aspetto sia stato in alcun modo censurato in questa sede.

2.6 – L’impugnata decisione, pertanto, deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Puglia, che provvederà all’esame delle questioni ivi indicate, nonchè in merito alle spese processuali, anche relativamente al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta nel resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Puglia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 3 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

 

 

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