Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14371 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/06/2017, (ud. 12/05/2016, dep.09/06/2017),  n. 14371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliata per legge;

– ricorrente –

contro

B.E., rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del controricorso, dagli Avvocati Angelo, Mario Lauro e Luca

Maria Pietrosanti, elettivamente domiciliata in Roma, via Oslavia n.

39/F, presso lo studio dell’Avvocato Emanuele Carloni;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

sezione staccata di Latina n. 698/40/08, depositata il 29 dicembre

2008;

e sul ricorso R.G. n. 4971 del 2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliata per legge;

– ricorrente –

contro

E.T.R. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avvocati Angelo, Mario Lauro e Luca Maria

Pietrosanti, elettivamente domiciliata in Roma, via Oslavia n. 39/F,

presso lo studio dell’Avvocato Emanuele Carloni;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

sezione staccata di Latina, n. 699/40/08, depositata il 29 dicembre

2008.

Udita la relazione delle causa svolta nella pubblica udienza del 12

maggio 2016 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito l’Avvocato dello Stato Paolo Marchini;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso nei confronti di E.T.R. s.p.a., l’Agenzia delle entrate Ufficio di Latina rettificava la dichiarazione prodotta dalla società per l’anno 2000, accertando un reddito di impresa di Lire 6.756.535.000. Il medesimo Ufficio, considerata la ristretta base societaria della E.T.R., accertava nei confronti di B.F., socio al 70% della E.T.R., con avviso n. (OMISSIS), un reddito di capitale pari a Lire 4.729.574.450 derivante dalla presunta distribuzione di utili occulti.

Il contribuente proponeva ricorso.

La CTP di Latina, con sentenza n. 1232/05/05, accoglieva il ricorso.

L’Ufficio proponeva appello.

Nella resistenza del contribuente, la C.T.R. di Latina, con sentenza n. 698/40/08, accoglieva l’appello nei sensi di cui in motivazione.

Premesso che nelle società di capitali a ristretta base societaria, pur non esistendo, a differenza di quanto avviene per le società di persone, una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, è tuttavia lecito presumere che l’appartenenza della società ad una ristretta cerchia familiare possa costituire, sul piano degli indizi, prova della avvenuta distribuzione degli utili conseguiti extrabilancio, la CTR riteneva corretto l’avviso di accertamento e quindi accoglieva l’appello dell’Ufficio. Tuttavia, posto che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società era stato impugnato dalla stessa e annullato dalla CTP, con sentenza n. 1231/05/05, regolarmente impugnata dall’Ufficio, la CTR, preso atto della dipendenza della posizione processuale del contribuente socio rispetto a quella della società, decideva che “l’esito della presente controversia sia direttamente consequenziale alla decisione che verrà emessa nei confronti della società stessa a seguito dell’instaurato giudizio di appello”.

Per la cassazione di questa decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

L’intimata società ha resistito con controricorso.

2. – A seguito di processo verbale di constatazione emesso dalla Guardia di finanza di Latina il 25 giugno 2001, l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Latina, emetteva nei confronti di E.T.R. s.p.a. avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale veniva rettificata la dichiarazione modello unico presentata dalla società per l’anno 2000, recuperando a tassazione i seguenti importi: costi privi del requisito dell’inerenza, Lire 1.521.887; costi relativi alla utilizzazione di fatture inesistenti, Lire 410.895.000; costi privi del requisito della certezza, Lire 4.548.195.900.

La società proponeva ricorso.

La CTP di Latina, con sentenza n. 1231/05/05, accoglieva il ricorso.

L’Ufficio proponeva appello.

Nella resistenza del contribuente, la C.T.R. di Latina, con sentenza n. 699/40/08, rigettava l’appello. Premesso che l’accertamento induttivo non è consentito in presenza di contabilità ordinaria nella quale si rispecchiano tutti i movimenti contabili e finanziari, le produzioni e quant’altro fosse utile alla determinazione dei costi e dei ricavi, la CTR riteneva che l’Ufficio avesse posto a fondamento dell’avviso di accertamento “una quantità enorme di presunzioni, certamente non fornite dalla parte verbalizzata nè ricostruite su basi documentali certe senza considerare che il ciclo produttivo si modifica, si cambia in relazione alle esigenze del mercato e senza un preciso legame per la produzione di servizi di diversa natura”. Affermato, quindi, che la presunzione non costituisce prova, la CTR rilevava che “dal processo verbale di constatazione redatt(o) dalla Guardia di Finanza di Cisterna non emergono contestazioni in merito alle fatture ricevute ed a quelle emesse nel medesimo anno 2000. Per poter fare il commercio di telefonini non sono necessari grandi locali ed un gran numero di personale dipendente; in particolar modo quando le transazioni sono di valore notevole ed il commercio non è al minuto ma è sviluppato come commercio all’ingrosso; nel senso che vengono trattati grandi quantitativi di merce che vengono consegnati direttamente al cliente”.

La CTR osservava, poi, che l’Ufficio “accerta: ai fini IVA, un volume di affari di Lire 197.779.701.000 a fronte di costi riconosciuti di Lire 191.746.960.000; ai fini del reddito, determina un valore di reddito imponibile di Lire 6.756.535.000 con beni compravenduti, per i quali si riconosce la regolarità della transazione, pari ad un importo di Lire 191.426.703.000; ai fini dell’IRAP determina un valore della produzione netta pari a Lire 7.004.878.000 con beni compravenduti, per i quali si riconosce la regolarità della transazione pari a Lire 191.426.703.000; componenti positivi per un valore di Lire 198.429.546.000 con beni compravenduti, per i quali si riconosce la regolarità della transazione pari a Lire 191.426.703.000”.

Rilevava ancora che la CTP aveva adeguatamente motivato la propria decisione, affermando che l’Ufficio, per sanzionare il comportamento della società ricorrente, avrebbe dovuto dimostrare la fittizietà dell’operazione dal punto di vista soggettivo. In particolare, la CTR condivideva quanto affermato dalla CTP: “Sono fatture per operazioni oggettivamente inesistenti quelle emesse a fronte di transazioni mai avvenute (la ETR ha effettivamente comprato la merce); sono fatture per operazioni soggettivamente inesistenti quelle in cui a fronte di un’operazione realmente intervenuta, la fattura documenta un’operazione intercorsa tra altri soggetti (nessuna imputazione soggettiva esiste: le fatture sono tra la ETR e SKYLAB e FURY tutte esistenti, perciò manca l’interposizione di un soggetto terzo)”. Affermava, pertanto, che la sentenza dei primi giudici “è sufficientemente motivata e suffragata da motivi tecnici e giuridici validi sia sotto il profilo comportamentale e sia per quanto riguarda l’analisi e le considerazioni svolte”.

La CTR, conclusivamente, rilevava che “l’avviso di accertamento è illegittimo in quanto le contestazioni non hanno fondamento. Per quanto riguarda, poi, l’affermazione secondo cui “i pagamenti della merce avvenivano tutti a mezzo emissione di assegni direttamente nelle mani di chi, presumibilmente, consegnava la merce” testimonia che le operazioni sono state realizzate e che la merce veniva regolarmente consegnata. Non esiste alcun testo giuridico che afferma che le fatture devono essere vistate da chi riceve materialmente la merce. Se si mette in dubbio il pagamento con assegni legalizzato dalla recenti normative per vincere la presunzione del riciclaggio del denaro, quali sono allora i metodi per provare il pagamento delle transazioni commerciali. E quali sono i documenti per provare che le transazioni sono regolarmente avvenute se anche le fatture, delle quali è stata accertata la regolarità della movimentazione dei beni, non costituiscono documentazione valida per provare l’avvenuta transazione commerciale. Le fatture ed i pagamenti sono gli unici documenti stabiliti dalle normative esistenti in grado di provare che l’evento economico è avvenuto; diversamente si prospetta il caos o quantomeno si dovrebbero prevedere altri meccanismi. La giurisprudenza all’uopo creatasi dovrebbe indurre l’Ufficio a non procedere alla redazione di atti illegittimi poichè la presunzione non costituisce prova”.

Per la cassazione di questa decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

L’intimata società ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I ricorsi iscritti al R.G. n 4817/10 e R.G. n. 4971/10 devono essere riuniti in considerazione del rapporto di dipendenza che sussiste tra la decisione oggetto del ricorso n. 4971/10 e la decisione oggetto del ricorso n. 4817/10.

Ricorso R.G. n. 4817/10.

1. – In relazione al ricorso n. 4817/10, deve essere preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, perchè proposto dall’Agenzia delle entrate senza alcuna specificazione dell’ufficio di riferimento. Tale indicazione non è infatti necessaria, legittimata essendo ad essere parte del giudizio di legittimità l’Agenzia delle entrate in persona del sua direttore pro tempore, salva la possibile concorrente legittimazione degli uffici locali.

2. – Infondata è altresì l’ulteriore eccezione di inammissibilità proposta dal controricorrente, per carenza di interesse e per novità della domanda, atteso che, tenuto conto del dispositivo della sentenza impugnata, in cui si afferma che l’appello dell’Ufficio è accolto come in motivazione, e della parte motiva della sentenza stessa, in cui “si decide che l’esito della presente controversia sia direttamente consequenziale alla decisione che verrà emessa nei confronti della società stessa a seguito dell’instaurato giudizio di appello” rende evidente la sussistenza dell’interesse ad impugnare una decisone che, nella sostanza, si presenta condizionata all’esito di un diverso procedimento.

D’altra parte, l’interesse, per l’Agenzia, a dedurre quale motivo di ricorso l’indebito condizionamento dell’accoglimento dell’appello all’esito di altro giudizio, scaturisce direttamente dalla decisione impugnata, a prescindere dal fatto che nel giudizio di gravame l’Agenzia appellante avesse sollecitato l’adozione della sospensione del giudizio.

La questione prospettata dal controricorrente attiene dunque al merito delle censure proposte.

3. – Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 3 e art. 7, comma 5, dell’art. 29 del medesimo D.Lgs. e degli artt. 112 e 295 c.p.c., sostenendo che la CTR, accertata una situazione di dipendenza della causa riguardante il socio da quella concernente la società, avrebbe dovuto o decidere incidenter tantum sulla questione pregiudiziale (relativa all’accertamento concernente la società) ovvero riunire i giudizi (evenienza, questa, resa possibile dalla pendenza degli stesi dinnanzi allo stesso giudice e nella medesima udienza), ovvero ancora disporre la sospensione del processo pregiudicato; ciò che non poteva fare era invece emettere una sentenza monca, limitata all’accertamento della sussistenza di un rapporto di pregiudizialità.

A conclusione del motivo formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se il giudice tributario, accertata la dipendenza di una controversia dalla decisione di un’altra controversia debba decidere in base alle seguenti alternative: decidere nel merito la controversia dipendente decidendo incidenter tantum la questione pregiudiziale; disporre la riunione dei giudizi se pendenti dianzi al medesimo giudice, o disporre la sospensione del giudizio dipendente in attesa della decisione sulla questione pregiudiziale e non limitarsi ad accertare la dipendenza e conseguentemente se, nel caso di specie, in cui era stato notificato al contribuente, socio di maggioranza di una società di capitale a ristretta base sociale (due soli soci) un avviso di accertamento con il quale si riprendevano a tassazione i maggiori redditi presuntivamente percepiti derivanti dagli utili accertati come conseguiti in nero dalla società, impugnato dal contribuente, violi il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 3, artt. 7, 29 e 39 e 112 e 295 c.p.c., la sentenza della CTR che, apparentemente accogliendo l’appello dell’Ufficio, in realtà nulla decidendo, si limiti a dichiarare “la dipendenza della posizione processuale del socio rispetto a quella della società”.

4. – Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate deduce omessa motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo, in quanto la CTR, dopo avere constatato l’esistenza del rapporto di dipendenza, non ha esplicitato le ragioni per cui non ha ritenuto di poter decidere incidenter tantum la questione pregiudiziale nè quelle che le avevano impedito di procedere alla riunione o alla sospensione.

5. – Il ricorso è fondato e va accolto.

Appare, invero, abnorme la decisione della CTR che, da un lato afferma di accogliere il gravame proposto dall’Ufficio, relativo a sentenza di CTP che aveva accolto il ricorso proposto dal socio avverso l’avviso di accertamento scaturito da altro accertamento effettuato nei confronti della società, e dall’altro, preso atto che la sentenza emessa nei confronti della società è stata impugnata, subordine i limiti dell’accoglimento dell’appello all’esito della decisione che la medesima CTR avrebbe adottato sull’appello dell’Ufficio avverso la decisione della CTP concernente l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società. E tale decisione appare tanto più abnorme in quanto, come rilevato dall’appellante, entrambi i giudizi, e cioè entrambi gli appelli proposito dalla Agenzia delle entrate avverso le decisioni della CTP relative alla società e al socio, erano pendenti dinnanzi al medesimo Collegio e chiamati alla stessa udienza del 19 novembre 2008, sicchè la CTR avrebbe dovuto procedere alla riunione dei giudizi.

D’altra parte, posto che il giudizio pregiudicante si è concluso con sentenza adottata alla medesima udienza di rigetto del gravame proposto dall’Agenzia delle entrate, appare evidente che la decisione della CTR sull’appello dell’Agenzia avverso la sentenza emessa nei confronti del socio, solo apparentemente risulta essere una decisione di accoglimento dell’appello, atteso che tale decisione è destinata, secondo quanto affermato in motivazione, a venire meno per effetto del rigetto dell’appello dell’Agenzia riguardo alla sentenza della CTP emessa nei confronti della società.

Il rapporto di dipendenza tra le due decisioni appare a tal punto evidente da avere imposto la riunione dei due giudizi (cosa che, in realtà, avrebbe dovuto fare la CTR).

Ricorso R.G. n. 4971/10.

6. – Anche in relazione a tale giudizio deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, perchè proposto dall’Agenzia delle entrate senza alcuna specificazione dell’ufficio di riferimento. Tale indicazione non è infatti necessaria, legittimata essendo ad essere parte del giudizio di legittimità l’Agenzia delle entrate in persona del sua direttore pro tempore, salva la possibile concorrente legittimazione degli uffici locali.

7. – Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 111 Cost., difetto assoluto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, censurando la sentenza impugnata perchè la stessa risulterebbe motivata mediante la riproduzione testuale delle pagine da 14 a 20 dell’atto di costituzione di E.T.R. s.p.a. in appello. Nè, osserva la ricorrente, potrebbe sostenersi che la motivazione della decisione sia rinvenibile per relationem a quella di primo grado, atteso che la motivazione per relationem è bensì ammissibile, ma sempre che dalla decisione emerga che i motivi di appello siano stati presi in considerazione del giudice del gravame.

A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Se la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che consista nella trascrizione pedissequa e letterale dell’atto di costituzione in appello della società contribuente, così omettendo di dare contezza del ragionamento in base al quale la Commissione Regionale ha deciso di rigettare il gravame dell’Ufficio ed impedendo di individuare l’autonoma ratio decidendi della sentenza di appello, debba considerarsi nulla per mancanza di motivazione poichè, risolvendosi nel rinvio meramente adesivo ed acritico (e, perciò, inidoneo) alle deduzioni contenute nell’atto di costituzione della società appellata e trascurando completamente di vagliare in modo autonomo le deduzioni dell’Ufficio formulate nei motivi di appello, si rivela del tutto carente di effettiva motivazione”.

7.1. – Il motivo è infondato, alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, per cui “nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato” (Cass., S.U., n. 642 del 2015).

L’applicazione di tale principio, peraltro, non vale ad escludere la necessità di prendere in esame le diverse censure formulate dalla ricorrente in relazione al contenuto della motivazione della sentenza impugnata.

8. – Con il secondo motivo la ricorrente deduce insufficienza di motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nei costi indeducibili per un importo imponibile di Lire 410.895.000 relativi alla fattura n. (OMISSIS) emessa dalla SKYLAB s.a.s..

Dopo aver ricordato il contenuto dell’avviso di accertamento con riferimento alla contestazione dei costi indeducibili concernenti il rapporto tra E.T.R. s.p.a. e SKYLAB s.a.s., e segnatamente la congerie di indizi in ordine alla inesistenza dell’operazione fatturata, la ricorrente rileva che la sentenza impugnata è sul punto del tutto omissiva, essendosi limitata a rilevare che l’Ufficio aveva sviluppato una quantità enorme di presunzioni, ma omettendo ogni valutazione su quegli elementi di fatto, che erano stati dedotti nell’atto di gravame. In particolare, la ricorrente evidenzia come dagli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza e posti a fondamento dell’avviso di accertamento, era emerso che SKYLAB s.a.s. non aveva avuto, prima di trasferirli a E,T.R, la disponibilità dei beni che risultavano ceduti dalla richiamata fattura n. (OMISSIS).

9. – Con il terzo motivo la ricorrente lamenta insufficienza della motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nei costi indeducibili perchè privi del requisito della certezza per un imponibile di Lire 4.548.195.900.

In proposito, la ricorrente riporta il contenuto dell’avviso di accertamento e le deduzioni svolte in appello con le quali era stata nuovamente evidenziata la incertezza sulla effettività dei costi che la E.T.R. aveva dichiarato per l’anno 2000, atteso che i rapporti tra la contribuente e la FURY s.r.l. si erano svolti in soli cinque giorni, la merce che FURY s.r.l. aveva ceduto a E.T.R. risultava acquistata da FURY lo stesso giorno della cessione a E.T.R, ma un’ora dopo tale cessione, ed altri elementi fortemente indiziari nel senso della fittizietà delle operazioni fatturate; con la precisazione che la effettività delle operazioni non poteva essere desunta, così come invece ritenuto dalla CTP e poi dalla CTR, dalla regolarità contabile.

10. – Con il quarto motivo l’Agenzia delle entrate denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e comma 2, e art. 42 e dell’art. 2697 c.c., contestando l’affermazione della CTR secondo cui l’accertamento induttivo, basato su presunzioni, non sarebbe consentito in presenza di contabilità ordinaria nella quale si rispecchiano tutti i movimenti contabili e finanziari, le produzioni e quant’altro fosse utile alla determinazione dei costi e dei ricavi. E ciò in quanto in ogni caso in cui possa ravvisarsi una complessiva inattendibilità delle scritture contabili, desunta da gravi, numerose e ripetute omissioni e/o false e inesatte indicazioni, l’Ufficio legittimamente provvede alla determinazione del reddito con il metodo induttivo, anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici, sul presupposto della inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, con la conseguenza che incombe poi al contribuente l’onere di dedurre e provare fatti impeditivi, modificativi o estintivi della detta pretesa.

11. – Con il quinto motivo la ricorrente deduce ulteriore insufficienza della motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, dolendosi della superficialità con la quale la CTR ha esaminato i documenti acquisiti, che evidenziavano la indebita deduzione dal reddito imponibile dell’anno 2000 di costi afferenti ad operazioni inesistenti e a fatturazioni prive del requisito della certezza, giungendo a sostenere che le irregolarità riscontrate non avrebbero consentito una ricostruzione induttiva dei ricavi a carico della contribuente, anche se l’accertamento non esponeva alcuna ricostruzione induttiva dell’imponibile.

12.- Con il sesto motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 21 e 54 e dell’art. 2697 c.c., contestando le affermazioni della sentenza impugnata in ordine alla impossibilità di mettere in dubbio i pagamenti effettuati con assegni e l’effettività delle operazioni commerciali a mezzo fatture.

In proposito, la ricorrente rileva che la CTR si è limitata ad esaminare solo gli aspetti formali della vicenda devoluta alla sua cognizione, omettendo di prendere in esame gli elementi in base ai quali l’Ufficio era pervenuto all’affermazione della fittizi età delle operazioni indicate. La correttezza formale della contabilità, sostiene la ricorrente invocando pronunce di questa Corte, non può diventare un alibi per commettere ogni possibile violazione delle leggi fiscali e quando l’amministrazione fornisca – come nella specie – validi elementi d prova, sia pure indiziari, per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

13. – Il secondo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, attenendo tutti al ragionamento in base al quale la CTR ha disatteso le censure formulate dall’Agenzia con l’atto di appello.

Essi sono fondati.

13.1. – La sentenza impugnata ha premesso che “l’accertamento induttivo, basato sulle presunzioni, non è consentito in presenza di contabilità ordinaria nella quale si rispecchiano tutti i movimenti contabili e finanziari, le produzioni e quant’altro fosse utile alla determinazione dei costi e dei ricavi” e ha rilevato che, nel caso di specie, “l’Ufficio ha sviluppato una quantità enorme di presunzioni, certamente non fornite dalla parte verbalizzata nè riscostruite su basi documentali certe”, senza tuttavia spiegare quali esse fossero, come erano articolate e a quale risultato probatorio tendessero.

In particolare, la sentenza impugnata non ha esaminato in modo specifico i rilievi e le contestazioni dell’Ufficio, specialmente quelle riguardanti i costi indeducibili.

In proposito, la CTR non ha preso in esame i rilievi relativi all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla Skylab per oltre 400.000.000 di Lire, indicate nel p.v.c. della Guardia di Finanza all’esito del riscontro della contabilità e della consistenza del magazzino, da cui emergeva sia che la merce non era disponibile, sia che il legale rappresentante di quella società non aveva saputo indicare il fornitore dei beni che poi erano stati ceduti alla E.T.R.. Elementi, questi, che l’Agenzia, nell’atto di appello, aveva espressamente riproposto, censurando la sentenza di primo grado, e lamentandosi che la CTP si era limitata ad esaminare solo gli aspetti formali della vicenda, omettendo di valutare i profili sostanziali attraverso i quali i verbalizzanti erano giunti a ritenere fittizia l’operazione intercorsa con Skylab.

E, in effetti, la motivazione della decisione impugnata, come riportata per parti rilevanti al precedente punto 2 della parte in fatto della presente sentenza, non svolgono alcuna considerazione sui penetranti rilievi svolti dall’ufficio e riproposti in sede di appello, essendosi limitata la CTR ad argomentare in modo generico e poco chiaro le ragioni per le quali gli indizi addotti dall’ufficio per ritenere la fittizietà dell’operazione conclusa tra E.T.R. e Skylab.

Certamente, in presenza di un quadro indiziario significativo, non può ritenersi sufficiente a ritenere infondate le censure dell’Agenzia delle entrate il rilievo che la contabilità fosse apparentemente in regola. Non può quindi essere condivisa l’affermazione della CTR, secondo cui l’accertamento induttivo, basato sulle presunzioni, non sarebbe consentito in presenza di contabilità ordinaria nella quale si rispecchiano tutti i movimenti contabili e finanziari, le produzioni e quant’altro fosse utile alla determinazione dei costi e dei ricavi.

Questa Corte ha infatti affermato che premesso che “in tema di IVA, ove l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perchè relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente. Detta prova non può, peraltro, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente, e che, pertanto, rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali” (Cass. n. 15228 del 2001; Cass. n. 1779 del 2003; Cass. n. 7146 del 2007).

13.2. – Del tutto insufficiente è altresì la motivazione per quanto riguarda i rilievi relativi alla utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla FURY per oltre quattro miliardi di lire, la cui irregolarità era stata constatata dalla Guardia di finanza la quale aveva accertato, come documentato dalla ricorrente attraverso la trascrizione del verbale, che: presso la sede indicata la società era inesistente; il legale rappresentante aveva dichiarato di non aver mai posto in essere alcuna transazione commerciale; vi era discordanza in base alle dichiarazioni acquisite tra i beni ceduti; i libri contabili non erano stati istituiti; FURY non aveva alcun dipendente; tutti i rapporti con E.T.R. avevano avuto luogo in cinque giorni, nei quali si erano concretizzate operazioni commerciali per Lire 4.548.195.900; la FURY, che pure apparentemente aveva effettuato le consegne, non disponeva di propri mezzi di trasporto; le fatture presentavano discordanze e irregolarità formali e non erano state siglate da chi aveva ricevuto i beni; la merce fatturata tra il (OMISSIS) (11 fatture) dalla FURY alla E.T.R. risultava acquistata dalla OVERSEAS s.r.l. lo stesso giorno in cui era stata commercializzata.

Come si vede, si tratta di elementi indiziari che avrebbero dovuto essere esaminati specificamente dal giudice di merito, il quale, come già rilevato, si è invece limitato ad una motivazione di carattere generico e poco chiaro.

Sussiste, quindi, il denunciato vizio motivazionale di cui al secondo e al terzo motivo.

13.3. – L’accoglimento del secondo e del terzo motivo comportano l’assorbimento dei restanti motivi.

14. – Le sentenze impugnate devono pertanto essere cassate, con rinvio delle cause, per nuovo esame, ad altra sezione della CTR del Lazio, la quale provvederà altresì sulle spese dei giudizi di cassazione.

PQM

 

La Corte riunisce i giudizi, accoglie il ricorso n. 4817/10 e il secondo e il terzo motivo del ricorso n. 4971/10, rigettato il primo e assorbiti gli altri; cassa le sentenze impugnate e rinvia le cause, anche per le spese dei giudizi di cassazione, ad altra sezione della CTR del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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