Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14371 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 08/07/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 08/07/2020), n.14371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19934-2017 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SERVICES s.c.p.a. già UBIS – UNICREDIT BUSINESS INTEGRATED

SOLUTION S.C.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 70, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FABRIZIO DAVERIO e SALVATORE FLORIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 199/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/02/2017 R.G.N. 3174/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato BENEDETTO SPINOSA;

udito l’Avvocato SALVATORE FLORIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13 febbraio 2017, ha respinto l’appello proposto da A.A. avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato il ricorso di questi volto al riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con la Unicredit Global Information Service (successivamente UBIS – Unicredit Business Integrated Solutions S.C.p.A.), benchè formalmente inquadrato alle dipendenze di altre società dal maggio 2001 sino al febbraio 2009.

2. La Corte di Appello – in estrema sintesi – ha ritenuto che l’istruttoria espletata convergesse “nel senso di smentire che la fattispecie esaminata configuri un appalto illecito L. n. 1369 del 1960, ex art. 1, ovvero D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, comma 3 bis”.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 3 motivi, cui ha resistito la società con controricorso.

Entrambe le parti hanno comunicato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.

Con il primo si denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, artt. 1 e 3 e del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20-29”; si eccepisce che nella motivazione della sentenza impugnata non emergerebbe il motivo per non applicare la presunzione iuris et de iure prevista dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3; si lamenta poi, anche avuto riguardo al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, che “nella sentenza impugnata manca, nella ricognizione della regola di diritto, anche la definizione o i criteri per rilevare il rischio di impresa, ovvero la ricognizione o la applicazione sono erronee”.

Il secondo motivo denuncia ancora “violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, artt. 1 e 3 e del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 29; nullità della sentenza per omesso esame di documenti”.

Il terzo analogamente lamenta “violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, artt. 1 e 3 e del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 29; violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nullità della sentenza per omessa ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie”.

2. I motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per reciproca connessione, non meritano accoglimento, in continuità con quanto già affermato da questa Corte in analoga vicenda con la medesima parte datoriale (cfr. Cass. n. 251 del 2020).

Nell’impugnata sentenza risulta essere stato coerentemente applicato il principio secondo cui in tema d’interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie (pseudoappalto) vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 1, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore; la sussistenza (o no) della modestia di tale apporto (sulla quale riposa una presunzione “iuris et de iure”) deve essere accertata in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto; con la conseguenza che (nonostante la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell’appaltante) l’anzidetta presunzione legale assoluta non è configurabile ove risulti un rilevante apporto dell’appaltatore, mediante il conferimento di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto (tra le altre v. Cass. n. 25064 del 2013; Cass. n. 16488 del 2009; Cass. n. 4585 del 1994).

Detto criterio assume pregnanza ancora maggiore con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003 laddove la descritta presunzione della L. n. 1369 del 1960 – concepita peraltro in un’epoca non ancora pervasa dalla automazione della produzione e dalle tecnologie informatiche – è stata oggetto di abrogazione e “non è più richiesto che l’appaltatore sia titolare dei mezzi di produzione, per cui anche se impiega macchine ed attrezzature di proprietà dell’appaltante, è possibile provare altrimenti – purchè vi siano apprezzabili indici di autonomia organizzativa – la genuinità dell’appalto… così, mentre in appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali cd. “pesanti”, il requisito dell’autonomia organizzativa deve essere calibrato, se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, negli appalti cd. “leggeri” in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti” (in termini, da ultimo, Cass. n. 21413 del 2019).

In realtà, in tutti i motivi di ricorso, sebbene formulati facendo riferimento a pretese violazioni e false applicazioni di legge, che presupporrebbero una ricostruzione della vicenda storica come narrata nella sentenza impugnata (v., tra molte, Cass. n. 6035 del 2018; Cass. n. 18715 del 2016), nella sostanza si invoca esplicitamente ed inammissibilmente una rivalutazione delle risultanze istruttorie, testimoniali e documentali, non a caso diffusamente richiamate, postulando un sindacato di merito chiaramente inibito a questa Corte di legittimità, tanto più nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici, principi di cui il ricorrente non tiene alcun conto).

Il travalicamento nel giudizio di fatto è altresì comprovato dall’improprio riferimento all’art. 116 c.p.c., di cui si assume nel terzo motivo la violazione: infatti la violazione di detta disposizione sussiste solo quando il giudice di merito disattenda il principio espresso dalla norma in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. n. 11892 del 2016).

3. Conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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