Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14364 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 30/06/2011), n.14364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27617/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

BOVIMPORT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PERNA SERGIO con studio in PALERMO VIA MASSIMO

D’AZEGLIO 8, (avviso postale), giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 37/2005 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 06/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il giorno 6.10.2006 è stato notificato alla “Bovimport srl”, un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale descritta in epigrafe (depositata 6.7.2005) che ha disatteso l’appello proposto dall’Agenzia ed ha invece parzialmente accolto l’appello della Bovimport contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo n. 306/01/2000 con cui era stato già parzialmente accolto il ricorso della parte contribuente avverso avviso di accertamento ai fini IRPEG-ILOR per l’anno 1991.

In data 11.11.2006 è stato notificato alla parte ricorrente il controricorso della parte intimata.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 23.3.2011, in cui il PG ha concluso per rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

L’Agenzia ha notificato alla parte contribuente – a seguito di verifica fiscale conclusasi con PVC del 27.5.1993 – un avviso accertamento ai fini IRPEF-ILOR per l’anno 1991, fondato sull’assunto di ricavi non registrati nè dichiarati (accertati con metodo induttivo fondato sull’applicazione al costo del venduto di una percentuale di ricarico desunta dall’analisi della contabilità aziendale) oltre che sul recupero di costi ritenuti indeducibili o perchè non di competenza o perchè duplicati o perchè non inerenti o perchè non dimostrati ovvero perchè solo parzialmente spettanti, ed infine fondato sull’omesso versamento di ritenute d’acconto per compensi a professionisti.

Il ricorso proposto dalla società contribuente avanti alla CTP di Palermo è stato accolto in relazione sia al recupero dei maggiori ricavi che ad alcuni dei costi ritenuti indeducibili e per ciò che concerne le ritenute d’acconto (limitatamente al recupero del costo, ma con salvezza della irrogata sanzione). L’appello contro la decisione di primo grado è stato interposto da entrambe le parti, ma solo quello di parte contribuente è stato accolto, sicchè l’intero avviso di accertamento risulta – in definitiva – annullato.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che, pur dovendosi riformare la contestata pronuncia di primo grado (la cui applicazione avrebbe determinato la paradossale conseguenza di un reddito accertato inferiore a quello dichiarato dalla contribuente), l’avviso di accertamento deve restare integralmente annullato, poichè fondato su un criterio in ragione del quale risultavano presi a campione alcuni generi di prodotto soltanto e non tutti i mesi dell’anno, peraltro in difetto di rilievi di irregolarità della contabilità sociale. Restavano infine confermate le conclusioni raggiunte con il provvedimento di primo grado a proposito della deducibilità dei costi.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con due motivi d’impugnazione e -dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 157.019,94 – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione dell’art. 112 c.p.c., per extrapetizione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”.

La ricorrente agenzia prospetta una questione di non agevole intelligenza, che è proposta per “scrupolo difensivo” e per l’ipotesi in cui dal testo della sentenza si posano “ingenerare confusioni”. Ma sul punto il dubbio creato alla ricorrente dalla non peculiare perspicuità della decisione di secondo grado è fugato dalla stessa parte intimata che sostanzialmente ne fa ammissione a suo proprio svantaggio. E ciò è conforme alla realtà, nel senso che la pronuncia di appello ha inteso esclusivamente confermare la decisione di primo grado su tutti gli aspetti della questione concernente la detrazione dei costi.

Il motivo appare perciò privo dell’interesse che (in termini perplessi) vi è sotteso.

6. Il secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, e degli art. 2697 e 2727 c.c. e ss. – Omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

La parte ricorrente muove dal corretto assunto (raccordato alle pronunce in materia di questa Corte) che il mero dato della regolarità formale della contabilità di impresa non è preclusivo dell’accertamento di genere induttivo, atteso che ben possono essere state semplicemente omesse annotazioni relative ad operazioni che, altrimenti, sarebbero destinate a non venir mai accertate se non per diversa risultanza documentale.

Sul punto vale la pena di menzionate qui (per tutte) Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26130 del 13/12/2007, secondo cui:”In tema di accertamento delle imposte sui redditi, deve ritenersi legittima, a mente del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, la rettifica induttiva del reddito d’impresa operata in presenza di contabilità formalmente regolare quando, sulla base di presunzioni dotate dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c., comma 1, possa fondatamente ritenersi che l’entità del reddito dichiarato si ponga in evidente contrasto con il comune buon senso e con le regole basilari della ragionevolezza (Nella specie il presupposto di fatto per il superamento delle risultanze contabili è stato individuato nell’avvenuta annotazione di fatture per operazioni inesistenti)”.

Tuttavia, come pure si desume dall’anzidetto insegnamento, da sè solo il principio affermato dalla parte ricorrente – cioè quello secondo cui la regolarità delle scritture contabili non è sufficiente a precludere una rettifica di genere induttivo – pur risultando astrattamente corretto, non ha decisiva rilevanza ai fini della soluzione della presente controversia, poichè ciò che conta è che la Amministrazione procedente dia conto e comprovi l’esistenza di gravi incongruenze e comunque presunzioni, aliunde desunte, dell’inattendibilità della contabilità nel suo complesso.

Nella specie di causa siffatte incongruenze sarebbero desumibili – a detta di parte ricorrente – “dal fatto che i conti globali, come logicamente e dettagliatamente ricostruiti dai verificatori, non quadrano, cioè non combaciano con le scritture”.

Ma è proprio con riferimento ad un tale elemento di fatto, premessa logica della rispondenza alla norma della modalità adottata nell’accertamento, che questa Corte non può non rilevare l’evidente insufficienza metodologica del motivo di impugnazione che – dovendo dare conto delle incongruenze e delle presunzioni che avrebbero, in tesi, dignità di legittimare la modalità induttiva di rettifica – non vi fa se non generico riferimento, così violando il principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione.

Sarebbe cioè spettato alla parte ricorrente (che anzi avrebbe dovuto anche provvedere anche alla produzione dei supporti documentali in questo grado di giudizio, a mente dell’art. 369 c.p.c., n. 4) fare richiamo autosufficientemente idoneo del materiale istruttorio su cui l’esistenza degli elementi di inattendibilità si fonda (particolarmente in riferimento alla asserita “capillare ricostruzione dei dati contabili della stessa parte”), onde consentire a questa Corte di apprezzare se ed in che cosa consista l’erroneo governo della norma di diritto rimproverato al giudice di secondae curae.

Ed infatti:” Poichè l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice “a quo”, asseritamente erronea (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9777 del 19/07/2001).

A ciò non avendo provveduto la parte ricorrente, che si è limitata ad un richiamo non specifico e non esaustivo delle risultanze di causa, il motivo di impugnazione si palesa quindi, nel suo complesso, inammissibile.

La regolazione delle spese di lite di questo grado di giudizio è informata al criterio della soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di questo grado che si liquidano in Euro 4.700,00 di cui Euro 4,500,00 per onorario ed il resto per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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