Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14364 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. I, 25/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 25/05/2021), n.14364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28538/2017 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie n. 114,

presso lo studio dell’avvocato Buononato Lucia, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore Dott.ssa

E.S., elettivamente domiciliato in Roma, Viadotto Gronchi n.

13, presso lo studio della Dott.ssa Persico Maria, rappresentato e

difeso dall’avvocato Persico Livio, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

G.A.M. – Gruppo Alimentare Meridionale s.p.a. in concordato

preventivo;

– intimata –

avverso la sentenza n. 222/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 222/2017, depositata il 26.10.2017, ha rigettato il reclamo proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza n. 171 del 21.7.2017 con cui il Tribunale di Napoli ne ha dichiarato il fallimento.

Il giudice di secondo grado ha, preliminarmente, rigettato le eccezioni di rito sollevate dalla società fallita, con cui era stato lamentato che il ricorso di fallimento era stato indirizzato al Giudice monocratico del Tribunale di Napoli, anzichè a quello collegiale, che la procura conferita dal creditore istante G.A.M. s.p.a. al proprio difensore era stata sottoscritta da un amministratore la cui carica era già cessata e che l’istanza di fallimento, benchè proposta da società ammessa alla procedura di concordato preventivo, era stata presentata senza previa autorizzazione del G.D..

La Corte d’Appello, inoltre, dopo avere ritenuto la legittimazione a richiedere il fallimento in capo alla G.A.M. s.p.a., il cui credito era portato da una cambiale (a nulla rilevando la validità o meno della notifica del precetto cambiario), ha ritenuto sussistente lo stato di insolvenza, valorizzando il mancato deposito dei bilanci degli esercizi 2014, 2015 e 2016 (nonchè di una situazione patrimoniale aggiornata), l’ingente debito di Euro 1.833.790,00, di cui non era stato provato il successivo pagamento, oltre alla dissoluzione dell’attivo (nessun bene da inventariare era stato rinvenuto) ed alla chiusura dei locali dell’impresa.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.r.l., affidandolo a sei motivi.

Il fallimento (OMISSIS) s.r.l. si è costituito in giudizio con controricorso.

La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. con cui

ha eccepito l’inammissibilità del controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le eccezioni sollevate in memoria dalla ricorrente in ordine alla ammissibilità del controricorso del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. sono infondate.

In primo luogo, destituita di fondamento è l’eccezione secondo cui il controricorso risulterebbe dalla intestazione proposto per il curatore e non per il fallimento (OMISSIS) s.r.l. In realtà, dalla stessa intestazione del controricorso emerge che la curatela è stata espressamente autorizzata alla presentazione di tale atto “giusto decreto reso dal G.D. Dott. D.F. in data 19 dicembre 2017”, con la conseguenza che il controricorso non è certo stato redatto e notificato dal curatore in proprio, ma sempre e solo nella sua qualità di organo della procedura.

Parimenti infondata è l’eccezione con cui si lamenta che il controricorso sarebbe stato erroneamente notificato alla G.A.M. s.p.a. e non agli organi concordatari della medesima, nonostante l’ammissione della predetta società alla procedura di concordato preventivo.

Questa Corte ha già statuito (vedi Cass. n. 4395/1987) che “durante le fasi di ammissione, omologazione ed esecuzione del concordato preventivo, anche se questo avvenga con cessione dei beni, la società che vi sia sottoposta conserva la piena capacità processuale, avendo il liquidatore dei beni ceduti (L. Fall., art. 182) e il Commissario giudiziale (L. Fall., art. 163, n. 3 e art. 185), a differenza del curatore del fallimento, compiti e prerogative esclusivamente interni alla procedura fallimentare, restando la società rappresentata dagli organi che per legge la pongono in rapporto con i terzi; pertanto, se nelle more del giudizio di secondo grado, una società viene ammessa alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, la notifica dell’appello deve essere eseguita nei confronti della società non in persona del liquidatore e del Commissario giudiziale bensì dal legale rappresentante della società” (conf. Cass. n. 13340/2009).

2. Con il primo motivo è stato dedotto l’omesso esame circa un punto decisivo della controversia già oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta la società ricorrente che, nonostante avesse nell’atto di reclamo denunciato l’irregolarità della notifica del ricorso di fallimento – segnatamente, che dalla relata di notifica effettuata dall’Ufficiale Giudiziario non risultava nè la richiesta da parte della G.A.M., nè la sottoscrizione dell’istanza da parte del legale del creditore, e che non vi era nessuna attestazione di deposito di copia dell’istanza di fallimento notificata presso la Casa comunale del Comune di (OMISSIS) – la Corte d’Appello di Napoli non aveva minimamente esaminato tale punto decisivo della controversia.

3. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che la censura svolta dalla società ricorrente, pur apparentemente formulata come vizio di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in realtà, non denuncia l’omessa valutazione da parte della Corte d’Appello di un fatto “storico” decisivo per la soluzione della lite, bensì un “error in procedendo”, consistito nella omessa decisione su una censura di irregolarità della notifica del ricorso di fallimento.

Va, in proposito, osservato che, come anche recentemente affermato da questa Corte (vedi Cass. n. 23834 del 25/09/2019), in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti. Ove, dunque, si lamenti l’omessa decisione su una specifica doglianza, concernente un error in procedendo, che sarebbe stata formulata nell’atto di impugnazione (reclamo), la parte istante è onerata, in ossequio al principio di autosufficienza, di indicare elementi e riferimenti atti ad individuare nei suoi termini esatti, e non genericamente, il contenuto dell’impugnazione (vedi anche Cass. n. 7499/2020).

Nel caso di specie, ad avviso di questo Collegio, il motivo difetta di autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato in termini esatti come aveva denunciato l’invocato error in procedendo nel sesto motivo di reclamo – il quale investiva anche i diversi profili della inesistenza del precetto notificato e la dedotta insussistenza del credito rivendicato con la cambiale – avendo fatto mero riferimento alla “erroneità della sentenza per irregolarità della notifica dell’istanza di fallimento” (pag. 6 ricorso), ed essendosi limitato ad indicare, quanto alle modalità di formulazione della censura (secondo parte controricorrente svolta per la prima volta in sede di legittimità), la pag. 11 del reclamo, senza minimamente indicarne il contenuto.

4. Con il secondo motivo è stata dedotta la falsa applicazione della L. Fall., artt. 9,15,23 e delle norme sulla composizione, monocratica o collegiale, del Tribunale ex art. 50 c.p.c., violazione che è stata ritenuta erroneamente sanabile dalla Corte d’Appello, ex art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo.

Lamenta la ricorrente che, avendo il creditore istante indirizzato l’istanza di fallimento al Giudice Delegato, anzichè al Tribunale in composizione collegiale, il Tribunale fallimentare non avrebbe potuto d’ufficio esaminare tale istanza.

5. Il motivo è infondato.

Va osservato che la sentenza impugnata ha evidenziato che l’istanza di fallimento è stata indirizzata al “Tribunale di Napoli, sezione fallimentare”, pur rivolta nello specifico al giudice delegato.

Emerge quindi in modo inequivocabile che il creditore istante ha investito con la propria istanza la sezione Fallimentare del Tribunale di Napoli, la quale, all’esito dell’istruttoria prefallimentare, ha dichiarato il fallimento della società ricorrente in composizione collegiale.

Non vi è stata dunque una violazione nè della L. Fall., artt. 9, 15, 23, nè dell’art. 50 bis c.p.c., sulla composizione del Tribunale. Quanto allo specifico riferimento nell’istanza di fallimento al Giudice Delegato, verosimilmente determinato dalla conoscenza della prassi in uso presso i Tribunali di delegare l’istruttoria fallimentare ad uno dei giudici della Sezione Fallimentare, si tratta di una mera irregolarità non idonea a dar luogo ad alcuna nullità suscettibile di sanatoria.

Infatti, in base al combinato disposto dell’art. 163 c.p.c. n. 1 e art. 164 c.p.c., è integrata la nullità della citazione solo allorquando sia omessa o risulti assolutamente incerta l’indicazione del Tribunale davanti al quale la domanda è proposta, vizio che non sussiste, nel caso di specie, essendo l’istanza di fallimento stata indirizzata al Tribunale di Napoli, sezione fallimentare.

Nè, infine, può ritenersi che il Tribunale abbia “d’ufficio” esaminato, in composizione collegiale, l’istanza di fallimento, essendosi, invece, limitato correttamente ad interpretare la domanda, anche alla luce del principio della conservazione degli effetti degli atti giuridici.

6. Con il terzo motivo è stata dedotta la falsa applicazione dell’art. 2385 c.c., in luogo dell’art. 2386 c.c..

Espone la ricorrente che l’istanza di fallimento è stata presentata dal legale della G.A.M. s.p.a. in virtù di procura rilasciata in data 16.5.2017 dall’amministratore sig. G., la cui carica, come quella degli altri componenti del Consiglio di Amministrazione, era, tuttavia, già cessata improrogabilmente con l’esercizio 2016, terminato il 31.12.2016, atteso che il termine massimo della durata di tale carica, anche a norma dell’art. 19 dello Statuto, è di tre anni ed i tre componenti erano stati nominati nell’esercizio 2014.

Nè può applicarsi il c.d. istituto della prorogatio, avendo l’art. 19 dello Statuto disciplinato espressamente la durata del mandato, non consentendo una scadenza successiva alla chiusura del terzo esercizio, coincidente, nel caso di specie, con il 31.12.2016.

7. Il motivo è infondato.

Va osservato che correttamente la Corte d’Appello, nel rigettare l’eccezione sopra illustrata, ha evidenziato che alla data del rilascio della procura (16.5.2017) non era stato ancora approvato il bilancio dell’esercizio al 31.12.2016.

In proposito, come emerge dal tenore testuale dell’art. 2383 c.c., comma 2 – secondo cui, “gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi, e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica”” – il triennio in carica degli amministratori di una società per azioni non scade in coincidenza dell’ultimo giorno dell’anno solare dell’ultimo esercizio (quindi con il 31.12), ma il giorno dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio. Non a caso, nel caso di specie, come evidenziato dalla Corte d’Appello, risultava dal certificato camerale della società ricorrente che il consiglio di amministrazione sarebbe rimasto in carica “fino all’approvazione del bilancio al 31.12.2016”.

Va, infine, osservato che l’affermazione di parte ricorrente secondo cui lo Statuto della G.A.M. (art. 19) avrebbe ristretto la durata del mandato, non consentendo una scadenza successiva al 31.12.2016 è infondata, limitandosi l’art. 19 dello statuto a prevedere che la durata della carica degli amministratori non può essere superiore ai tre esercizi, clausola che deve quindi essere letta in conformità con il preciso dettato dell’art. 2383 c.c., comma 2.

8. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione della L. Fall., art. 167, per non avere la Corte d’Appello ritenuto necessaria l’autorizzazione scritta del Tribunale fallimentare nonostante la G.A.M. s.r.l. fosse stata ammessa alla procedura di concordato preventivo.

Espone la ricorrente che il ricorso per la dichiarazione di fallimento non è un mero atto di recupero di un credito, consistendo in un’attività da cui potrebbe derivare una diminuzione del patrimonio a garanzia dei creditori (nel caso di specie, la ricorrente aveva chiesto nel giudizio di reclamo la condanna della G.A.M. s.p.a., creditore istante, al risarcimento dei danni).

9. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Va preliminarmente osservato che, a norma della L. Fall., art. 167, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione compiuti dal debitore in concordato senza l’autorizzazione del G.D. (o del Tribunale se compiuti nella fase anteriore all’apertura della procedura) non sono efficaci nei confronti dei creditori concordatari.

Orbene, nel caso di specie, non risulta affatto che la ricorrente sia creditrice della G.A.M. s.p.a. ed abbia quindi un interesse giuridicamente rilevante a formulare il motivo. Se è pur vero che nell’odierno ricorso l'(OMISSIS) s.r.l. si è autoqualificata come creditore della G.A.M. s.p.a., si tratta di una mera asserzione della ricorrente smentita dai giudici di merito che, sulla base di una delibazione incidentale, hanno ritenuto la G.A.M. titolare di un credito nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. e, come tale, legittimata a richiedere la dichiarazione di fallimento.

In ogni caso, secondo quanto recentemente ritenuto da questa Corte (vedi Cass. n. 4713/2019), l’eccedenza di un atto rispetto alla ordinaria amministrazione richiede l’oggettiva idoneità dell’atto medesimo ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, senza neppure la prospettiva di acquisizione di utilità prevalenti.

Nel caso di specie, non può sostenersi che la mera richiesta di risarcimento del danno formulata dalla società fallita nei confronti della G.A.M. s.p.a. nel giudizio di reclamo desse luogo ad una oggettiva idoneità dell’istanza di fallimento presentata dalla G.A.M. s.p.a. ad incidere sul patrimonio concordatario, essendo il sopra descritto evento pregiudizievole rappresentato dalla ricorrente del tutto eventuale, mentre, per contro, la GAM s.p.a. aveva depositato l’istanza di fallimento nella prospettiva di recupero di un ingentissimo credito (circa Euro 500.000,00) e quindi di acquisire un’utilità di gran lunga prevalente.

10. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 8 Legge Cambiaria.

Espone la ricorrente che, secondo la norma sopra indicata, in caso di obbligazione assunta da una persona giuridica, la sottoscrizione di colui che la rappresenta deve essere apposta per esteso, e ciò allo scopo di identificare la persona fisica che si obbliga in nome della società con la riconoscibilità della sua firma. Nel caso di specie, dall’esame della fotocopia della cambiale depositata dalla GAM s.p.a. è impossibile individuare il nome del sottoscrittore del titolo per illeggibilità della firma, con conseguente violazione del requisito formale dell’art. 8 della Legge Cambiaria.

11. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che la Corte d’Appello ha evidenziato che la cambiale azionata dalla GAM s.p.a. è stata sottoscritta con firma apparente dell’amministratore.

Il giudice di secondo grado non ha affatto rilevato l’illeggibilità della firma (limitandosi a dare atto della contestazione in questi termini della società poi fallita) e la sua non riconducibilità all’amministratore, e tale valutazione in fatto non è sindacabile in sede di legittimità.

12. Con il sesto motivo (erroneamente indicato come settimo), è stata dedotta la violazione della L. Fall., artt. 15 e 18.

Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto la sussistenza dello stato di insolvenza. A differenza di quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, è stato depositato presso la Camera di Commercio il bilancio 2014, dal quale era risultato evidente che la (OMISSIS) stava pagando i propri creditori, con decremento di debiti per Euro 800.000,00 dal 2013 al 2014.

Inoltre, non risultavano a carico della fallita provvedimenti monitori, azioni esecutive, precetti o protesti, con la conseguenza che la stessa si trovava solo in un periodo di temporanea difficoltà imputabile alla stessa GAM s.p.a..

13. Il motivo è inammissibile.

Nella parte narrativa è stata già riportata l’articolata motivazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto sussistente lo stato di insolvenza.

Sul punto, tutte le censure formulate dalla ricorrente, finalizzate a dimostrare l’insussistenza dello stato di decozione, si appalesano inammissibili, atteso che il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto incensurabile in Cassazione, ove – come nel caso di specie – sia sorretto da una motivazione esauriente e giuridicamente corretta (vedi, in motivazione, Cass. n. 9151/2020; Cass. 25474/2019; Cass. 17105/2019, tutte non mass.).

Peraltro, la ricorrente non ha neppure censurato il vizio di motivazione (comunque giuridicamente rilevante nei soli limiti in cui si tramuti in un vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante, secondo i criteri di cui alla sentenza delle Sezioni Unite di questa n. 8053/2014).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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