Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14363 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 08/07/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 08/07/2020), n.14363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16688-2016 proposto da:

R.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 66, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPAGNUOLO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

a

“VOCE DEL MARE S.R.L.”, quale soggetto incorporante, in seguito a

fusione per incorporazione, della Società “HOTEL VOCE DEL MARE

S.R.L.”, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati IANLUIGI COMEGLIO, LUIGI

SALERNO, GIOVANNI CAPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1551/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 26/01/2016 R.G.N. 2093/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta da R.M.P. nei confronti della Hotel Voce del Mare s.r.l. tesa ad ottenere il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel periodo dal 1.2.1980 al 30.9.1992 con mansioni di impiegata contabile e la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive ed al risarcimento del danno in relazione al mancato versamento dei contributi.

2. Il giudice di appello ha ritenuto che correttamente il Tribunale aveva dichiarato prescritti i crediti per differenze retributive azionati non essendo stata offerta la prova rituale dell’avvenuta interruzione del termine che era onere della lavoratrice offrire. Del pari ha ritenuto che non fosse stata provata l’esistenza del rapporto di lavoro in regime di subordinazione per la durata affermata evidenziando che la R. apparteneva al nucleo familiare della proprietà della struttura ricettiva di cui era titolare il genitore della stessa. Ha ritenuto che la presenza costante della R. nei locali dell’impresa ben si giustificava con l’esigenza di controllarne il buon andamento ed ha evidenziato che l’istruttoria non aveva offerto elementi utili di valutazione in senso contrario. Ha perciò rigettato la domanda risarcitoria proposta in relazione all’omesso versamento dei contributi.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la R. con due motivi ai quali resiste, con controricorso, la Voce del Mare s.r.l. che ha incorporato la società Hotel Voce del Mare s.r.l.. La R. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2648 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, è inammissibile.

4.1. Con la censura si sostiene che la dichiarazione del debitore di riconoscimento della maturata obbligazione, depositata in giudizio e non disconosciuta, esimeva la lavoratrice dall’offrirne la prova. Inoltre si deduce che era stato depositato un atto interruttivo della prescrizione, datato 28.7.1995, il cui esame era stato trascurato sia dal Tribunale che dalla Corte di appello e che era idoneo, contrariamente a quanto affermato, ad interromperne il corso. Si evidenzia che ai fini dell’interruzione della prescrizione non è richiesta alcuna forma specifica e che si trattava di un “documento non contestato”.

4.2. Va tuttavia rilevato che il giudice di appello ha preso in esame proprio quel documento e ne ha escluso l’idoneità ad interrompere la prescrizione per un duplice ordine di ragioni: a) non era stata offerta la prova dell’avvenuto invio della missiva; b) il documento era stato tardivamente prodotto. Tali affermazioni non sono specificatamente censurate nel ricorso.

4.3. Ne consegue che ove la censura investa, come nella specie, questioni del tutto estranee all’ordito motivazionale della corte distrettuale e non muova alcuna critica alla ratio decidendi posta a base della decisione impugnata, ne deve essere dichiarata l’inammissibilità. (cfr. Cass. 10/04/2018 n. 1755 e 10/08/2017 n. 19989). Secondo la giurisprudenza di questa Corte il motivo d’ impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito. Tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass. Ult. Cit. ed ivi ulteriori riferimenti di giurisprudenza).

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dei principi relativi all’onere della prova (art. 2697 c.c.) ed all’esame ed alla valutazione delle prove (artt. 112-115 e 116 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

5.1. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte di merito avrebbe collegato la continuativa presenza della R. nell’Hotel gestito dalla società all’esistenza del vincolo familiare. In tal modo sarebbero state trascurate le dichiarazioni dei testi escussi dalle quali si evinceva l’esistenza di un vero e proprio vincolo di subordinazione. Inoltre non si sarebbero tratte le necessarie conclusioni dall’accertata esistenza di un rapporto subordinato in periodi determinati.

6. Anche questo motivo è infondato.

6.1. Va rammentato che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27/12/2016 n. 27000), e non è questo l’oggetto della censura che mira invece ad una diversa, non consentita, valutazione del materiale probatorio.

Va poi ricordato che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (cfr. Cass. 23/10/2018 n. 26769) ed in tale violazione non è incorsa la Corte di merito che, distribuendo correttamente gli oneri della prova, ha verificato se la ricorrente che ne era onerata aveva dimostrato di aver interrotto validamente la prescrizione del diritto azionato.

7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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