Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14362 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. I, 25/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 25/05/2021), n.14362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) S.A.S. (OMISSIS), in persona del socio accomandatario

D.P. e D.P., entrambi rappr. e dif.

dall’avv. Gianluca Guerrieri,

gianluca.guerrieri.ordineavvocatibopec.it, elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Stefano Valentini, in Roma, via F. Corridoni n. 14,

come da procura in calce all’atto e poi ulteriore atto di

costituzione di nuovo difensore 23.5.2016;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) E DEL SOCIO ACCOMANDATARIO D.D.,

in persona del cur. fall. p.t., rappr. e dif. dall’avv. Edgardo

Ricciardiello, e.ricciardiello.ordineavvocatibopec.it, nonchè

dall’avv. Tommaso Spinelli Giordano,

tommasospinelligiordano.pec.studiolegalesg.it, elett. dom. presso lo

studio del secondo, in Roma, via L. Bissolati n. 76, come da procura

in calce all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Bologna 23.9.2015, n. 1574, in

R.G. 1158/2015, rep. 1475/2015;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 10 febbraio 2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) S.A.S. (OMISSIS), in persona del socio accomandatario D.P. e D.P. impugnano la sentenza App. Bologna 23.9.2015, n. 1574, in R.G. 1158/2015, rep. 1475/2015 che ne ha respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del rispettivo duplice fallimento, resa da Trib. Rimini 8.4.2105, n. 28/2015, su istanza dei creditori M.G., A.A., D.B.M. s.r.l., Mu.Ru., V.N., G.A., S.M., UK Pitomina, Studio Commerciale Associato B., M.G. Consulting-Media Gestum Consulting s.r.l. e conseguentemente al decreto di inammissibilità (di pari data) delle domande di concordato nn. 23 e 37 del 2014 già presentate in successione dalla medesima società ora ricorrente;

2. la corte ha premesso che: a) una prima domanda per l’ammissione al concordato preventivo prenotativo, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, era stata depositata il 17.6.2014, con successiva proroga di ulteriori 60 giorni del termine di deposito di proposta, piano e documentazione concessa il 27.8.2014; b) convocata la debitrice, a seguito di segnalazione da parte del commissario giudiziale di pagamenti non autorizzati di debiti pregressi e dunque in sede di incidente L. Fall., ex art. 173, veniva chiamata – per la stessa data del 6.11.2014 – anche l’audizione di ricorrenti con istanze di fallimento; c) nella medesima data d’udienza, la debitrice depositava nuova domanda di concordato cd. pieno, cui seguivano le udienze del 20.11.2014 e 8.1.2015; d) per il tribunale, la prima domanda era ritenuta incompleta, per mancato scioglimento in termine (all’8 gennaio 2015) della riserva, anche considerando il periodo feriale, mentre la seconda configurava un abuso dello strumento, poichè utilizzata solo per neutralizzare le istanze di fallimento, mancando in essa, salvo “poche righe”, l’allegazione del piano e la indicazione di modalità e tempi di adempimento, risolvendosi inoltre l’attestazione in mera ripetizione della proposta e con valutazioni finali generiche;

3. secondo la corte – sulla constatazione che erano pacifici e non contestati i presupposti di fallibilità – il reclamo era articolato su due motivi: per il primo, il deposito di proposta e piano al 6.11.2014 era tempestivo, per il secondo non sussistevano atti di frode o abuso, mentre la domanda più recente, al di là della qualificazione datane dal difensore, non poteva dirsi nuova, essa era altresì completa nel senso della cessione dei beni, vantaggiosa rispetto al fallimento, il debitore non era stato correttamente sentito, se non sulle istanze di fallimento, senza un termine per integrare la documentazione;

4. a tenore della sentenza, la infondatezza del reclamo ineriva, in primo luogo, al diritto di difesa, essendo state tenute più udienze parallele sui ricorsi di fallimento e i concordati, con possibilità di effettiva interlocuzione (anche con memorie) del debitore e dei suoi difensori, nè sussisteva un obbligo di concedere un termine per eventuali integrazioni o anche solo di indicare carenze cui porre rimedio, mentre la consecuzione decisoria era stata rispettata avendo il tribunale prima dichiarato l’inammissibilità dei concordati e poi il fallimento; c) la diversità del secondo ricorso del 6.11.2014 rispetto a quello precedente (non ritirato dalla società) e solo prenotativo, determinava che alla data dell’8.1.2015 il termine d’integrazione del primo era spirato, mentre lo stesso deposito di altro concordato il giorno di convocazione L. Fall., ex art. 173 e in pendenza di istanze di fallimento ben poteva costituire abuso dell’istituto; d) a voler configurare il secondo concordato quale “sbocco del ricorso in bianco”, in alternativa, erano condivise le valutazioni d’insufficienza, irritualità e incompletezza già fatte proprie dal primo giudice, sia per la genericità della stessa formula della cessione dei beni, sia per l’incongrua motivazione dell’attestazione, di fatto perplessa, priva di illustrazione sui controlli effettuati su contabilità, adeguatezza delle stime e giudizio di fattibilità, così integrando fattori di carenza informativa;

5. (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) ed il socio illimitatamente responsabile D.P. affidano al ricorso sette motivi, con memoria finale; resiste con controricorso il Fallimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 742 del 1969, art. 3 e del R.D. n. 12 del 1941, art. 92 e contestano anche “l’omesso esame ex art. 360 c.p.c.”; asseriscono che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibile, per scadenza del termine, la documentazione depositata ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, dovendo invece fare applicazione della disciplina relativa alla sospensione feriale (L. n. 742 del 1990, artt. 1 e 3) e avendo riguardo non all’udienza dell’8 gennaio 2015, bensì a quella di convocazione dell’anteriore 6 novembre 2014;

2. il motivo è inammissibile in alcuni profili ed infondato quanto ad altri; appare invero del tutto generica la pretesa “omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5” che figura nella rubrica del motivo, inammissibile poichè, come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. Cass. s.u. 8053/2014), solo l’omessa valutazione di un fatto determinato e decisivo che è stato oggetto di discussione (e non più la mera carenza o insufficienza di motivazione) può costituire valido motivo di ricorso per cassazione; nel nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, s’introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); sul punto, i ricorrenti non indicano, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso; la corte, infatti, si è diffusa e ha esplicitamente argomentato quanto all’improprietà del richiamo alla cennata tempestività dell’adempimento muovendo dalla qualificazione espressa data dalla stessa parte alla proposta di concordato (“nuovo”) depositata solo il 6 novembre 2014, dall’omessa espressa revoca della precedente ed altresì, anche a considerare la seconda proposta quale adempimento della domanda di concordato prenotativo, alla stregua di atto insufficiente, incompleto ed irrituale, con vizi ripetuti pure nell’attestazione accompagnatoria;

3. la doglianza è peraltro, sotto diversa angolazione di censura, del tutto infondata, infrangendosi contro il principio per cui “allorchè il concordato preventivo con riserva sia proposto in pendenza di istanza di fallimento, i termini concessi dal giudice per il deposito della proposta, del piano e della documentazione non sono soggetti alla sospensione feriale, in forza di quanto previsto dalla3 della L. n. 742 del 1960, art. 3, che, attraverso il richiamo al R.D. n. 12 del 1941, rt. 92, la esclude per i procedimenti relativi alla dichiarazione e revoca di fallimenti” (Cass. 15435/2018); nella vicenda, è pacifica sia la pendenza di molteplici istanze di fallimento al sopraggiungere della prima domanda di concordato (e mai ritirate), sia la fissazione ancora anteriore delle udienze di trattazione delle stesse, sia la contestuale convocazione in parallelo delle audizioni sia nel procedimento dichiarativo L. Fall., ex art. 15, sia per l’incidente L. Fall., ex art. 173, provocato dai rilievi del commissario giudiziale; il termine era dunque non prorogabile anche e già all’udienza citata del 6 novembre 2014, per quanto il giudice del merito abbia affrontato la questione pregiudiziale (ed alternativa) dell’abuso dello strumento concordatario (attivato come nuovo in quel frangente) ovvero della sua improprietà (ove depositato dal ricorrente a scioglimento della riserva); tanto più che, si ripete, nel caso di cumulo di istruttoria prefallimentare e concordataria “è escluso che al debitore possa assegnarsi un termine per il deposito della proposta e del piano non coincidente con quello fisso di sessanta giorni espressamente previsto dalla L. Fall., art. 161, comma 10, in quanto la norma esclude che il tribunale possa operare al riguardo una valutazione discrezionale” (Cass. 25602/2018):

4. con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si contesta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160 e segg., artt. 833,1175 e 1375 c.c.; parte ricorrente si duole del fatto che la corte abbia erroneamente ritenuto la novità del piano e del progetto pur in presenza di una prima domanda di preconcordato per definizione in bianco ed eccepisce altresì che i movimenti finanziari eseguiti dalla società (OMISSIS) non sarebbero qualificabili quali “atti di frode”, avendo la società agito in buona fede;

5. il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160, 161, 162 e artt. 1362 c.c. e segg., contestandosi la sentenza ove ha ritenuto non rituale nè completa L. Fall., ex artt. 160-161, la (seconda) domanda di ammissione al concordato, poichè il piano sarebbe stato completo e l’attestazione attendibile, nonchè nella parte in cui la corte non ha concesso al debitore un termine per integrare il piano ovvero non ha effettuato la comparazione rispetto all’alternativa fallimentare;

6. tali motivi, ad opportuno esame congiunto perchè connessi e per quanto frammentati – ciascuno – in censure di poco ordinata mescolanza, sono inammissibili per plurimi profili e infondati per altri; essi in primo luogo peccano di difetto di specificità, omettendo di riportare le difese sui vari punti opposte in sede di merito, così indicandone la tempestività di deduzione ed altresì di coerenza, assortendo vizi eterogenei e circostanze che non permettono di distinguere una puntuale critica a precisi punti argomentativi della sentenza; invero, questa Corte (cfr. Cass. n. 27686 del 2018) ha chiarito che non integra violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. s.u. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); orbene, le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì – come nella specie – all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce dell’istruttoria, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015);

7. alla conseguente statuizione di inammissibilità relativa all’accertamento dei fatti compiuto sulla base degli elementi probatori acquisiti, si perviene già solo osservando che la corte d’appello – con motivazione della sentenza impugnata sul punto (pag. 6, par. 4.3) non apparente nè manifestamente illogica (cfr. Cass. s.u. 8053/2014) – ha condiviso il giudizio di novità del piano, già dalla qualificazione inequivoca ad esso conferito dalla parte stessa ed ha ampiamente argomentato, anche con riferimento alle conclusioni del tribunale, in ordine all’inidoneità rispetto allo schema legale della seconda domanda e dell’attestazione;

8. la decisione appare inoltre non adeguatamente impugnata con riguardo ad altra ratio decidendi, in cui si è rilevata la contraddizione preclusiva della mancata rinuncia alla prima domanda al fine di trattare in modo unitario un’eventuale seconda, principio anche di recente ribadito da Cass. 7577/2019, per la quale l’ammissione alla procedura di concordato preventivo impedisce la proposizione di un’ulteriore ed autonoma domanda di concordato rispetto a quella originaria poichè, rispetto al medesimo imprenditore e alla medesima insolvenza, il concordato non può che essere unico, una unicità necessaria la quale “fa sì che il debitore, a seguito della proposizione di un ricorso per concordato preventivo con riserva L. Fall., ex art. 161, comma 6, possa depositarne uno nuovo L. Fall., ex art. 161, comma 1, corredato ab initio dalla proposta, dal piano e dai documenti, sempre che dallo stesso si desuma la rinuncia alla pregressa domanda “con riserva” e la nuova domanda non si traduca in un abuso dello strumento concordatario”, rinuncia e non abuso invece motivatamente esclusi in sentenza;

9. i motivi, inoltre, appaiono generici ove, chiedendo di sovvertire l’ampio giudizio di incongruità del piano e di carenza di completezza e univocità della relazione dell’attestatore invocano, nella sostanza, una rivisitazione dell’apprezzamento di fatto proprio del giudice di merito, anche su tali punti esplicito ed argomentato in modo non apparente;

10. non merita infine accoglimento la censura nella parte in cui afferma che, in presenza di lacune, il giudice avrebbe senz’altro dovuto colmarle concedendo al debitore un termine (non superiore a quindici giorni) per apportare integrazione al piano o produrre nuovi documenti; in realtà, la L. Fall., art. 162, comma 1, nello stabilire che il tribunale “può” (e non deve) concedere il termine in questione, attribuisce al giudice un potere di natura discrezionale, il cui mancato esercizio non necessita di motivazione e non è censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 11882/2020); in ogni caso il predetto termine, che il tribunale discrezionalmente concede al debitore, può essere utilizzato per provvedere ad una integrazione documentale ma non per supplire ad una carenza iniziale del corredo documentale che deve accompagnare il ricorso per concordato preventivo, il quale deve essere sin dall’origine munito della documentazione prescritta; nella specie, il ricorso di concordato era ab origine carente, quanto alla prima domanda inammissibile per tardività del deposito della documentazione, quanto alla seconda, abusiva per i profili già trattati, con mera allegazione di un piano descritto “in poche righe”, di incerta qualificazione economico-prospettica e un’attestazione sostanzialmente immotivata e ripetitiva della proposta, oltre che “perplessa”, perchè appoggiata a fattori di rilevata incertezza, in elusione del precetto normativo che impone non una generica asseverazione comunque resa sulla fattibilità bensì e proprio una positiva e precisa attestazione di fattibilità del piano, oltre che di veridicità della documentazione, elementi invece trascurati nel citato atto; ne consegue l’inammissibilità degli altri, residui e subordinati, profili di censura;

11. con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 15 e 162, art. 101 c.p.c. e artt. 24 e 111 Cost., si contesta l’illegittimità della sentenza dichiarativa di fallimento e del decreto di inammissibilità alla procedura concordataria per essere stato violato il principio del contraddittorio, posto che il tribunale avrebbe dovuto sentire il debitore in Camera di consiglio prima di adottare i suddetti provvedimenti; la censura è infondata, per la decisiva ed assorbente ragione che la convocazione rispetto alla richiesta di dichiarazione di fallimento risulta esservi stata e, stante l’evidente incompatibilità tra tale eventuale dichiarazione e l’ammissione alla procedura concordataria, di fatto riunita, essa non poteva non implicare la discussione anche sull’eventuale ammissione a concordato, alternativa al fallimento (Cass. 12957/2016);

12. la L. Fall., art. 162, si limita a prevedere che la declaratoria d’inammissibilità della proposta di concordato preventivo sia emessa “sentito il debitore in Camera di consiglio”, e nulla vieta che tale audizione coincida con quella relativa ad eventuali istanze di fallimento, com’è anzi consigliato dalla stretta connessione di quella proposta e di quelle istanze, suscettibili di sfociare in provvedimenti – decreto d’inammissibilità del concordato e sentenza dichiarativa del fallimento – a loro volta strettamente collegati, al punto che il primo ben può essere contenuto nella seconda (Cass. 11423/2014), stante la sostanziale identità del presupposto oggettivo (lo stato di insolvenza) della procedura di concordato preventivo e di quella di fallimento, sul quale quindi il debitore era già stato messo nella condizione di controdedurre nell’ambito dell’unitaria convocazione (Cass. 9370/2018, 17532/2020);

13. in tal senso risulta pienamente rispettato il principio del coordinamento tra le due procedure, posto che la società e il suo socio accomandatario, entrambi rappresentati dal medesimo difensore, erano stati sentiti nella relativa udienza già fissata, per la discussione dei ricorsi di fallimento promossi nei confronti della prima (ed ai quali doveva considerarsi riunita la sua domanda concordataria), proprio lo stesso giorno (6.11.2014) di detto deposito, così assicurandosi il diritto di difesa anche in ordine alla menzionata domanda, senza che si rendesse necessaria una (ulteriore) audizione sul punto – peraltro poi avvenuta nelle successive udienze del 20.11.2014 e dell’8.01.2015;

14. con il quinto motivo si reitera la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della L. Fall., artt. 161,162 e 180, poichè la sentenza gravata non avrebbe fatto corretta applicazione delle regole che presiedono ai rapporti tra concordato preventivo e fallimento;

15. il motivo è in parte assorbito dalle reiezioni dei due precedenti e per altro profilo infondato; come sottolineato dalla corte, in realtà il tribunale ha rispettato il principio di prevenzione decisoria del concordato, dapprima pronunciando l’inammissibilità della proposta concordataria alla luce dei rilievi commissariali e solo in seguito valutando i presupposti per la dichiarazione di fallimento nell’ambito di un autonomo e separato procedimento, cui il debitore era stato messo in condizione di partecipare, così assolvendo il primo giudice, attraverso la citata riunione, al doveroso canone del coordinamento istruttorio;

16. secondo l’indirizzo puntualizzato da Cass. s.u. 9935 e 9936 del 2015, la correlazione istruttoria e decisoria tra i due procedimenti deve necessariamente realizzarsi attraverso il previo esaurimento del concordato; ed in particolare, ove praticabile, ben può essere utilizzato lo strumento della riunione dei procedimenti a norma dell’art. 39, comma 2 e art. 273 c.p.c., soluzione che consente al tribunale, in caso di esito negativo della domanda di concordato, di provvedere immediatamente sulle istanze di fallimento riunite, così ridimensionando proprio il rischio di un abuso dell’istituto realizzato mediante l’artificiosa reiterazione della domanda al solo scopo di evitare la dichiarazione di fallimento (Cass. 4343/2020);

17. con il sesto motivo si contesta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 15 e 162, art. 101 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost.; il motivo è manifestamente inammissibile per difetto di specificità, poichè si limita a riportare un brano della sentenza – sulla motivata valutazione di non puntualità della stessa tipologia di concordato e delle modalità adempitive – giustapponendo la dedotta molteplice violazione normativa;

18. la censura non appare pertanto coerente con il principio per cui questa Corte, nell’interpretare l’art. 366 c.p.c., n. 4, ha già affermato che “il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″ (Cass. 17330/2015); ed ancora ha affermato che il ricorso deve contenere “a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate” (Cass. 17125/2007, 4036/2011);

19. il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 161,162 e 163, per avere il giudice ecceduto dai poteri riconosciutigli nella fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo, sindacando il merito del piano; la doglianza è inammissibile per le medesime ragioni di cui al motivo precedente – essendo connotata da un palese difetto di specificità – e, per altro profilo, infondata;

20. la Corte felsinea ha correttamente applicato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, in virtù del quale il sindacato del giudice sulla fattibilità della proposta di concordato preventivo consiste nella verifica sia della compatibilità del piano con norme inderogabili (cd. fattibilità giuridica) sia della sussistenza di un’attitudine del medesimo piano a raggiungere gli obiettivi in esso prefissati (cd. fattibilità economica) (Cass. 7959/2017);

21. in riferimento alla fattibilità economica, nel concordato preventivo, il sindacato officioso del giudice può essere esercitato verificando la sussistenza o meno di una “assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole” (cfr. Cass. s.u. 1521/2013 e, più di recente, Cass. 9061/2017); con riguardo alla seconda, invero, essa ricorre – come accaduto nella specie – nel caso in cui emerga prima facie l’assoluta inidoneità del piano proposto a realizzare la causa concreta della procedura, ossia a soddisfare in qualche misura, seppur minima, i crediti concorsuali entro i termini di adempimento previsti nella proposta, purchè ragionevoli;

22. nella vicenda tanto il tribunale, prima, e la corte d’appello, dopo, hanno rilevato l’assoluta carenza di chiarezza e completezza del ricorso depositato il 6.11.2014, a tal punto da far dubitare della sua qualificazione in termini di concordato con cessione sui beni, difettando modalità precise di liquidazione e adempimento della proposta, apparendo altresì “irrimediabilmente insufficiente” l’attestazione, limitandosi essa ad una ripetizione testuale per oltre 40 pagine della proposta e ad esprimere le “conclusioni” solo nelle ultime due pagine (4244), con affermazioni del tutto generiche e tautologiche sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità, nemmeno specificando se e come i controlli sulla contabilità fossero stati effettuati, infine atteggiandosi ad asseverazione “perplessa”, secondo un apprezzamento di merito d’insufficienza ed estraneità alla tipicità necessaria dell’istituto non censurabili in tale sede (Cass. s.u. 8053/2014);

il ricorso va dunque rigettato; acclarata la soccombenza, sono poste a carico dei ricorrenti le spese del giudizio di legittimità, con liquidazione come meglio da dispositivo; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in Euro 7.000, oltre ad Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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