Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14360 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. I, 25/05/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 25/05/2021), n.14360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26139/2018 proposto da:

Città Metropolitana di Messina, in persona del legale rappresentante

pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, al viale Liegi n.

58, presso lo studio dell’avvocato Scollo Giancarlo, rappresentata e

difesa dall’avvocato Randazzo Giovanni, con procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M.F., G.G., in proprio e quali eredi di

T.E., tutti quali eredi di G.D., elettivamente

domiciliati in Roma, in via Tacito n. 23, presso lo studio

dell’avvocato Vespaziani Emanuele, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Mazzù Carlo, con procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

avverso le sentenze n. 781/12 e n. 162/2018 della CORTE D’APPELLO di

MESSINA, depositate rispettivamente il 19/12/2012 e il 19/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/02/2021 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con citazione in riassunzione G.G. e M.F. convennero innanzi al Tribunale di Messina la Provincia di Messina, esponendo che con citazione del 26.1.01 il padre, D., successivamente deceduto, aveva proposto domanda nei confronti della Provincia suddetta per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione di un terreno con fabbricato nel quale dovevano essere realizzate opere di completamento di un Istituto tecnico che, però, non ebbero luogo.

Con sentenza del 2003 il Tribunale dichiarò il difetto di giurisdizione. La Corte d’appello di Messina, investita del gravame, con sentenza emessa il 13.5.08, dichiarò la giurisdizione del giudice ordinario, disponendo la rimessione al primo giudice. Con sentenza del 6.10.11, il Tribunale dichiarò 1″estinzione del giudizio, accogliendo l’eccezione della Provincia.

I G. proposero appello avverso tale sentenza; la Corte territoriale, con sentenza non definitiva del 19.12.12, rigettate le eccezioni preliminari, accertò l’intervenuta occupazione usurpativa del terreno di proprietà degli appellanti e il loro diritto al risarcimento dei danni; con separata ordinanza emessa in pari data, la stessa Corte di merito dispose che il c.t.u. accertasse con metodo sintetico-comparativo il valore del terreno al gennaio 2001 avuto riguardo alle possibilità legali di edificabilità.

Depositata la c.t.u., con sentenza definitiva del 19.2.18, la Corte territoriale accolse l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, condannò la provincia di Messina al pagamento della somma di Euro 839.216,64 oltre interessi e rivalutazione dal 21.1.01 a titolo risarcitorio, rilevando che: il diritto riconosciuto agli appellanti per il risarcimento dei danni determinati dall’occupazione usurpativa del terreno non era prescritto, venendo in rilievo un illecito permanente il cui termine iniziale della prescrizione decorreva solo dalla cessazione dello stesso illecito che, invece, perdurava ed era dunque attuale al momento della domanda; poichè non si era verificata l’irreversibile trasformazione dell’area, occorreva far riferimento alla data della domanda introduttiva (gennaio 2001) con la quale gli attori richiesero il risarcimento dei danni, rinunziando al loro diritto di proprietà; per il periodo di occupazione precedente, come accertato dalla sentenza non definitiva, competeva agli appellanti l’ulteriore somma compensativa del mancato godimento del bene dall’aprile del 1987 (data dell’inizio dell’occupazione) alla data della domanda introduttiva del giudizio, determinata nella somma di Euro 788.369,30; il c.t.u., con riferimento agli atti comparativi esaminati al gennaio 2001, anzichè alla data dell’occupazione, aveva determinato il valore venale del terreno nella somma di Euro 839.216,64.

La Città Metropolitana di Messina ricorre in cassazione con due motivi, illustrati con memoria.

Resistono con controricorso G.F. e G., in proprio e quali eredi di T.E. e quali unici eredi di G.D..

Diritto

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 353 c.p.c., commi 1 e 2, (nel testo vigente ratione temporis), art. 125bis disp. att. c.p.c. e art. 50 c.p.c., in quanto il giudizio innanzi alla Corte d’appello era stato riassunto tardivamente, con atto notificato il 13.5.09 oltre il termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza d’appello (12.5.08), come peraltro accertato dal Tribunale con la sentenza emessa nel 2011, richiamando varia giurisprudenza sul tema.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., art. 2697 c.c., per l’omessa pronuncia sulla questione della carenza di legittimazione attiva e dell’interesse ad agire della controparte, nonchè omesso esame di un fatto decisivo relativo parimenti alla legittimazione ed all’interesse ad agire.

Al riguardo, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia rilevato che l’attore originario, G.D., e i suoi eredi non avessero dimostrato di essere proprietari del terreno occupato – come peraltro emerso anche in appello, avendo il subentrato difensore degli appellanti formulato una prova testimoniale sulla legittimazione attiva degli eredi – omettendo la pronuncia su tale questione.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2947 e 2948 c.c., in relazione alla maturata, parziale, prescrizione del diritto all’indennità compensativa del mancato godimento del terreno, nonchè dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia e l’omesso esame della suddetta questione. Al riguardo, la ricorrente espone che il Tribunale non aveva esaminato l’eccezione di prescrizione quinquennale per tutte le domande della parte attrice, mentre la Corte d’appello, pur rilevando che in ordine all’occupazione senza titolo la prescrizione non fosse decorsa, stante la natura di illecito permanente, ha omesso di pronunciarsi sulla prescrizione del diritto all’indennità compensativa per il mancato godimento del bene in relazione al periodo dal 1987 al 1996, poichè il relativo periodo decorreva dalle singole annualità.

Preliminarmente, va esaminata l’eccezione d’improcedibilità ex art. 369 c.p.c. sollevata dai controricorrenti, i quali deducono l’inosservanza dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, sul deposito della relata di notificazione della sentenza impugnata, che ha comportato l’improcedibilità del ricorso, a nulla rilevando che tale relata sia stata inserita nel fascicolo d’appello dopo il ricorso con l’istanza al Presidente della Corte d’appello. Al riguardo, va rilevato che i ricorrenti hanno prodotto l’istanza al Presidente della Corte d’appello di Messina, depositata dopo il deposito del controricorso, avente ad oggetto l’inserimento della relata di notificazione della sentenza impugnata nel fascicolo d’appello e la trasmissione di quest’ultimo alla Corte di cassazione; l’istanza è stata accolta, avendo il Presidente della Corte territoriale autorizzato quanto richiesto.

A seguito dell’eccezione d’improcedibilità, parte ricorrente ha replicato, nella memoria, che la relata di notificazione della sentenza impugnata sarebbe stata inserita tardivamente nel fascicolo d’ufficio dal Presidente della Corte d’appello di Messina, per cui tale documento sarebbe nella disponibilità giuridica e materiale di questa Corte, sicchè non si configurerebbe l’improcedibilità.

L’eccezione è fondata. Non è contestato che la relata di notificazione della sentenza impugnata non sia stata depositata con il deposito del ricorso, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2; la stessa relata è stata pacificamente inserita nel fascicolo del giudizio d’appello a seguito dell’autorizzazione del Presidente della Corte messinese.

Ora, premesso che parte ricorrente, unitamente al ricorso, aveva depositato una precedente istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio del secondo grado, va osservato che è irrilevante l’inserimento della relata nel fascicolo di secondo grado in quanto pacificamente tardivo, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte la quale ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, quando la sentenza impugnata sia stata notificata e il ricorrente abbia depositato la sola copia autentica della stessa priva della relata di notifica, deve applicarsi la sanzione dell’improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, a nulla rilevando che il ricorso sia stato notificato nel termine breve decorrente dalla data di notificazione della sentenza, ponendosi la procedibilità come verifica preliminare rispetto alla stessa ammissibilità. Parimenti, il deposito di una ulteriore istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio, con ad essa allegata anche la relata di notifica della sentenza gravata, avvenuto in data successiva alla comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale non impedisce la menzionata sanzione, atteso che, da un lato, il detto deposito, a tal fine, deve avvenire entro il termine perentorio di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1 e che, dall’altro, non è previsto, al di fuori di ipotesi eccezionali, che nel fascicolo d’ufficio debba inserirsi copia della relata di notifica, trattandosi di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio (Cass., n. 21386/17; n. 13751/18).

In tal senso, occorre rilevare che ancorchè Cass. S.U. n. 10648/2017 abbia in motivazione affermato che, come peraltro sostenuto anche dalla di poco precedente Cass. S.U. n. 25513/16, l’improcedibilità non potrebbe essere dichiarata se la copia autentica della sentenza con relata di notifica, oltre che essere stata prodotta dalla controparte, sia già in possesso dell’ufficio perchè presente nel fascicolo trasmesso dal giudice di appello, la portata di tale affermazione deve essere rettamente confinata alle sole limitate ipotesi in cui la decorrenza del termine breve per ricorrere in cassazione sia ricollegata dalla legge alla comunicazione del provvedimento (come appunto nel caso di cui all’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., della quale ha avuto modo di occuparsi proprio Cass. S.U. n. 25513/2016), ovvero nelle altre ipotesi in cui la legge preveda che sia la stessa cancelleria a notificare la sentenza e che tale notificazione sia idonea a far decorrere il termine di cui all’art. 325 c.p.c..

Solo in tali ipotesi, nelle quali la legge stessa ricollega la decorrenza del termine per impugnare al compimento di attività doverose della cancelleria, sub specie di comunicazione ovvero eccezionalmente di notificazione, ovvero negli altri casi in cui la cancelleria debba, in virtù di una precisa disposizione di legge, allegare al fascicolo d’ufficio la copia notificata della sentenza impugnata, è previsto che resti traccia degli adempimenti a cura della cancelleria ovvero della notifica della sentenza nel fascicolo d’ufficio, sicchè ben potrebbe la trasmissione avvenuta in adempimento della richiesta di cui all’art. 369 c.p.c., supplire alla negligenza della parte ricorrente.

Al di fuori di queste ipotesi, invece, laddove la notificazione della sentenza, idonea a far decorrere il termine breve, sia frutto di una successiva ed autonoma iniziativa della parte interessata ad abbreviare i tempi di formazione del giudicato, non è previsto che nel fascicolo d’ufficio debba inserirsi copia della relata di notifica, trattandosi evidentemente di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio, e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio, non sussistendo un diritto delle parti a provvedere ad ulteriori inserimenti di atti nel fascicolo, al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dal legislatore.

Ne consegue che, ove per avventura risultasse anche inserita nel fascicolo d’ufficio del precedente grado di giudizio copia della relata di notifica ad opera della parte, la medesima non potrebbe sanare la negligenza del ricorrente (Cass., n. 21386/17).

Ciò implica altresì che la decisione della causa da parte della Corte non è impedita dall’eventuale deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369 c.p.c., u.c., cui non abbia fatto seguito l’effettivo invio del fascicolo d’ufficio del grado precedente, in quanto, al di fuori delle sopra segnalate ipotesi nelle quali la cancelleria sia tenuta ad allegare al fascicolo la prova dell’avvenuta notificazione (o comunicazione, nei casi in cui il termine per la presentazione del ricorso sia ricollegato dalla legge a tale adempimento) del provvedimento impugnato, il differimento della decisione per consentire la trasmissione del fascicolo non potrebbe in tal modo premiare un eventuale inserimento nel fascicolo d’ufficio di un atto non previsto tra quelli destinati a farne parte, così che, ove anche la copia notificata venisse rinvenuta, ciò non potrebbe valere ad escludere la sanzione di improcedibilità posta dall’art. 369 c.p.c. per l’omesso deposito nel termine di cui al comma 1.

Nel caso concreto, pertanto, non ricorrono i presupposti per escludere la sanzione dell’improcedibilità in quanto l’inserimento della relata di notifica nel fascicolo d’ufficio è avvenuto comunque oltre il termine perentorio di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, dopo la definizione del giudizio d’appello, a seguito di un’ulteriore istanza di trasmissione rispetto alla prima, depositata unitamente al ricorso.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 15.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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