Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1436 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23167/2014 proposto da:

PROVINCIA NAPOLETANA DEI PADRI SCOLOPI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIO CIANCIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50A, presso lo studio

dell’avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato

FABIO MARIA FERRARI, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 70/44/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI del 21/02/2013, depositata il 02/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale parte ricorrente ha depositato memoria;

dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 70/44/13, depositata il due luglio 2013, non notificata, la CTR della Campania ha parzialmente accolto l’appello proposto dalla Provincia Napoletana dei Padri Scolopi nei confronti del Comune di Napoli, per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Napoli, che, sull’impugnazione proposta dalla contribuente avverso avviso di accertamento ICI per gli anni 2003 -2007 con riferimento a due unità immobiliari, aveva dichiarato cessata la materia del contendere riguardo all’immobile adibito a locali sportivi per il quale il Comune, in corso di giudizio, aveva riconosciuto l’esenzione ICI dal 1 ottobre 2005, mentre aveva respinto il ricorso, relativamente all’unità immobiliare classificata in catasto come D/2, ritenendo che in essa fosse svolta attività alberghiera.

La sentenza della CTR, sul presupposto della natura interpretativa delle disposizioni di cui al D.L. n. 248 del 2005, art. 7, comma 2 bis, quale aggiunto dalla Legge di Conversione n. 266 del 2005 ed al successivo del D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito in L. n. 248 del 2006, riconobbe l’esenzione per l’immobile adibito a locali sportivi sin dal 2003, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Avverso detta pronuncia la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, cui resiste con controricorso il Comune.

Preliminarmente va dato atto che sulla statuizione di parziale riforma della pronuncia di primo grado, con la quale la CTR ha riconosciuto l’esenzione ICI per l’immobile destinato all’esercizio di attività sportiva sin dal 2003, si è formato il giudicato interno, non essendo stato detto capo di sentenza oggetto di ricorso incidentale da parte del controricorrente Comune di Napoli.

Con l’unico motivo di ricorso la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito dalla L. n. 248 del 2006, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i) e dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il motivo deve ritenersi inammissibile.

Invero, con esso, la contribuente, sub specie del vizio di violazione di legge, si duole in realtà di quella che denuncia come un’incongrua valutazione del materiale istruttorio acquisito nel doppio grado di merito, che avrebbe dovuto condurre ad escludere, secondo la prospettazione di parte ricorrente, l’espletamento di attività alberghiera nell’immobile pur classificato come D/2, essendo esso stato sempre esclusivamente adibito alla ricezione di altri confratelli provenienti da diverse località.

Appare dunque evidente come la censura miri a sollecitare alla Corte una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dal giudice di merito, ciò che è precluso nel giudizio di legittimità, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, più di recente, Cass. sez. 6-5, ord. 30 settembre 2016, n. 19469; Cass. sez. 5, 1 aprile 2016, n. 6348; Cass. sez. 2, 4 giugno 2014, n. 12574; Cass. sez. 2, 22 marzo 2013, n. 7330). Detta valutazione, espressa nella relazione depositata in atti ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è condivisa dal collegio, che, a fronte delle ulteriori considerazioni spese in memoria dalla ricorrente a conforto della tesi secondo cui correttamente sarebbe stata dalla parte prospettata la censura in termini di falsa applicazione di norma di diritto, rileva altresì che la parte, come sembra desumersi dall’articolazione della censura, qualora, anzichè della valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice tributario dalla stessa non condivisa, avesse inteso contestare la stessa valenza indiziaria degli elementi assunti dalla decisione impugnata come idonei alla prova dell’esercizio di attività alberghiera, avrebbe semmai dovuto prospettare il vizio della stessa legittimità del ragionamento inferenziale anche in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c., con conseguente ricaduta sul piano del riparto dell’onere probatorio secondo l’art. 2697 c.c..

Il ricorso, basato sull’unico motivo come sopra illustrato, va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte dell’Istituto religioso ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore del Comune di Napoli delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 5600,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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