Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14358 del 14/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 14/07/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 14/07/2016), n.14358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25869/2013 proposto da:

C.L., (OMISSIS), C.M. (OMISSIS),

C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI

6, presso lo studio dell’avvocato RENATO MACRO, rappresentati e

difesi dagli avvocati GIUSEPPE DE ZIO, GIOVANNI FRANZESE giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

INTESA SANPAOLO SPA, in persona della sig.ra

L.M.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA

VITTORIA 9, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ARIETA,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE TRISORIO LIUZZI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1041/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 08/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato VALENTINA VASTA per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’opposizione proposta dai fideiussori ( C.M., M.M. e T.F.) avverso il decreto ingiuntivo con il quale era stato loro ingiunto di pagare, in solido, al Banco di Napoli la somma dovuta dal garantito per scoperti di conto corrente, fu rigettata dal Tribunale, che rigetto’ anche la domanda di risarcimento del danno proposta da C..

L’impugnazione della sentenza di primo grado proposta solo da M. e C. si concluse: – con la dichiarazione della cessazione della materia del contendere nei confronti del M., per sopravvenuta transazione nel processo di appello; – con la condanna degli eredi di C., al pagamento – pro quota – del minor credito accertato e conseguente revoca del decreto ingiuntivo (Corte di appello di Bari, sentenza dell’8 ottobre 2012).

2. Avverso la suddetta sentenza, gli eredi di C.M. propongono ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, esplicati da memoria e contestuale costituzione con nuovo difensore rispetto a due degli eredi.

Si difende con controricorso Intesa San Paolo Gruoup Service spa, nella qualita’ di mandataria di Societa’ per la Gestione di Attivita’ (S.G.A.) spa, cui il credito originario era stato ceduto.

M.M., ritualmente intimato non si difende.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Ai fini che ancora rilevano, la Corte di merito ha ritenuto la cessazione della materia del contendere solo nei confronti del M. rilevando che la transazione era stata effettuata pro quota, facendo salvo il diritto alla riduzione del coobbligato condannato.

2. I primi tre motivi ruotano attorno alla transazione effettuata dal M. e non si caratterizzano per chiarezza e specificita’.

2.1. Con il primo, invocando una serie di articoli non specificamente riconducibili alla parte esplicativa (art. 1936 c.c., artt. 279, 112 e 342 c.p.c.), i ricorrenti sembrano lamentarsi sostanzialmente che la corte di merito, nell’individuare l’importo dovuto dai C. (pro quota, quali eredi rispetto al padre fideiussore coobbligato), abbia fatto salvo in motivazione il diritto alla decurtazione delle somme versate dal coobbligato M., che aveva transatto per la sua quota, senza determinarne l’importo e senza riportare in dispositivo neanche il diritto alla decurtazione.

2.2. Con il secondo, invocando la violazione degli artt. 1936, 1946, 1965 e 1362 c.c. e art. 183 c.p.c., i ricorrenti sembrano dolersi, sostanzialmente, della mancata dichiarazione della cessazione della materia del contendere anche rispetto ai C. e deducono una erronea interpretazione della transazione con M., dalla quale non sarebbe stato desumibile che il debito fideiussorio era stato transatto per quota perche’ dei 500 mila Euro concordati, non era precisato quanto fosse imputabile alla garanzia fideiussoria prestata.

2.3. Anche con il terzo motivo, sono invocate un gran numero di norme (sostanziali artt. 1260, 1362, 1292, 1946, 1966 e 1972 c.c.) e processuali (artt. 100, 306, 183, 166 e 167 c.p.c.). Il fondo del motivo sembra mirare a sostenere che l’adempimento con transazione del M. e del T. (che non aveva impugnato la conferma del decreto ingiuntivo nei suoi confronti) avrebbe dovuto comportare la cessazione della materia del contendere nei confronti dei C. (salvo il diritto degli stessi di esercitare il regresso nei suoi confronti).

2.4. Tutti i motivi sono inammissibili per un profilo preliminare.

Oltre al difetto di specificita’ delle argomentazioni, che ne ha reso difficile anche la sintesi, i motivi sono preliminarmente inammissibili per la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. La conseguenza e’ che la Corte non e’ posta in grado di valutare la decisivita’ delle censure avanzate, al fine di poterli verificare nella loro corrispondenza al dedotto (cfr., tra le altre, Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161 e Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726).

Infatti, nonostante al centro di tutti i profili evocati nelle censure via sia la transazione intervenuta con M., nel ricorso e’ assente qualunque indicazione in ordine al luogo, parte, (punto) del documento assunto come rilevante, il cui contenuto non viene mai specificamente chiarito; ne’ tale documento e’ stato allegato al ricorso, ai sensi dell’art. 369 cit. o ne e’ stata indicata la sua collocazione nel fascicolo di parte.

3. Inoltre, la Corte di appello, nella determinazione dell’importo del debito solidale si e’ discostata dalla consulenza tecnica, che non aveva tenuto conto degli interessi pattuiti, ed ha aderito alla consulenza di parte del creditore, precisando che l’importo era stato depurato dagli interessi anatocistici.

3.1. Questa parte della decisione e’ censurata con il quarto motivo, con il quale si invoca la violazione degli artt. 1283 e 2697 c.c. e degli artt. 191 e 112 c.p.c., e si riprendono argomentazioni svolte anche nel terzo motivo Al centro della esplicazione delle censure vi sono la consulenza d’ufficio e di parte, ma di tale documentazione non si indicano le parti precise rilevanti, ne’ le stesse sono allegate al ricorso.

Pertanto, il motivo in argomento (e il terzo per la parte sviluppata con tali argomenti) e’ inammissibili per le stesse ragioni esplicate in riferimento ai primi tre.

4. Anche i profili di censura prospettati nel quinto motivo sono tutti inammissibili.

In riferimento alla dedotta violazione dell’art. 1956 c.c., si sviluppa una censura non conferente rispetto alla ratio decidendi della decisione gravata, che ha fatto riferimento alla fideiussione che dispensava il creditore dal chiedere la speciale autorizzazione.

Rispetto alla violazione dell’art. 1955 c.c. (anche se si invoca l’art. 1957 c.c.), la Corte di appello ha ritenuto la genericita’ del motivo d’appello, con la conseguenza che i ricorrenti avrebbero dovuto prospettare la violazione dell’art. 342 c.p.c..

Quanto alla specialita’ delle operazioni di credito in materia agraria, si deduce difetto di motivazione secondo il parametro di giudizio dell’art. 360 c.p.c., n. 5, prima della novella del 2012, mentre invece alla specie e’ applicabile ratione temporis quest’ultima. La censura motivazionale non supera gli stretti limiti di ammissibilita’ ora previsti, (Sez. Un. n. 8053 del 2014, e, successivamente, molteplici decisioni delle sezioni semplici).

Ed ancora, rispetto alla domanda di risarcimento del danno, i ricorrenti asseriscono, ma non dimostrano – mediante il preciso richiamo alle parti rilevanti degli atti processuali, in adempimento dell’art. 369 c.p.c., n. 4, di averla riproposta in appello unitamente alla allegazione dei danni, con conseguente inammissibile deduzione della violazione dell’art. 112 c.p.c.. Da ultimo, inammissibili sono ancora altri profili.

Come gia’ nel terzo motivo, anche in quello ora all’esame compare un non specifico riferimento all’altro coobbligato T., nei cui confronti era passata in giudicato la sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione e conferma del decreto ingiuntivo di condanna nei suoi confronti.

Si introduce pure un dato del tutto estraneo al giudizio, quale la mancata considerazione di quanto recuperato nella procedura fallimentare rispetto al debitore principale.

5.In definitiva, il ricorso e’ inammissibile. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza nei confronti della societa’ controricorrente. Non avendo il M. svolto attivita’ difensiva, non sussistono i presupposti per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della societa’ controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2016

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