Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14355 del 06/06/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14355 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA

divisione

sul ricorso proposto da:
CALSELLI Alberto, CALSELLI Paolo e CALSELLI Margherita,
rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a
margine del ricorso, dall’Avv. Massimo Pisani, elettivamente domiciliati nel suo studio in Rama, viale Parioli,
n. 12;
– ricorrenti contro
CENCI Silvio e CENCI Giuliana, rappresentati e difesi,
in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Umberto Monacchia, elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo in Roma, via Mocenigo, n. 26;

Data pubblicazione: 06/06/2013

- controri correnti e contro
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO s.p.a., incorporante la Banca
Nazionale del Lavoro Credito Fondiario s.p.a., in persorappresentata

e difesa, in forza di procura speciale notarile,
dall’Avv. Corrado Romano, elettivamente domiciliata nel
suo studio in Roma, via Luigi Mancinelli, n. 65;
– controricorrente e nei confronti di
CALSELLI Claudio;
– intimato avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n.
496 del 9 novembre 2006.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza
pubblica del 16 aprile 2013 dal Consigliere relatore
Dott. Alberto Giusti;
uditi gli Avv. Umberto Monacchia e Gianluigi Iannetti, quest’ultimo per delega dell’Avv. Corrado Romano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
l. – Con sentenza in data 12 dicembre 2003, il Tribunale di Perugia, accogliendo la domanda proposta da

na del legale rappresentante pro tempore,

Silvio e Giuliana Cenci, ha disposto la divisione dei
beni immobili di cui questi erano comproprietari insieme
a Claudio Calselli ed ai contumaci Alberto, Paolo e Margherita Calselli.

è costituita, la Banca Nazionale del lavoro, creditrice
ipotecaria di Claudio Calselli a garanzia di un mutuo
dalla stessa concesso.
2. – La Corte d’appello di Perugia, con sentenza
resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 9 novembre 2006, ha dichiarato inammissibile, per tardività,
l’appello interposto da Alberto, Paolo e Margherita Caselli.
La Corte territoriale – premesso che la sentenza di
primo grado è stata notificata compiutamente a tutte le
parti (ad Alberto e a Paolo Calselli,

ex art. 140 cod.

proc. civ., all’indirizzo anagrafico di Roma, e a Margherita Calselli,

ex art. 149 cod. proc. civ., anche a

quello di Sabaudia), e che il procedimento notificatorio
si è concluso il 27 luglio 2004, alla scadenza del termine di dieci giorni dal deposito del piego presso
l’ufficio postale, di cui fu dato avviso con raccomandata spedita il 17 luglio 2004; rilevato che l’art. 8 della legge 8 novembre 1982, n. 890 (Notificazione di atti
a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse

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Nel giudizio di primo grado è stata chiamata, e si

con la notificazione di atti giudiziari) non si applica
alle notifiche eseguite direttamente dall’ufficiale giudiziario; ed esclusa la lamentata nullità della notifica
sul rilievo che questa è stata eseguita dall’ufficiale

che l’impugnazione è stata notificata in base a richiesta del difensore degli appellanti datata 4 novembre
2004, oltre il termine di trenta giorni di cui all’art.
325 cod. proc. civ.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello Alberto Calselli e gli altri consorti indicati
in epigrafe hanno proposto ricorso, con atto notificato
il 4 e l’8 maggio 2007, sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito, con separati atti di controricorso, Silvio e Giuliana Cenci, da una parte, e la Banca
Nazionale del Lavoro, dall’altra.
L’altro intimato – Claudio Calselli – non ha svolto
attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza hanno depositato memorie
illustrative i controricorrenti Cenci e la Banca Nazionale del Lavoro.
Motivi della decisione
l. – Il primo motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’applicazione dell’art.
8, secondo comma, della legge n. 890 del 1982, nel testo

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giudiziario di Roma anziché di Perugia – ha sottolineato

risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n.
346 del 1998.
Il secondo mezzo lamenta omessa motivazione in ordine alla eccezione di mancata osservanza dell’art. 8,

sultante dalla sentenza della Corte costituzionale n.
346 del 1998.
Il terzo motivo (violazione o falsa applicazione
degli artt. 106 e 107 del d.P.R. n. 1229 del 1959) si
conclude con i seguenti quesiti: “se la notifica di un
atto giudiziario possa essere demandata ad un ufficiale
giudiziario appartenente a distretto e/o mandamento diverso da quello cui appartiene l’ufficio dal quale origina l’atto giudiziario stesso”; “in caso positivo, se e
quali adempimenti possa e/o debba effettuare l’ufficiale
giudiziario, cui è stata affidata la notifica di un atto
giudiziario originato da ufficio diverso da quello cui
appartiene, ai fini della regolarità della notificazione
stessa”.
Con il quarto motivo i ricorrenti censurano insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa
l’eccezione degli appellanti sulla mancata descrizione
dettagliata degli adempimenti eventualmente effettuati
dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 140 cod.
proc. civ.

– 5 –

terzo comma, della legge n. 890 del 1982, nel testo ri-

2. – Il primo, il secondo ed il quarto motivo sono
inammissibili, in quanto del tutto carenti di un momento
di sintesi, omologo al quesito di diritto, che valga a
circoscrivere puntualmente i limiti della censura propo-

Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 17838).
Alla stregua della letterale formulazione dell’art.
366-bis cod. proc. civ. – introdotto, con decorrenza dal
2 marzo 2006, dall’art. 6 del d.gs. 2 febbraio 2006, n.
40, e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009
dall’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr.
art. 58, comma 5, della legge n. 69 del 2009) – questa
Corte è ferma nel ritenere che, a seguito della novella
del 2006, nel caso previsto dall’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ., allorché, cioè, il ricorrente lamenti un vizio della motivazione della sentenza impugnata,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena
di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali
la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

sta a norma dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass.,

Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti (cfr., ad esempio , Cass., sez. un., 1 0 ottobre 2007,

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che l’indicazione del fatto controverso e delle
ragioni della non adeguatezza della motivazione sia esposta nel corpo del motivo o che possa comprendersi
dalla lettura di questo, occorrendo a tal fine una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (Cass., Sez. Il, 30
gennaio 2013, n. 2219).
3. – Il terzo motivo – con cui ci si duole che non
sia stata dichiarata la nullità della notifica della
sentenza di primo grado, effettuata da ufficiale giudiziario incompetente – è infondato.
Occorre infatti rilevare:
– che la notifica ad Alberto, Paolo e Margherita Calselli è stata eseguita ex art. 140 cod. proc. civ.
in Roma, via Valerio Corvo, n. 86, int. 5,
dall’ufficiale giudiziario di Roma;
– che la notifica a Margherita Calselli presso la sua
residenza anagrafica di Sabaudia è stata richiesta

n. 20603).

all’ufficiale giudiziario di Perugia che l’ha eseguita per posta ex art. 149 cod. proc. civ.
Di qui la validità dell’una e dell’altra notifica:
la prima, in quanto compiuta dall’ufficiale giudiziario,

mandamento ove ha sede l’ufficio al quale è addetto
(art. 106, secondo comma, del d.P.R. n. 1229 del 1959);
la seconda, in quanto effettuata, a mezzo del servizio
postale, dall’ufficiale giudiziario relativamente ad un
atto della sede alla quale è addetto (art. 107, secondo
coma, del citato d.P.R.).
Vanno, al riguardo, ribaditi i seguenti principi,
costanti nella giurisprudenza di questa Corte:
– la limitazione, posta dall’art 107, secondo comma,
del d.P.R. n 1229 del 1959, della competenza degli
ufficiali giudiziari agli atti relativi ad affari
di competenza delle autorità giudiziarie della sede
alla quale essi sono addetti, opera solo ove tali
atti debbano essere notificati a persone residenti
fuori della loro circoscrizione territoriale; qualora, invece, la notificazione degli atti medesimi
debba essere eseguita a persone residenti entro la
loro circoscrizione, tale restrizione della competenza non sussiste, in quanto l’art 106 d.P.R. cit.
dispone che l’ufficiale giudiziario compie con at-

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ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., nell’ambito del

tribuzione esclusiva gli atti del proprio ministero
nell’ambito territoriale ove ha sede l’ufficio cui
è addetto (Cass., Sez. Il, 11 gennaio 2007, n. 322;
Cass., Sez. II, 29 febbraio 2012, n. 3125;

1959, l’ufficiale giudiziario è competente a notificare, per mezzo del servizio postale, atti del
suo ministero a persone residenti, dimoranti o domiciliate nella sua circoscrizione territoriale,
mentre può procedere a notifiche nei confronti di
soggetti residenti altrove solo se l’atto si riferisce ad un procedimento che sia o possa essere di
competenza del giudice al quale il notificante è
addetto (Cass., Sez. III, 6 agosto 2002, n. 11758;
Cass., Sez. Un., 23 marzo 2005, n. 6217).
4. – Il ricorso è rigettato.
Le spese – liquidate come da dispositivo – seguono
la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e

condanna i ricorren-

ti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali in favore dei controricorrenti Silvio e Giuliana
Cenci, da un lato, e Banca Nazionale del Lavoro,
dall’altro, che liquida, per ciascuna parte controricor-

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– ai sensi degli artt. 106 e 107 d.P.R. n. 1229 del

rente, in complessivi euro 2.200, di cui euro 2.000 per
compensi, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione,

il 16 aprile 2013.

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