Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14351 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26872-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

SIEIL SRL UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato CONCETTA GAMBINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1383/5/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 14/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Don. RAFFAELE

CAPOZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Campania, sezione staccata di Salerno, di rigetto dell’appello proposto avverso una sentenza CTP Avellino, di parziale accoglimento del ricorso della contribuente s.r.l. “SIEIL” avverso avviso di accertamento IRES, IVA ed IRAP 2009 per Euro 356.015,00; la CTP aveva parzialmente accolto il ricorso della società, riducendo le somme riprese a tassazione da Euro 356.015,00 ad Euro 117.477,00; la CTR, con la sentenza impugnata, oltre a respingere l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha altresì accolto l’appello incidentale della società contribuente, annullando l’avviso di accertamento impugnato nella sua interezza e quindi anche con riferimento all’importo di Euro 117.477,00, dalla CTP ritenuto correttamente ripreso a tassazione.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, in materia di accertamenti bancari, sussisteva un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, tenuto a superare la presunzione posta dalla legge a favore dell’ufficio ed a provare, in modo specifico e dettagliato, che gli elementi desumibili dalla documentazione bancaria non fossero riferibili ad operazioni imponibili; ora, la sentenza impugnata si era limitata a condividere le argomentazioni svolte dalla società contribuente senza indicare le specifiche fonti di prova acquisite a sostegno della decisione ed aveva attribuito rilevanza a circostanze inidonee a fornire la prova contraria chiesta per legge; quanto invero ai prelevamenti contestati, erano rimaste prive di riscontro probatorio sia le asserzioni relative all’esistenza di un mutuo infruttifero, sia la finalizzazione di alcuni prelievi bancari all’acquisto di un immobile, essendo al contrario risultata comprovata l’inesistenza di acquisizioni di sorta; erroneamente poi la CTR aveva ritenuto giustificato il versamento di Euro 48.000,00, riconducendolo ad una nota di credito emessa per fattura restituita e non pagata; la CTR aveva invero basato il proprio convincimento sulla sola contabilità e fatture della società contribuente, omettendo di effettuare le dovute verifiche sostanziali sull’operazione che aveva condotto all’emissione della nota di credito; essa avrebbe dovuto invero acquisire la documentazione giacente presso la controparte dell’operazione commerciale, anche perchè nella contabilità della società contribuente, il versamento dell’anzidetta somma di Euro 48.000,00 era stato descritto quale “anticipo fatture”;

che la società contribuente si è costituita con controricorso;

che l’unico motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è infondato;

che, invero, come più volte rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 2432 del 2017; Cass. n. 8266 del 2018; Cass. n. 23523 del 2018; Cass. n. 11102 del 2017; Cass. n. 10480 del 2018; Cass. n. 6992 del 2021), anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, nei confronti dei contribuenti che, come la società resistente, svolgono attività commerciale, la presunzione legale posta in favore dell’ufficio dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, vale sia per i prelievi dai conti correnti bancari, che si presumono essere ricavi, sia per i versamenti sui conti correnti bancari, che si presumono essere indice di maggiore disponibilità di risorse; con specifico riferimento ai prelievi dai conti correnti bancari, è noto che la presunzione sopra descritta può essere contrastata dal contribuente imprenditore specificando l’importo di ciascuna somma prelevata, le finalità perseguite con ciascuna di tali somme e specificando, inoltre, che le somme prelevate dai conti bancari derivino da ricavi di anni precedenti regolarmente fatturati e dichiarati; la giurisprudenza di legittimità è poi concorde nel ritenere che la prova contraria può essere fornita dal contribuente anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad un’attenta e rigorosa verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti, dai quali sono stati dedotti quelli ignoti, correlando ogni indizio, purchè grave, preciso e concordante, ai singoli movimenti bancari contestati, il cui significato doveva essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nello specifico contesto, nel quale l’accertamento era stato effettuato, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie ovvero cumulative;

che, nella specie, la CTR, contrariamente a quanto ritenuto dall’Agenzia delle entrate, ha esaminato analiticamente i contestati prelievi effettuati dalla società contribuente dal proprio conto bancario e, con motivazione incensurabile nella presente sede di legittimità, ha ritenuto plausibili le giustificazioni fornite dalla società contribuente, pervenendo alla conclusione che i prelievi effettuati non fossero ricollegabili all’esercizio dell’attività d’impresa;

che, nello specifico, la CTR ha rilevato come le sei operazioni di prelievo, effettuate dalla società contribuente nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2009 per importo complessivo di Euro 292.000,00 erano tutti bonifici emessi in favore di L.A., socio unico ed amministratore della società, a titolo di mutuo infruttifero al medesimo elargito con obbligo di restituzione; che tali somme erano state utilizzate dal L. per finanziare un’altra società, tale s.r.l. “VANILLA ICE”, di cui il L. era socio di maggioranza e per acquistare un immobile; che le somme disponibili sul conto della società, utilizzate per effettuare i bonifici sopra descritti, erano derivanti da ricavi di anni precedenti regolarmente fatturati e dichiarati; la società contribuente ha al riguardo prodotto, fin dal giudizio di primo grado, valida documentazione, a supporto di quanto sopra riferito e precisamente:

– perizia giurata di tale Dott. F.;

– copia estratto del conto corrente presso il Banco di Napoli, di cui essa ricorrente era titolare, e dalla quale poteva evincersi la movimentazione delle somme;

– copia dell’estratto di conto corrente presso il Banco di Napoli, di cui era titolare la s.r.l. “VANILLA ICE”;

– copia dell’estratto conto corrente personale presso il Banco di Napoli di L.A.;

– libro giornale della società ricorrente;

– mastrino n. (OMISSIS);

che, inoltre, la ricorrente ha fatto presente come il contestato prelievo di Euro 48.000,00, avvenuto il (OMISSIS), aveva una sua giustificazione, essendo parte di un importo più elevato (Euro 72.000,00), pari alla nota di credito n. (OMISSIS) emessa per una fattura restituita e non pagata (fattura n. (OMISSIS) emessa dalla s.c.p.a. “B.S.I.); ha rilevato inoltre come si trattasse, in entrambi i casi, di operazioni documentate in contabilità dal libro giornale e come l’importo da ultimo citato derivasse da ricavi di anni precedenti regolarmente fatturati e dichiarati;

che, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va respinto, con sua condanna al pagamento delle spese di giudizio, quantificate come in dispositivo;

che, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, trattandosi di amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non è applicabile il D.P.R. n. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 7.800.00, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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