Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1435 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/01/2020, (ud. 04/07/2019, dep. 22/01/2020), n.1435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34650-2018 proposto da:

D.L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO ALBERTELLI

n. 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, rappresentato

e difeso dall’avvocato SALVATORE STARA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il

29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato il 2.10.2017 presso la Corte di Appello di Cagliari l’odierno ricorrente invocava l’indennizzo per irragionevole durata del processo in relazione ad un giudizio svoltisi innanzi il giudice civile e protrattosi per 17 anni.

Esponeva in particolare che la causa, iniziata come opposizione a decreto ingiuntivo in prime cure, si era articolata in grado di appello e poi in Cassazione, la quale aveva dapprima definito il giudizio con sentenza n. 293/2016 e poi dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione con sentenza n. 5276 depositata il 10.3.2017. Ad avviso della ricorrente il termine per la proposizione dell’istanza di equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, doveva essere computato dalla data del deposito della sentenza di revocazione.

Con decreto presidenziale del 16.11.2017 la Corte di Appello dichiarava inammissibile la domanda.

Interponeva opposizione avverso detto provvedimento l’odierna ricorrente e si costituiva in giudizio il Ministero delle Giustizia, resistendo al rimedio ed eccependone la tardività.

Con il decreto oggi impugnato la Corte di Appello di Cagliari, in composizione collegiale, dichiarava inammissibile l’opposizione.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione D.L.M. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero della Giustizia, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va esaminata, e respinta, l’eccezione di incompatibilità che è stata rivolta, nella memoria depositata dalla ricorrente nell’imminenza dell’adunanza camerale, ad alcuni magistrati già componenti il collegio che, in data 18.2.2019, ha emesso l’ordinanza n. 11737/2019. Tra la vicenda oggetto di quella decisione e la presente, invero, non sussiste alcuna relazione, non essendo evidentemente rilevante il fatto che in quel caso, come nel presente, si discutesse di indennizzo da irragionevole durata del processo. Nè ha rilievo, per altro verso, la circostanza che quel collegio abbia ritenuto di segnalare al Consiglio dell’Ordine di Cagliari il contenuto della memoria depositata dall’avvocato Stara, in quanto contenente apprezzamenti ritenuti irrituali: da una parte, infatti, analoga esigenza non si è appalesata nel presente giudizio; e, dall’altro lato, la circostanza non implica, di per sè, alcun profilo di incompatibilità per i componenti di quel primo collegio.

Anche a voler considerare l’istanza della ricorrente sub specie di invito all’astensione, non sussistono i presupposti per l’accoglimento della richiesta, posto che non ricorre nel caso di specie alcuna delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 51 c.p.c. In particolare, il fatto che un diverso collegio, composto da uno dei membri di quello odierno, abbia ritenuto di segnalare il comportamento dell’avvocato Stara al Consiglio dell’Ordine non implica, in capo al predetto membro, l’esistenza dell’interesse di cui al n. 1) o della grave inimicizia di cui al n. 3) della norma da ultimo richiamata.

Passando ai motivi di ricorso, con il primo di essi la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,132 e 277 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la tardività dell’opposizione per deposito della relativa istanza oltre il termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter. Ad avviso della ricorrente, poichè con l’opposizione era stato dedotto un profilo di inesistenza del provvedimento monocratico, quest’ultimo avrebbe dovuto essere rilevato dal collegio della Corte cagliaritana anche di ufficio e a prescindere dalla tempestività dell’opposizione.

La censura è inammissibile.

Questa Corte ha affermato il principio per cui il termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, alla luce della natura camerale del procedimento di opposizione, non ha natura perentoria, con conseguente potere del giudice di concederne la rinnovazione (Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 18113 del 15/09/2015, Rv.636474; Cass. Sez.6.2, Sentenza n. 8421 del 10/04/2014, Rv.630366; cfr. anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 5700 del 12/03/2014, Rv.629676 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 9558 del 02/05/2014, Rv.630713). Tuttavia ciò presuppone da un lato il difetto di costituzione del resistente – dovendosi in caso contrario recuperare l’effetto sanante di cui al combinato disposto degli artt. 164 e 291 c.p.c. – e dall’altro l’istanza della parte interessata, da proporre entro la scadenza del termine medesimo ai sensi dell’art. 154 c.p.c., istanza che nel caso specifico la ricorrente non dimostra di aver proposto tempestivamente. Dal che deriva il difetto di specificità della doglianza in esame.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 391-bis e 395 c.p.c., della L. n. 89 del 2001, art. 3, e dell’art. 124 disp. att. c.p.c., nonchè dei principi in materia di giudicato, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere tempestiva la domanda di equo indennizzo in quanto proposta entro il termine di 6 mesi dal deposito della sentenza n. 5276/2017, con la quale la Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione della precedente sentenza della medesima Corte n. 293/2016. Ad avviso del ricorrente la Corte cagliaritana avrebbe errato nel calcolare il termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, della a far data dalla prima sentenza n. 293/2016, senza tener conto che la revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, ammessa nei casi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, costituisce un rimedio ordinario che non presuppone il passaggio in giudicato della decisione revocanda.

La censura è infondata.

In merito, va ribadito il principio per cui “In tema di equa riparazione da irragionevole durata di un processo civile conclusosi innanzi la Corte di cassazione con una decisione di rigetto del ricorso o di inammissibilità o di decisione nel merito, ai fini della decorrenza del termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 – il cui dies a quo è segnato dalla definitività del provvedimento conclusivo del procedimento nell’ambito del quale si assume verificata la violazione – occorre avere riguardo alla data di deposito della decisione della Corte, quale momento che determina il passaggio in giudicato della sentenza, a ciò non ostando la pendenza del termine per la revocazione ex art. 391-bis c.p.c.” (Cass. Sez.6-2, Ordinanza n. 11737 del 03/05/2019, Rv.653510).

L’orientamento suindicato, che il collegio condivide, appare peraltro in linea con quanto già ritenuto da Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 552 del 11/01/2017, Rv.642555, secondo la quale “In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il termine semestrale di decadenza per la proposizione della relativa domanda, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che conclude il processo presupposto e, una volta spirato, non può essere riaperto, peraltro a tempo indeterminato, per effetto del ricorso per revocazione della sentenza conclusiva del processo presupposto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5, trattandosi di un mezzo di impugnazione straordinario, non legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di cognizione concluso con sentenza passata in giudicato” (conforme, Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 14970 del 06/09/2012, Rv. 624540).

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe liquidato le spese del giudizio di merito facendo riferimento ad un valore indeterminato, laddove al contrario – tenendo conto della eccessiva durata contestata dalla richiedente – la causa aveva un valore al massimo di Euro 7.500, rispetto al quale l’importo liquidato dalla Corte territoriale sarebbe incongruo.

La censura è inammissibile per difetto di specificità poichè la ricorrente non indica, nel corpo del motivo in esame, quali sarebbero gli importi massimi previsti dalla tariffa in vigore che la Corte territoriale avrebbe superato. Va sul punto ribadito che quando il motivo di ricorso si risolve nella denuncia del mancato rispetto, da parte del giudice di merito, dei valori indicati dalla tariffa forense applicabile, è onere della parte ricorrente specificare, nel corpo del motivo, gli importi asseritamente violati, al fine di consentire alla Corte di Cassazione la verifica della sussistenza, in concreto, non soltanto del vizio denunciato, ma anche dello stesso interesse all’impugnazione, il quale ultimo va escluso, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, ogni qualvolta non emerga, direttamente dalla lettura dei motivi, una violazione della tariffa tale da comportare un sacrificio effettivo delle ragioni e delle aspettative della parte ricorrente.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato.

Trattandosi di giudizio in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, non sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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