Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14349 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 08/07/2020), n.14349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36745/2018 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv. Guido Ernesto Maria Savio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato ex lege in Roma Via dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ope legis

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 23/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.V., nato in (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi, avverso il decreto del Tribunale di Torino n. 6065/2018, depositato il 23 novembre 2018 e comunicato in pari data a mezzo pec, di rigetto del ricorso dallo stesso proposto in primo grado e volto ad ottenere il riconoscimento, in suo favore, dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, il riconoscimento della protezione umanitaria.

A fondamento della domanda il ricorrente ha sostenuto che: era stato rapito dal padre all’età di otto anni, mentre andava a scuola, e di essere stato portato a vivere con lui e la moglie; non aveva da allora più visto la madre e la sorella; il padre era morto nel (OMISSIS) e la matrigna lo aveva portato a (OMISSIS), dove lo aveva lasciato ad un gruppo armato, formato da persone che venivano dalla Liberia; aveva vissuto con tale gruppo fino al 2015 ed era riuscito poi a fuggire ad Abobo, dove era nato; aveva vissuto per strada e conosciuto un ragazzo che lo aveva introdotto nel gruppo dei “(OMISSIS)”, con i quali aveva partecipato a numerose aggressioni nel corso di un anno; la polizia aveva arrestato molti “(OMISSIS)” ed aveva quindi deciso di lasciare il suo Paese; temeva, in caso di rientro in (OMISSIS), di essere arrestato dalla polizia e di subire rappresaglie da parte della popolazione.

In particolare il primo Giudice ha ritenuto che non era credibile il racconto del ricorrente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alla situazione del Paese di provenienza del ricorrente, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, lamentando “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 3 e 5 nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ss. “, il ricorrente censura il decreto impugnato per aver ritenuto insussistenti i requisiti per il riconoscimento, in suo favore, dello status di rifugiato, formando esclusivamente il suo convincimento sulla base della ritenuta non credibilità, senza fare corretta applicazione dei criteri enunciati dal richiamato art. 3.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”, per aver il Tribunale escluso sia la sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria ai sensi del richiamato D.Lgs., art. 14, lett. a) e b) sia la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 14, lett. c) medesimo D.Lgs..

3. Con il terzo motivo si lamenta la “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5”, sul rilievo che il Giudice del merito, omettendo di svolgere un adeguato giudizio comparativo tra tutti gli elementi peculiari del caso, avrebbe falsamente applicato i parametri normativi propri della protezione umanitaria.

4 I motivi, da trattare unitariamente, perchè strettamente connessi, sono inammissibili.

4.1. Osserva il Collegio che, con le censure proposte, il ricorrente, pur dietro la formale prospettazione del vizio di violazione di legge, tende, in sostanza, ad una non consentita, in questa sede, rivalutazione del merito, che il Tribunale ha compiutamente operato secondo i dettami della giurisprudenza di legittimità, fornendo al riguardo motivazione.

4.2. In particolare, osserva il Collegio che, con riferimento specifico alla protezione internazionale, questa Corte ha già avuto modo di precisare condivisibilmente che “Il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 stesso D.Lgs.” (Cass., ord., 12/06/2019, n. 15794) e che “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass., ord., 5/02/2019, n. 3340, v. anche Cass., ord., 7/08/2019, n. 21142).

E il Tribunale ha ampiamente motivato in tema di non credibilità del ricorrente.

4.3. Vanno disattese pure le doglianze relative alla lamentata inosservanza, da parte del Tribunale, del principio di cooperazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto, cui va data continuità in questa sede. Questa Corte ha, infatti, affermato che “In tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass., ord., 19/02/2019, n. 4892; per il caso di esito negativo del vaglio di credibilità e conseguente esonero dell’autorità incaricata di esaminare la domanda dal procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine, anche con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, Cass., ord., 12/06/2019, n. 15794)). E’ stato pure condivisibilment precisato dalla giurisprudenza di legittimità che “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., ord., 12/06/2019, n. 15794).

Va pure evidenziato che questa Corte ha, altresì, affermato che “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass., ord., 30/10/2018, n. 27503) e nella specie, come già evidenziato, con accertamento in fatto, il Tribunale ha motivatamente ritenuto che le dichiarazioni rese dal ricorrente sono poco credibili nè il ricorrente ha proposto doglianze veicolate con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deve, altresì, rimarcarsi che questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio, che va ribadito in questa sede, secondo cui “In tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull’id quod plerumque accidit, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a) medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza” (Cass., ord., 31/07/2019, n. 20580).

4.4. Inoltre, citando fonti internazionali attendibili e sufficientemente aggiornate (v. p. 3 e 4 del decreto impugnato), il Tribunale ha pure – in base ad un accertamento di merito, insindacabile in questa sede – ritenuto che la (OMISSIS) non può definirsi un paese nel quale sussista una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, tale da concretizzare gli estremi di cui all’art. 14, lett. c) già citato.

5. Parimenti inammissibili sono le doglianze relative al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

A tale riguardo il ricorrente propone doglianze generiche, con riferimento sia alla dedotta situazione di vulnerabilità soggettiva, sia alla situazione di vulnerabilità oggettiva, sollecitando un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dai Giudici di merito, che hanno motivatamente escluso la ricorrenza di una situazione di vulnerabilità nella specie, pur tenendo conto della giovane età del ricorrente, ormai maggiorenne, ed evidenziando, i particolare, la non credibilità del racconto del ricorrente, anche con riferimento alla condizione personale che ne avrebbe determinato la partenza dal Paese di origine, di cui pure il ricorrente ha sollecitato la valutazione.

6. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

7. Non vi è necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, atteso che il Ministero dell’Interno si è costituto, oltre i termini di legge per il controricorso, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione (non tenutasi, poichè la controversia è stata decisa in adunanza camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.).

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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