Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14348 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 30/06/2011), n.14348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA P.LE DELLE BELLE

ARTI 8 presso lo studio dell’avvocato TOPI PAGLIETTI PAOLA, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARCIANA MARINA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARCELLO PRESTINARI 13 presso

lo studio dell’avvocato RAMADORI GIUSEPPE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LOVISETTI MAURIZIO;

– resistente con procura speciale –

avverso la sentenza n. 24/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LIVORNO, depositata il 01/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

Preso atto che il PG non ha formulato osservazioni sulla relazione ex

art. 380 bis c.p.c. notificatagli.

Fatto

OSSERVA

S.F. propone ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Marciana Marina, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale di Firenze – sez. Distaccata di Livorno, n. 24, depositata in data 21.6.2006 e non notificata, deducendo cinque motivi, e precisamente violazione o falsa applicazione di legge con riferimento: 1) al D.Lgs. n. 267 del 2000 per difetto di legittimazione processuale del Sindaco del Comune di Marciana Marittima nel giudizio di appello; 2) al D.Lgs. n. 546 del 1992 per difetto di procura del difensore del Comune nel giudizio di appello; 3) alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 11 e alla L. n. 241 del 1990, art. 3 e alla conseguente nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’obbligo di motivazione; 4) alla L. n. 342 del 2000, art. 74 e alla L. n. 212 del 2000, art. 3 e alla conseguente nullità del medesimo atto impositivo per irretroattività delle disposizioni tributarie; 5) al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 e alla L. n. 488 del 1999, art. 71, per decadenza dal potere di accertamento dell’Ente impositore.

Il Comune intimato non si è difeso nell’attuale fase del giudizio.

Il ricorso, pur richiedendo ai sensi dell’art. 366 bis la formulazione di quesiti di diritto per ciascuno dei motivi articolati, risulta non soddisfare adeguatamente tale esigenza.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla sola lettura di esso, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. SS.UU. ord. 27.3.2009 n. 7433; 7.4.2009, n. 8463; ed ancora SS.UU. sent.

30.10.2008, n. 26020 secondo la quale il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata). A tal fine il quesito deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare al caso di specie (v. Cass. Ord. 17.7.2008, n. 19769). Il quesito, pertanto, non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto, dovendosi escludere “la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nel motivo di ricorso, avendo Cass. Sez. Un. 26.3.2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma” (così Cass. 19.2.2009 n. 4044).

Nessuno dei quesiti formulati in ricorso risponde a tali caratteristiche, risultando essi, così come del tutto genericamente formulati, del tutto privi di adeguati riferimenti alla fattispecie concreta e della necessaria sintesi delle argomentazioni in precedenza esposte.

Nè la contribuente con le argomentazioni esposte nella memoria di discussione ex art. 382 bis c.p.c., fornito validi elementi idonei a contrastare la giurisprudenza citata, atteso il carattere anche formale che i quesiti di diritto assumono nella previsione di cui all’art. 366 bis c.p.c. nel testo all’epoca in vigore.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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