Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14348 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 15/06/2010), n.14348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23268-2006 proposto da:

D.F.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CARBONARO MASSIMO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CALABRIA

56, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO D’AMATO, rappresentata e

difesa dall’avvocato SEPE GIACOMO, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.G., M.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6723/2 005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 31/12/2005 R.G.N. 2664/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2 010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli in parziale accoglimento della domanda di D.R.A. condannava in solido M.T. e D. F.G. al pagamento di differenze retributive concernenti un rapporto di lavoro domestico intercorso tra le parti dal marzo 1983 a tutto l’anno 1990.

I giudici di appello ponevano a base della decisione il rilevo fondante che solo per il predetto periodo risultava la prova della ricorrenza di un rapporto di lavoro subordinato di natura domestica e che la eccepita prescrizione non era decorsa in quanto il rapporto lavoro era continuato anche dopo il 1990, sicchè la lavoratrice non aveva potuto esercitare il proprio diritto trovandosi in una situazione di soggezione, ancorchè in sede giudiziale non fosse stato riconosciuta la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti dopo il 1990.

Avverso tale sentenza il D.F. ricorre in cassazione sulla base di tre censure.

Resiste con controricorso la D.R.. M.T. non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso il D.F., deduce violazione degli artt. 2094 e 2948 c.c.. Allega che non vi è prova di uno stabile inserimento del lavoratore nell’ambito familiare e della corresponsione di una retribuzione correlata al tempo più che ad un risultato. Contesta, poi, che in base alle prove testimoniali possa dedursi, ai fini della prescrizione, che il primo rapporto sia cessato nel 1990 essendo, invece, terminato nel 1989.

Con la seconda censura il ricorrente denuncia nullità del procedimento di secondo grado. Asserisce, in proposito di non aver mai ricevuto la notifica del ricorso di secondo grado.

Con il terzo motivo il D.F. allegando vizio di motivazione lamenta che la Corte di appello è andata al di là di quanto provato dalla D.R..

E pregiudiziale l’esame del secondo motivo con il quale si denuncia la mancata notifica del ricorso di appello.

La censura è infondata.

Invero la Corte di appello svolge in proposito un preciso accertamento di fatto dando atto della avvenuta rituale notifica dell’atto di appello al D.F..

A fronte di tale accertamento la parte ricorrente avrebbe dovuto precisare le ragioni in base alle quali la Corte di appello avrebbe ritenuto erroneamente notificato l’atto d’impugnazione e non genericamente allegare di non aver ricevuto la notifica del ricorso.

In difetto di ciò la censura essendo generica non può essere esaminata in questa sede di legittimità.

Gli altri motivi, che vanno trattati congiuntamente per essere strettamente connessi dal punto di vista logico-giuridico,sono infondati.

Lo sono perchè si risolvono sostanzialmente in una generica doglianza di errata valutazione delle risultanze istruttorie e tanto anche sotto il profilo della dedotta violazione degli artt. 2094 e 2948 c.c..

Infatti è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), mentre al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 20499).

Sulla base di tali principi non possono trovare ingresso in questa sede le censure in esame che, a fronte di una valutazione delle risultanze istruttorie sorretta da congrua motivazione, la quale da conto del percorso logico seguito dai giudici di appello per addivenire alla conclusione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo preso in considerazione, mirano sostanzialmente a meramente contestare, e la scelta del giudice del merito, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, e la concludenza delle emergenze valutate. Le critiche, quindi, si risolvono, nella prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle prove che in quanto tali non sono ammissibili in sede di legittimità.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso, quindi, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Nulla per le spese nei confronti della parte rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 24,00, oltre Euro 2.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA che attribuisce all’avv.to Giacomo Sepe anticipatario. Nulla per le spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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