Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14348 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 08/07/2020), n.14348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36055/2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico 38

presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il 3/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.A., cittadino del (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, basato su cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno e avverso il decreto n. 4398/2018 del Tribunale di Brescia, depositato il 3 novembre 2018, di rigetto del ricorso dallo stesso proposto in primo grado e volto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, o il riconoscimento della protezione sussidiaria ovvero della protezione umanitaria.

In particolare, il primo Giudice ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alla situazione del Paese di provenienza del ricorrente, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – Nullità del decreto per omessa motivazione (ipotesi di motivazione solo apparente). Nullità della parte della sentenza consistente in un documento riportato in lingua inglese”.

Con tale mezzo la parte ricorrente sostiene che nel caso di specie non sarebbe possibile desumere l’iter logico-giuridico seguito dal Tribunale per adottare la decisione impugnata, avendo riportato nel ricorso un documento esclusivamente in lingua inglese.

1.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di decisività della citazione riportata effettivamente nel decreto in lingua inglese, ma a mero supporto di argomentazioni già esposte in italiano sulla base di fonti di conoscenza in lingua italiana, sicchè non sussiste la lamentata omessa o apparente motivazione nè la dedotta nullità del decreto impugnato.

2. Con il secondo motivo si denuncia “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Omesso/contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti: la condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti in (OMISSIS)”.

Sostiene il ricorrente che sarebbe errato il convincimento del Tribunale, che ha ritenuto sussistente una condizione di relativa tranquillità nel suo Paese di origine e l’assenza, ivi, di persecuzioni in danno dei cittadini e che, invece, le condizioni di instabilità e violenza generalizzata del Paese di origine dovrebbero essere ritenute tali da generare una situazione di particolare pericolosità e vulnerabilità anche per lo stesso ricorrente, in caso di rimpatrio, e, quindi, da consentire la concessione della protezione internazionale, sussidiaria o umanitaria.

3. Con il terzo motivo si deduce “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, – Omesso/erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente”.

Il ricorrente assume che avendo egli dichiarato, sa pure in modo semplice ed indiretto che il suo Paese non sarebbe in grado di proteggerlo, il Giudice avrebbe dovuto procedere d’ufficio ad approfondire la situazione generale di tale Paese, al fine di valutare l’esistenza di quel sistema di violenza generalizzata richiesto dalla norma; inoltre, il Tribunale non avrebbe considerato l’integrazione del ricorrente, il quale sostiene che “se non altro per questo ed in funzione del tempo trascorso nel nostro Paese, egli avrebbe meritato almeno la protezione sussidiaria, ricorrendone tutti i presupposti di Legge”.

4. Con il quarto motivo si lamenta “Art. 360, comma 1, n. 3 Mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”.

Ad avviso del ricorrente, la condizione del suo Paese di origine sarebbe assolutamente pericolosa e tale condizione avrebbe dovuto essere valutata dal Tribunale; comunque, la decisione impugnata sarebbe il frutto dell’omessa valutazione di tale condizione come descritta dalle fonti di informazione riportate nel mezzo all’esame, sicchè il ricorrente avrebbe il diritto a vedersi riconosciuta la protezione sussidiaria o almeno il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5. Il quinto motivo è così rubricato. “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Il Tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che vi possa correre gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.”.

Sostiene il ricorrente che, tenuto conto delle condizioni socioeconomiche e della ridotta aspettativa di vita in (OMISSIS), messe in confronto con la condizione del nostro Paese, e alla luce dei conseguenti obblighi internazionali e costituzionali, assunti dall’Italia, di garantire un livello di vita dignitoso e la tutela della persona, I misura della protezione umanitaria sarebbe misura idonea a assicurare al ricorrente un adeguato livello di vita per sè e per la propria famiglia mentre, nel paese di origine, egli si troverebbe in una situazione socio-economica e sanitaria non sufficientemente adeguata.

6. I motivi, da trattare unitariamente, perchè strettamente connessi, sono inammissibili per le ragioni appresso indicate.

6.1. Le censure, pur dietro la formale prospettazione anche di vizio di violazione di legge, propongono doglianze riferite al merito della decisione impugnata.

Le eccezioni difensive sono volte, in effetti, non a censurare l’applicazione della norma di legge, siccome compiuta dal Tribunale, ma a proporre una valutazione alternativa della situazione esistente nel (OMISSIS) rispetto a quella compiuta dal Giudice di merito, sulla base di fonti diverse, e in tesi più affidabili, rispetto a quelle considerate dal predetto Giudice.

Va osservato che il Tribunale, dopo aver precisato che la paura del ricorrente è collegata alla difficoltà di restituire il debito contratto per aprire un negozio dal padre, ormai deceduto e che il medesimo ricorrente non ha allegato di temere persecuzioni da parte di agente non statale nè di temere, in caso di rimpatrio, di rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generalizzata e indiscriminata violenza derivante da conflitto armato, ha pure accertato, in fatto, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e ha escluso che la situazione del Paese di origine del richiedente possa essere qualificata come una situazione di generalizzata e indiscriminata violenza derivante da conflitto armato.

Nell’effettuare tale accertamento, il primo Giudice si è all’evidenza, come risulta dal tenore delle affermazioni contenute nel decreto impugnato, avvalso d’ufficio di fonti sufficientemente aggiornate, peraltro autorevoli e specificamente richiamate (Cass., ord., 31/05/2018, n. 13858 e n. 14006, Cass., ord., 12/12/2018, n. 32064).

6.2. Nella specie, inoltre, il ricorrente censura, inammissibilmente, la valutazione delle sue dichiarazioni (v. ricorso p. 10) e della documentazione in atti (v. ricorso p. 11), che è rimessa al giudice del merito. Va pure evidenziato che tali dichiarazioni non risultano integralmente trascritte, almeno per la parte che rileva in questa sede, e che la documentazione cui si fa riferimento è genericamente indicata, senza riportarne il contenuto testuale, per la parte qui rilevante, e senza neppure specificamente indicare quando sia stata prodotta e dove sia attualmente reperibile, con difetto di specificità e conseguente inammissibilità delle censure proposte anche sotto tale profilo.

6.3. A quanto precede va aggiunto che, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il sindacato della motivazione del provvedimento impugnato è consentito nei soli ristretti limiti delineati da tale norma, ai sensi della quale non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulta esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato, comunque, preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie non sono stati allegati vizi motivazionali nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato e, in ogni caso, non sussistono i vizi motivazionali nei ristretti limiti ora consentiti e sopra riportati.

6.4. Parimenti da disattendere sono le doglianze relative al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Le censure proposte al riguardo, oltre che generiche, sono inammissibili in quanto, con le riportate doglianze, il ricorrente, sia con riferimento alla dedotta situazione di vulnerabilità soggettiva, sia in relazione alla situazione del suo Paese, tende ad una rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dal Tribunale che ha escluso, con adeguata motivazione, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva e oggettiva, evidenziando anche la ritenuta non credibilità del ricorrente.

Va peraltro rimarcato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè tale diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 3/06/2018, n. 17071). Va ribadito al riguardo quanto affermato da questa Corte con l’ordinanz 24/09/2019, n. 23778 (pur sulla scia di Cass. 23/02/2018, n. 4455), secondo cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (v. anche Cass. 3/04/2019, n. 9304).

Trattasi di principi ribaditi da ultimo anche da Cass., sez. un., 13/11/2019, n. 29460.

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

8. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio di cassazione nei confronti dell’intimato, non avendo lo stesso svolto attività difensiva in questa sede.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535; v. anche Cass. 5/04/2019, n. 9660; Cass., ord., 30/10/2019, n. 27867; Cass., ord., 14710/2019 n. 25862), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammisibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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