Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14342 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35223/2019 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in (OMISSIS), in persona del

Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per

legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la “MORGAN STANLEY SGR – SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO S.p.A.”,

con sede in (OMISSIS), in persona del presidente del consiglio

amministrazione pro tempore, nella qualità di società di gestione

del Fondo comune di investimento immobiliare speculativo di tipo

chiuso riservato ad investitori qualificati con denominazione

“(OMISSIS)”, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Alberto

Toffoletto, con studio in Milano, e dall’Avv. Prof. Angelo Anglani,

con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in

calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

della Lombardia il 16 aprile 2019 n. 1795/12/2019, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24 marzo 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 16 aprile 2019 n. 1795/12/2019, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione per imposte di registro, ipotecaria e catastale in dipendenza di operazioni attuative di un progetto di acquisizione di un ramo aziendale (cessione di “portafoglio immobiliare” composto da n. 13 gallerie commerciali e n. 2 retail park; cessione della partecipazione totalitaria in società a responsabilità limitata conferitaria dei diritti di sfruttamento economico-commerciale del suddetto “portafoglio immobiliare”), ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “MORGAN STANLEY SGR – SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO S.p.A.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano il 24 maggio 2017 n. 3667/12/2017, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che l’imposta di registro dovesse applicarsi in relazione non al risultato finale dell’operazione complessiva, bensì agli effetti particolari dei singoli atti. La “MORGAN STANLEY SGR – SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO S.p.A.” si costituisce con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza, la controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Il ricorso è affidato a due motivi.

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, e art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che l’imposta di registro dovesse applicarsi in relazione alla natura ed agli effetti di ciascun negozio, senza tener conto del collegamento funzionale tra i singoli negozi in vista della realizzazione di un risultato unitario.

2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, della L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, e della L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che la norma di interpretazione autentica imponesse all’amministrazione finanziaria di sottoporre un atto ad imposta di registro senza tener conto degli elementi extratestuali e degli atti collegati al medesimo.

RITENUTO CHE:

1. Entrambi i motivi – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto – sono infondati.

1.1 Si osserva che, in tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, quale modificato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, e dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile.

Invero, la L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, prevede che: “Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 20, comma 1: 1) le parole: “degli atti presentati” sono sostituite dalle seguenti: “dell’atto presentato”; 2) dopo la parola: “apparente” sono aggiunte le seguenti: “, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, prevede che: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”.

1.2 Di recente, la sentenza della Corte Cost.n. 158 del 21 luglio 2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, quale modificato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, e dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.

Secondo il giudice delle leggi, “il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico”.

Per altro verso un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe “incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis,” e “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”.

1.3 Da ultima, poi, la sentenza della Corte Cost. n. 39 del 16 marzo 2021 ha avuto modo di tornare sulla questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, come modificato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., che è stata dichiarata manifestamente infondata con specifico riguardo all’efficacia retroattiva. Secondo il giudice delle leggi, “si deve escludere che possa essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di sistema”.

In tale prospettiva, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta alla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avendo riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente. Inoltre, la medesima ragione impone di disattendere la censura di irragionevolezza della disposizione anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei “motivi imperativi di interesse generale” desumibili dalla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, art. 6, sottolineando che tali norme sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione e non viceversa (vedasi anche: Cass., Sez. 5, 1 aprile 2021, n. 9065).

1.4 Adeguandosi a tale interpretazione, anche questa Corte ha ribadito che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extra-testuali, poichè il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, dispone che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi” (da ultime: Cass., Sez. 5, 18 febbraio 2021, n. 4315 e n. 4319; Cass., Sez. 5, 1 aprile 2021, n. 9065).

1.4 Dunque, ai fini della presente decisione, non resta che prendere atto della portata retroattiva della norma di interpretazione autentica di cui alla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, ritenendo applicabile il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, nel testo novellato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, anche agli atti stipulati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore per i quali i processi dinanzi ai giudici tributari siano ancora pendenti.

Invero, è pacifico che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (in termini: Cass., Sez. Un., 29 aprile 2009, n. 9941). 1.5 Nel caso di specie, stante l’applicabilità retroattiva del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, nel testo novellato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, per effetto della precisazione contenuta nella L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, l’amministrazione finanziaria non aveva facoltà di riqualificare la sequenza di una pluralità di atti nei termini complessivi ed unitari di cessione indiretta di ramo aziendale, dovendo limitarsi a verificare la corretta liquidazione dell’imposta di registro in relazione a ciascuna delle predette operazioni, i cui effetti giuridici dovevano essere singolarmente e separatamente valutati ai fini fiscali.

1.6 Ne discende che il giudice di appello ha fatto corretta applicazione del principio enunciato, ritenendo che “l’iter logico interpretativo che sta alla base dell’avviso di liquidazione in esame appare palesemente contra legem, essendo pacifico che per giungere alla conclusione della cessione di azienda, contro il divieto di legge, l’agenzia delle entrate ha posto in connessione tra di loro atti diversi e distinti, non solo per l’oggetto, ma anche per le parti contraenti”.

2. Dunque, apprezzandosi l’infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere rigettato.

3. Le spese giudiziali possono essere compensate in considerazione dell’evoluzione normativa e della incertezza giurisprudenziale risolta solo a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese giudiziali.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

 

 

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