Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14338 del 13/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 13/07/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 13/07/2016), n.14338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1563/2015 proposto da:

C.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

AMT AZIENDA MUNICIPALE TRASPORTI DI CATANIA, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio

dell’avvocato MARIO ANTONINI, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCESCO ANDRONICO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1374/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

19/12/2013, depositata l’08/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;

udito l’Avvocato Francesco Cataldo difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa e’ stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 12 maggio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catania confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta dai ricorrenti nei confronti dell’ATM – Azienda Municipale Trasporti di Catania ed intesa ad ottenere il computo, nella retribuzione parametro utile alla determinazione della maggiorazione del 10% per compenso del lavoro straordinario, dell’indennita’ giornaliera di Lire 1000, dell’indennita’ domenicale di Lire 11.250 di cui al n. 5, lett. a) e b) dell’accordo nazionale 21.5.1981 e del premio di produttivita’, di Lire 7.500 fino al 31.7.1994 e di Lire 17.500 per il periodo successivo.

Riteneva il giudice del gravame, in conformita’ ad altre precedenti statuizioni della Corte di legittimita’, che, fermo il principio di onnicomprensivita’ della retribuzione assunto dall’art. 2108 c.c., in relazione al R.D. n. 692 del 1923, art. 5, ai fini del calcolo del compenso per lavoro straordinario, dovevano ritenersi nulle le clausole della contrattazione collettiva applicabile che adottassero una piu’ ristretta base di calcolo, salva l’ipotesi che il diverso sistema di computo adottato dalla contrattazione collettiva assicurasse al lavoratore un trattamento economico pari o superiore a quello derivantegli dall’applicazione dei criteri legali. Osservava che, nel caso in esame, sussisteva un limite normativo all’autonomia contrattuale laddove il combinato disposto dell’art. 2108 c.c. e del cit. R.D. n. 692 del 1923, art. 5, prevedeva che il compenso per straordinario andava computato a parte e remunerato con un aumento di paga su quella del lavoro ordinario non inferiore al 10%, ma che non fossero computabili nella base di calcolo i compensi da ritenere straordinari o per loro natura o per patto espresso.

Premesso, quindi, che le indennita’ di cui all’accordo nazionale 21.5.1981 e quella per lavoro domenicale erano espressamente previste come non facenti parte della retribuzione normale e che l’accordo aziendale 23.12.1991 aveva ugualmente previsto l’esclusione dell’indennita’ giornaliera di presenza dalla retribuzione normale, stabilendo che la stessa fosse legata ad effettive e particolari prestazioni, doveva ritenersi non in contrasto con l’art. 2108 c.c. e con il R.D. n. 692 del 1923, art. 5, la previsione contrattuale che escludeva tali voci dalla normale retribuzione, al di la’ della continuita’ della relativa erogazione, in ragione della funzione compensativa attribuita a tali indennita’ per il particolare disagio del lavoro in turni, o per la penosita’ del lavoro domenicale, ovvero per la funzione attribuita al premio di produttivita’ (indennita’ di presenza) di disincentivo dell’assenteismo.

Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso i lavoratori affidato a quattro motivi.

L’AMT resiste con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di gravame con il quale era stata censurata la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva dichiarato prescritte le pretese anteriori al quinquennio dalla data di notifica del ricorso. Ed infatti, nell’appello si evidenziava che il primo giudice non aveva tenuto conto della documentazione ritualmente prodotta in giudizio, in particolare dei ricorsi gerarchici presentati dai ricorrenti che avevano interrotto il decorso del detto termine prescrizionale.

Con il secondo motivo, viene denunziata la violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sul rilievo che il giudice d’appello ha sostituito l’azione proposta con una diversa causa petendi, con l’introduzione di un diverso titolo e di un nuovo tema di indagine sulla base di fatti diversi da quelli posti dalle parti. Ed invero, i lavoratori avevano osservato che la normativa applicata dall’azienda fissava nella misura del 10% la maggiorazione per il lavoro straordinario (art. 11 ccnl 12.3.1980) si’ che la identita’ di misura della maggiorazione legale e di quella convenzionale determinava che la esclusione degli elementi retributivi indicati dalla base di calcolo incideva nel senso che la misura del compenso per il lavoro straordinario fosse inferiore a quella voluta dalle citate disposizioni di legge, non essendovi nessun dubbio sulla natura retributiva degli emolumenti indicati dai ricorrenti, dovendo la retribuzione base essere intesa come la esatta quota oraria di tutto quel complesso di voci ed indennita’ a carattere fisso, continuativo ed obbligatoriamente gravanti sul datore di lavoro per legge o per contratto. Evidenziano i ricorrenti che, non avendo l’azienda convenuta contestato i fatti esplicitati ed indicati in ricorso, era incontroversa tra le parti la natura retributiva delle indennita’ di cui era stato chiesto il conglobamento nella base di computo ai fini del calcolo della maggiorazione contrattuale del 10% per lavoro straordinario ragion per cui l’oggetto del giudizio era limitato unicamente allo stabilire se le predette indennita’ entrassero o meno nella retribuzione-parametro per il calcolo della maggiorazione del 10% stabilita per lo straordinario. Pertanto, erano del tutto estranee al thema decidendum le statuizioni del giudice di appello circa: la distinzione tra “lavoro straordinario contrattuale” e “lavoro straordinario legale” (distinzione mai inserita nella domanda); il riconoscimento del diritto alla maggiorazione del 10% (negato con riferimento al “lavoro straordinario contrattuale”); la determinazione della misura dello “straordinario contrattuale”, ritenuta interamente rimessa alla contrattazione collettiva; la verifica, con riferimento allo “straordinario legale”, della natura retributiva o meno delle indennita’ di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione-parametro.

Con il terzo motivo, viene dedotta, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2108 c.c., commi 1 e 3 e degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., in relazione: al testo unico ccnl 23.7.1976 art. 6 lett. c); al ccnl 12.3.1980 artt. 1 e 9 e art. 11, commi 1 e 5; all’accordo nazionale 21 maggio 1981 art. 5 lett. a) e b); all’accordo 17 giugno 1982 sub 1984 punto 2, lett. a) e b); all’accordo aziendale 23.12.1991, punto 2 e all’accordo aziendale 20.7.1994, punto 1 e 3 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), osservandosi che il giudice di appello ha disapplicato i consolidati principi giurisprudenziali secondo i quali all’autonomia contrattuale e’ inibito escludere uno o piu’ elementi dalla retribuzione, da assumere a base del calcolo per la determinazione di un emolumento, nel caso in cui e’ la stessa legge a fissare gli inderogabili criteri per la determinazione della retribuzione da porre a base del calcolo dello stesso.

Si sostiene che, alla stregua di tali principi, nella retribuzione normale da prendere a base del calcolo per la determinazione del compenso del lavoro straordinario vada incluso ogni elemento retributivo continuativo, obbligatorio, predeterminato o predeterminabile, che sia ordinario e normale e che vanno pacificamente esclusi compensi non continuativi, ma anche compensi straordinari anche se di fatto continuativi che sono, per loro natura, o per espressa volonta’ delle parti, predeterminati nella durata o che risultino collegati ad elementi sempre revocabili o costituiscano modalita’ accidentali o straordinarie del rapporto lavorativo, evidenziandosi che tali consolidati principi giurisprudenziali sono stati puntualmente disapplicati in base al rilievo che l’autonomia contrattuale non incontri limite alcuno. Quest’ultima, secondo i ricorrenti, trova, invece, pur sempre, nel vigente ordinamento, un insuperabile limite nella legge, posto che, quando e’ necessario determinare la retribuzione ai fini del compenso di un emolumento istituito direttamente dal legislatore, come e’ per lo straordinario, devono necessariamente concorrere a formarne la base tutti quegli emolumenti che possiedono ontologicamente carattere retributivo, con la conseguente nullita’ di qualsiasi pattuizione piu’ ristretta. Aggiungono che la base di computo dello straordinario, come nell’ipotesi regolata dagli artt. 2120 e 2121 c.c., e’ inderogabilmente preordinata e che l’autonomia contrattuale puo’ esplicarsi nei regolamenti individuali e collettivi soltanto sulla determinazione percentuale dell’aumento, oltre la misura minima del 10%.

Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) in quanto “stante la fondatezza della domanda e’ illegittima la statuita compensazione delle spese e dei compensi di giudizio”.

Il primo motivo e’ infondato (oltre che inammissibile per difetto di interesse stante il rigetto, per le ragioni di seguito esposte, degli altri motivi di ricorso).

Ed infatti la Corte di Appello, dopo aver rigettato il primo motivo di gravame ed aver, quindi, ritenuto inesistente il diritto degli appellanti alle invocate differenze retributive ha, evidentemente, considerato inutile stabilire se lo stesso si fosse o meno prescritto e, dunque, non ha proceduto alla disamina del secondo. In altri termini, non si e’ in presenza di una omessa pronuncia (se non in senso solo formale), in quanto, il rigetto del primo motivo di appello comportava, logicamente, l’assorbimento del secondo.

Il secondo motivo e’ infondato.

Dalla complessiva lettura della sentenza impugnata emerge che la Corte di Appello ha ben inquadrato quale fosse l’oggetto del decidere ovvero l’individuazione della retribuzione-parametro sulla quale calcolare la maggiorazione del 10% stabilita dalla legge.

Ed infatti con il richiamo alla pronuncia di questa Corte n. 3932/2001, il giudice dell’appello ha evidenziato la necessita’ della operazione interpretativa per individuare quale sia la “paga del lavoro ordinario”, che e’ la base del calcolo dello straordinario, con conseguente rilevanza dei contratti collettivi e cioe’ degli strumenti tipici per la determinazione di detta “paga”, sia ordinaria, come compenso del lavoro, che straordinaria per compensare prestazioni particolari, rischi, disagi specifici e tutte le situazioni meritevoli di tutela individuate dalle parti sociali, senza che sia possibile individuare un criterio astratto di ordinarieta’ del lavoro ed onnicomprensivita’ dei compensi – purche’ continui, obbligatori e determinabili – che giustifichi la declaratoria di nullita’ di tutte le clausole (cfr. Cass. 3932/2001 cit.).

Proprio alla stregua di tale principio, la Corte del merito ha affermato che, se non e’ consentito alla contrattazione collettiva escludere dalla paga ordinaria delle voci che abbiano effettivamente la natura di retribuzione, e’ anche vero che per valutare in concreto quando tale situazione ricorra non puo’ prescindersi da una interpretazione del contratto, sicche’ qualora la voce retributiva abbia la funzione di compensare prestazioni particolari e disagi specifici o situazioni particolari meritevoli di tutela, l’esclusione della stessa dalla retribuzione normale al fine della determinazione del compenso per lavoro straordinario non puo’ considerarsi in contrasto con l’art. 2108 c.c. e R.D. n. 692 del 1923, art. 5.

Atteso il concetto di onnicomprensivita’ della retribuzione assunto dall’art. 2108 c.c., in relazione del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, art. 5, ai fini del calcolo del compenso per lavoro straordinario, la retribuzione da assumere a base del calcolo deve includere le quote delle mensilita’ aggiuntive ed ogni altro elemento retributivo (normale ed ordinario) continuativo, obbligatorio e predeterminato o predeterminabile, eccettuati i compensi straordinari per loro natura o per patto espresso, anche se di fatto continuativamente corrisposti. Le clausole della contrattazione collettiva applicabile, che adottino una piu’ ristretta base di calcolo, sono, pertanto, nulle – per contrarieta’ alle norme imperative degli articoli citati – e sostituite di diritto, ai sensi dell’art. 1419 c.c., comma 2, salva l’ipotesi che il diverso sistema di computo adottato dalla contrattazione collettiva assicuri al lavoratore un trattamento economico pari o superiore a quello derivantegli dall’applicazione dei criteri legali (cfr. Cass. 3932/2001, Cass. 27312/2008).

Orbene, la ricostruzione interpretativa adottata nella sentenza impugnata e’ tale da condurre alla conclusione, sfavorevole per i lavoratori, che dalla stessa applicazione dei criteri legali derivava l’esclusione dalla base di computo dello straordinario richiesto di compensi straordinari per loro natura legati a particolari disagi o peculiarita’ della prestazione. Quindi la parificazione della percentuale del 10% prevista in sede contrattuale a quella legale non incideva nel senso di determinare un trattamento economico necessariamente deteriore rispetto a quello legale.

Ne’ il richiamo al principio di non contestazione della natura retributiva delle indennita’ in questione e’ idonea dimostrare l’erroneita’ del percorso argomentativo e decisionale della pronuncia impugnata, posto che il carattere retributivo delle indennita’ de quibus non sta ad indicare che i relativi compensi rientrino nella retribuzione per il lavoro ordinario, ove le indennita’ medesime, per la relativa funzione e caratteristiche, siano rivolte a compensare particolari prestazioni e disagi specifici ovvero situazioni particolari, come evidenziato dalla Corte, meritevoli di tutela, si’ che la loro esclusione dalla retribuzione normale al fine della determinazione del compenso per lavoro straordinario correttamente e’ stata ritenuta non in contrasto con l’art. 2108 c.c. e R.D. n. 692 del 1923, art. 5.

Va, inoltre, precisato che il richiamo contenuto nella impugnata sentenza alla distinzione tra cd. “lavoro straordinario convenzionale” e “lavoro straordinario legale” rientrava nell’ambito della ricostruzione del panorama giurisprudenziale sulla retribuzione dello straordinario ma non ha comportato affatto, come invece si assume nel motivo, che il giudice dell’appello abbia inserito inammissibilmente una distinzione all’interno della originaria domanda tra i due predetti tipi di “lavoro straordinario” e, quindi, abbia rigettato la domanda concernente lo “straordinario contrattuale” affermando che quest’ultimo ben poteva essere retribuito con una maggiorazione inferiore al 10% e in una misura interamente demandata alla contrattazione collettiva.

Peraltro, deve, in maniera assorbente, rilevarsi che l’onere di specifica contestazione, nelle controversie di lavoro, dei fatti allegati dall’attore, previsto dall’art. 416 c.p.c., comma 3, al cui mancato adempimento consegue l’effetto dell’inopponibilita’ della contestazione nelle successive fasi del processo e, sul piano probatorio, quello dell’acquisizione del fatto non contestato ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, si riferisce ai fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, ovvero ai fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta in giudizio, e non si estende, percio’, alle circostanze che implicano un’attivita’ di giudizio (Cfr. Cass. 15.5.2007 n. 11108). Pertanto erroneamente nella censura si conferisce rilievo alla circostanza della non contestazione da parte dell’AMT della natura retributiva delle indennita’ in questione, trattandosi di delineare, attraverso una attivita’ interpretativa e valutativa, il concetto di retribuzione dovuta per il lavoro ordinario, utile ai fini della individuazione della retribuzione parametro per lo straordinario e per il controllo del rispetto della percentuale del 10% prevista dal R.D. n. 692 del 1923, art. 5.

Infondato e’ anche il terzo motivo di ricorso.

Come sopra esposto, proprio in applicazione di principi giurisprudenziali nuovamente richiamati nel motivo, la Corte di merito ha verificato se le indennita’ di cui era stato chiesto il conglobamento nella retribuzione-parametro per il calcolo della maggiorazione del 10% per il lavoro straordinario fossero incluse nella “retribuzione normale” o, piuttosto, non fossero compensi straordinari anche se di fatto continuativi che sono, per loro natura, o per espressa volonta’ delle parti, predeterminati nella durata o che risultino collegati ad elementi sempre revocabili o costituiscano modalita’ accidentali o straordinarie del rapporto lavorativo.

Cosi’ operando ha escluso – sulla scorta delle chiare ed inequivoche disposizioni contrattuali, escludenti qualsiasi altro tipo di interpretazione se non quella letterale – che: le indennita’ previste dall’art. 5, lett. a) e b) del accordo nazionale del 1981 erano escluse espressamente dalla “retribuzione normale” e non avevano una applicazione generale essendo riconosciute al personale viaggiante e al rimanente personale che presta servizio in turni avvicendati e per la prestazione del lavoro la domenica e sempre che non coincida con il mancato riposo e per ogni effettiva giornata lavorativa; l’indennita’ giornaliera di presenza – introdotta dall’accorso del 23.12.1981 e, poi, rideterminata nell’importo dall’accordo del 1994 – parimenti era espressamente esclusa dalla “retribuzione normale” ed era un premio di produttivita’ subordinato ad un comportamento del lavoratore (la presenza in servizio) e volto a disincentivare l’assenteismo e, dunque, era perfettamente legittima l’esclusione di tale voce dalla retribuzione normale in quanto avente una funzione premiale e non volta a compensare il lavoro.

Peraltro, vale ricordare che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento e’ rappresentato senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volonta’ delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volonta’ diversa (cfr, ex plurimis, Cass., 22 dicembre 2005, n. 28479; Cass., 22 febbraio 2007, n 4176; Cass., 4 gennaio 2013, n. 110).

Infine, infondato (oltre che incomprensibile) risulta il quarto motivo in quanto la domanda era stata rigettata perche’ infondata e, dunque, la Corte di merito ha ritenuto di non applicare il principio della soccombenza – che avrebbe comportato la condanna alle spese degli attuali ricorrenti – bensi’, di procedere alla compensazione delle spese di lite.

Alla luce di quanto esposto di propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ex art. 375 c.p.c., n. 5″.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c., ciascuna sostanzialmente ribadendo le ragioni gia’ esposte, rispettivamente, nel ricorso e nel controricorso.

Orbene, osserva il collegio che il contenuto della sopra riportata relazione e’ pienamente condivisibile in quanto in linea con i precedenti di questa Corte e, in particolare, con la pronuncia nn. 3932/2001 (relativa ad un caso assimilabile al presente in cui dipendenti dell’AMT di Catania chiedevano l’inclusione nella base di calcolo dello straordinario di emolumenti accessori aventi carattere fisso e continuativo, caso poi conclusosi definitivamente con il rigetto della domanda dei lavoratori giusta Cass. n. 27312 del 17 novembre 2008). In effetti, per ritenere illegittimamente escluse indennita’, emolumenti ed altre voci non e’ rilevante la continuita’ della relativa corresponsione, che secondo i ricorrenti ne imporrebbe la considerazione tra gli elementi della normale retribuzione, quanto piuttosto occorre verificare se gli stessi siano inclusi nella retribuzione “normale” secondo quanto stabilito dal contratto collettivo dovendo dalla stessa rimanere escluse quelle voci che, per la relativa funzione e caratteristiche, siano rivolte a compensare particolari prestazioni e disagi specifici ovvero situazioni particolari meritevoli di tutela, anche se di fatto corrisposte con continuita’ (Cass. n. 27312/2008 cit.). E tale indagine, come esposto nella relazione, risulta essere stata correttamente condotta dalla Corte di merito attraverso l’interpretazione della normativa contrattuale.

Alla luce di quanto esposto il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico dei ricorrenti e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto del D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilita’ 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si e’ perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per i ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.600,00 per compensi professionali oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Cosi’ deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016

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