Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14336 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 08/06/2017, (ud. 20/04/2017, dep.08/06/2017),  n. 14336

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9908-2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA

CORETTI, VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;

– ricorrente –

contro

T.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 433/2016 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 10/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/04/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso affidato a quattro motivi, l’INPS ha impugnato la sentenza del Tribunale di Foggia, del 10 febbraio 2016, che, in accoglimento dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta da T.A. – avverso l’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati pronunziata dal giudice dell’esecuzione in una procedura di espropriazione presso terzi, contestando la decurtazione, nella misura di due terzi, del credito posto in esecuzione, avente ad oggetto l’imposta di registro pagata in riferimento ad una precedente ordinanza di assegnazione emessa in suo favore, quale avvocato distrattario, in una procedura esecutiva promossa in forza di una sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Foggia -, ha condannato l’INPS a pagare all’opponente la somma oggetto di decurtazione (Euro 213,67), oltre accessori di legge, nonchè le spese di lite, liquidate in Euro 195,00 per esborsi ed Euro 4.600,00 per onorario di avvocato, oltre accessori;

che non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato, preliminarmente, che l’istanza, depositata in cancelleria dalla T., con cui si chiede la riunione di più impugnazioni, da trattarsi nella presente adunanza, avverso sentenze differenti, sebbene tra le stesse parti e con connessione oggettiva, non può trovare accoglimento per ragioni di speditezza della trattazione e della decisione;

che, con il primo motivo, è dedotta nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per “violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 93, 409, 617, 618 e 618 bis c.p.c.”;

che il motivo è manifestamente fondato;

che, infatti, come dedotto dall’Istituto ricorrente, il giudizio di merito non è stato instaurato nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione all’esito della fase sommaria;

che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “il credito azionato in executivis dal difensore del lavoratore munito di procura nella sua veste di distrattario delle spese di lite, ancorchè consacrato in un provvedimento del giudice del lavoro, non condivide la natura dell’eventuale credito fatto valere in giudizio, cui semplicemente accede, ma ha natura ordinaria, corrispondendo ad un diritto autonomo del difensore, che sorge direttamente in suo favore e nei confronti della parte dichiarata soccombente; conseguentemente, non opera con riferimento al detto credito la competenza per materia del giudice del lavoro, prevista per l’opposizione all’esecuzione dall’art. 618-bis c.p.c..” (Cass. n. 24691/2010; Cass. n. 17134/2005; Cass. n. 11804/2007);

che l’applicazione del detto principio di diritto al caso di specie comporta che è fondata la censura del ricorrente secondo cui il giudizio di opposizione agli atti esecutivi si sarebbe dovuto svolgere secondo il rito ordinario, e non secondo il rito del lavoro (e in senso contrario non è possibile argomentare da altri precedenti di questa Corte relativi a controversie analoghe alla presente, nelle quali il rito del lavoro seguito nel grado di merito non era oggetto, come nel presente ricorso, di specifica censura);

che va, quindi, fatta applicazione del principio di diritto richiamato anche nel ricorso, secondo cui “a norma dell’art. 618 c.p.c., comma 2, – nel testo sostituito dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 15 -, l’introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione, all’esito dell’esaurimento della fase sommaria di cui al comma 1 della indicata disposizione, deve avvenire, analogamente a quanto previsto dall’art. 616 c.p.c., con la forma dell’atto introduttivo richiesta nel rito con cui l’opposizione deve essere trattata, quanto alla fase di cognizione piena; pertanto, se la causa è soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione, da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice” (Cass. n. 19264/2012; Cass. n. 1152/2011);

che avendo l’opponente introdotto il giudizio con ricorso invece che con citazione, per rispettare il termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione, avrebbe dovuto in tale termine non solo depositare il ricorso, ma anche notificarlo e che, dunque, non avendo egli proceduto in tal senso (il ricorso risulta depositato entro il termine assegnato, ma la sua notifica è avvenuta in data certamente successiva alla sua scadenza), il Tribunale adito in sede di merito avrebbe dovuto rilevare il mancato rispetto del termine perentorio di cui all’art. 618 c.p.c., dichiarando inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi per tardiva instaurazione del giudizio di merito;

che la sentenza che ha accolto l’opposizione è quindi affetta da nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

che va, quindi, accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti motivi;

che la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, dichiarando inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla parte qui intimata;

che per le spese del giudizio di merito e per quello del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dall’intimata T.A.;

condanna l’intimata al pagamento in favore dell’INPS delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 630,00, e al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 3 della Corte suprema di Cassazione, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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