Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14335 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 08/07/2020), n.14335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18431/2018 proposto da:

A.C., o A.C., elettivamente domiciliato in Roma Via

Torino, 7 presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 09/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.-Il Tribunale di Roma, con decreto del 9 maggio 2018, ha rigettato il ricorso proposto da A.C. (o C.) nei confronti del provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e delle altre forme di protezione internazionale. Il ricorrente aveva dichiarato di aver lasciato la (OMISSIS) nel febbraio del 2016 e raggiunto prima la Libia, quindi l’Italia, per sfuggire alle minacce dei parenti di un suo amico ucciso dalla Polizia nel corso di una manifestazione di piazza degli (OMISSIS), i quali lo avevano accusato di aver convinto il ragazzo a partecipare alla manifestazione e lo avevano denunciato alla Polizia. Per questa ragione il ricorrente aveva rappresentato il timore, in caso di rimpatrio, sia della vendetta dei parenti del suo amico, sia delle rappresaglie della Polizia.

Il Tribunale ha ritenuto detta narrazione generica ed inattendibile, non chiarendo essa la ragione per la quale i parenti del ragazzo deceduto, che non erano stati presenti alla manifestazione, avrebbero accusato il ricorrente della morte del congiunto e lo avrebbero denunciato alla Polizia per le attività indipendentiste pur appartenendo alla stessa etnia, dopo che il loro congiunto era stato ucciso proprio dalla Polizia.

Nè ha ritenuto plausibile il Tribunale che il ricorrente, temendo la vendetta dei parenti dell’ucciso, abbia lasciato in (OMISSIS) la moglie e due figli in tenera età senza preoccuparsi di vendette trasversali. Il ricorrente ha anche riferito di non avere un ruolo politico di rilievo nel partito (OMISSIS), tale da giustificare un’attività di proselitismo, ed ha inteso documentare la sua appartenenza al partito con una tessera ritenuta dal Tribunale di dubbia autenticità. Il giudice di merito ha, pertanto, escluso la sussistenza di una potenziale situazione di persecuzione ad personam riconducibile alle ragioni tutelate dalla Convenzione di Ginevra.

Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, ha rilevato che il ricorrente non ha dedotto in modo plausibile di poter subire un danno grave in caso di rimpatrio ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Con riguardo alla ipotesi di cui alla lett. c), il Tribunale ha osservato che la zona della (OMISSIS) meridionale di cui fanno parte anche gli Stati di (OMISSIS), dove il ricorrente è nato, e di (OMISSIS), dove è vissuto in prevalenza, registrano quale fattore problematico l’attività delle sette nonchè gli scontri politici legati alle attività del partito (OMISSIS). In tali zone, peraltro, la situazione non raggiunge livelli di violenza diffusa tale da determinare rischi per ampie fasce della popolazione civile. E’ dunque da escludere, secondo il Tribunale, che la condizione della zona di provenienza del ricorrente possa ricondursi alla ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale ha rilevato che il ricorrente non ha allegato, pur nella difficile condizione del Paese di origine, circostanze di particolare vulnerabilità (ragioni di salute, traumi pregressi) che possano assumere rilievo ai fini della forma di protezione richiesta.

2.-Per la cassazione di tale decreto ricorre A.C. (o C.) sulla base di due motivi. Il Ministero intimato non si è costituito nel giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, e art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria in ordine alla situazione della (OMISSIS) incombente sul giudice della protezione internazionale. Per il ricorrente il danno grave che avrebbe dovuto dar luogo al riconoscimento della protezione sussidiaria in suo favore si concretizzava nel rischio di subire la minaccia grave ed individuale alla sua vita derivante dalla violazione dei diritti umani in (OMISSIS) e di subire giustizia sommaria. Il Collegio non avrebbe approfondito la situazione attuale del Paese, in particolare con riferimento alla situazione carceraria e giudiziaria, ad arresti e detenzioni arbitrarie e alla diffusione dello strumento della tortura.

2. Il motivo è infondato.

Il Tribunale si è fatto carico del suo obbligo di cooperazione istruttoria, ed ha dato conto della fonte delle informazioni sulla situazione della (OMISSIS), rilevando che essa, nonostante l’elezione dell’attuale presidente M.B., resta critica sotto il profilo del rispetto dei diritti umani, anche se la condizione di incertezza ed i fenomeni di violenza si declinano in modelli distinti a seconda delle regioni del Paese interessate. Il report di EASO del giugno 2017 registra un livello di sicurezza del Paese particolarmente labile nella parte settentrionale e nel sud est, mentre nella regione in cui il ricorrente è nato ((OMISSIS)) ed in quella in cui viveva e dove vivono i congiunti ((OMISSIS)), non si raggiungono livelli di violenza diffusa ed indiscriminata tali da determinare rischi per la incolumità di ampie fasce della popolazione. Il giudice di merito ha, pertanto, su tali presupposti, correttamente escluso la configurabilità della ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). L’attuale ricorrente, attraverso la deduzione della violazione della normativa in materia, tende all’evidenza a conseguire una revisione della valutazione di merito operata dal Tribunale, inibita nella presente sede di legittimità.

3.- Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 TUI e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. In considerazione delle condizioni oggettive del luogo di origine e di quello di provenienza il Tribunale avrebbe dovuto valutare la vulnerabilità del ricorrente per riconoscergli la protezione umanitaria, anche con riferimento alle violenze subite in Libia.

3.- Anche questo motivo è privo di fondamento.

Il diritto alla protezione umanitaria non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza, come accertato, quanto alla regione della (OMISSIS) di cui è originario il ricorrente, ed a quella di residenza sua e dei suoi congiunti, e, quindi, di presumibile rientro, dal Tribunale (ord. n. 17072 del 2018).

Nè il ricorrente – ha osservato il giudice di merito – ha dedotto alcun motivo di vulnerabilità soggettiva (problemi di salute, traumi subiti) o la acquisita integrazione nel Paese di accoglienza.

Quanto alla situazione di grave violazione dei diritti umani in Libia, Paese di transito del ricorrente, che ha dedotto di avere subito violenze in detto Stato, è pur vero che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (v. Cass., ord. n. 13096 del 2019).

Tuttavia, nella specie, in disparte la genericità della deduzione di aver subito violenza in Libia, oggetto del mezzo di ricorso in esame, va rilevato che, non essendo contenuto nel provvedimento impugnato alcun riferimento alla deduzione di violenze subite in Libia dal ricorrente, questi era tenuto a specificare in quale atto del giudizio di merito avrebbe dedotto tale condizione.

5.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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