Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14333 del 28/06/2011
Cassazione civile sez. II, 28/06/2011, (ud. 11/03/2011, dep. 28/06/2011), n.14333
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 7381/2009 proposto da:
R.M. (OMISSIS), M.O., elettivamente
domiciliate in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e
difese dall’avv. BELTRAME ALESSANDRO, giusta mandato a margine del
ricorso;
– ricorrenti –
contro
B.M. (OMISSIS), B.T., elettivamente
domiciliate in ROMA, VIA G. PISANELLI 40, presso lo studio
dell’avvocato BISCOTTO BRUNO, rappresentate e difese dagli avvocati
DAMIANI Giorgio, URSO EMANUELE, giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 155/2008 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE del
27.2.08, depositata il 28/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio
dell’11/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO
FINOCCHI GHERSI che nulla osserva.
Fatto
FATTO E DIRITTO
1) Le odierne ricorrenti R.M. e M.O. avevano agito nei confronti di B.M. e T. e altri soggetti rimasti contumaci per conseguire un contributo alle spese di manutenzione e pulizia di un loro immobile, gravato di servitù di transito su parti comuni.
La domanda era stata respinta dal tribunale di Udine, che aveva accolto la domanda riconvenzionale, con la quale era stata chiesta la consegna delle chiavi del portoncino di accesso ai piani dell’edificio oggetto della servitù.
La Corte di appello di Trieste con sentenza 28 maggio 2008 ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato le attrici al pagamento in solido tra loro delle spese processuali, in favore delle due parti appellate, liquidandole in Euro 2440,00 per ciascuna parte.
Le soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 12 marzo 2 009, dolendosi della statuizione sulle spese di lite.
B.M. e T. hanno resistito con controricorso.
Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in Camera di consiglio.
Le parti hanno depositato memorie.
2) Con il primo motivo le ricorrenti lamentano che sia stata disposta la duplicazione della liquidazione delle spese nei confronti di parti aventi unica posizione processuale, dovendosi invece disporre l’eventuale aumento del 20% sul compenso unico.
In subordine, con il secondo motivo si dolgono dell’omessa motivazione sulla liquidazione delle spese, disposta nella maniera siffatta, senza nulla argomentare in ordine alla unitarietà o differenziazione delle posizioni processuali delle sorelle B..
Il controricorso eccepisce l’inammissibilità del quesito ex art. 366 bis c.p.c., ed espone che il compenso determinato non supera in ogni caso il massimo della tariffa professionale che avrebbe potuto essere riconosciuto per l’attività svolta.
Il primo motivo, apparso adeguatamente formulato al relatore, è, ad avviso del Collegio, inammissibile ex art. 366 bis c.p.c..
Lamenta la violazione del disposto dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, n. 4 (per mera svista indicato come art. 4, n. 5), che consente di incrementare l’unico compenso spettante al difensore di più persone, aventi la stessa posizione processuale, di un massimo del 20%, e non di duplicarlo.
Il quesito, esposto a pag. 5 del ricorso, recita: “Dica la Corte se il giudice debba condannare la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze a favore di più parti aventi la stessa posizione processuale ed assistite dal medesimo difensore con unico compenso”.
Il quesito difetta di concretezza, perchè non riassume la questione esaminata in concreto, nè indica quale sia stata la soluzione adottata dal giudice di merito, ma si limita a porre la problematica generale relativa alla liquidazione di unico compenso qualora sia unico il difensore di più parti vittoriose.
Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, alla stregua dell’art. 366 bis cod. proc. civ., non corrisponde alle prescrizioni di legge il quesito formulato prescindendo del tutto dalla fattispecie concreta rilevante nella controversia, sì da non porre il giudice di legittimità in condizione di comprendere, in base alla sola sua lettura, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito (SU 7433/09).
Il ricorso deve essere però accolto, stante la manifesta fondatezza del secondo motivo, proposto in via subordinata.
La Corte d’appello di Trieste ha inequivocabilmente determinato il compenso spettante al difensore di ciascuna delle due parti appellate costituitesi con il medesimo difensore e risultate vincitrici, poichè ha chiaramente esplicitato nel dispositivo della sentenza che l’importo delle spese veniva determinato – per ciascuna parte – in Euro 2440,00.
Parte ricorrente si duole fondatamente dell’omissione di motivazione in ordine al presupposto che legittima la possibilità di differenziare e quindi nella specie duplicare le spese liquidate al difensore di più parti.
Tale presupposto è costituito dalla diversità di posizioni processuali, atteso che al difensore di più parti (fino ad un massimo di dieci) aventi la stessa posizione processuale può essere attribuito solo “l’onorario unico” con l’aumento massimo del 20%.
In sentenza non risulta alcuna motivazione della decisione di duplicare il compenso dell’unico professionista che ha difeso le parti, motivazione indispensabile a sorreggere la mancata applicazione della norma citata e a spiegare le differenziazioni tra le difese delle convenute.
Irrilevante è , alla luce dell’omissione di motivazione, la circostanza che la somma liquidata in concreto sia rimasta, secondo parte controricorrente, entro i limiti massimi consentiti dalla tariffa professionale. Non vi è infatti questione di applicazione fuori dagli scaglioni od oltre i limiti, ma di mancata esplicitazione del percorso logico che ha condotto a ritenere sussistenti i presupposti per la liquidazione effettuata singolarmente per ognuna delle appellate.
Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso.
La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame al giudice di merito, che si individua in altra sezione della Corte d’appello a quo, affinchè questi proceda nuovamente alla liquidazione delle spese, fornendo adeguata motivazione, al lume della normativa applicabile.
Liquiderà anche le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia altra sezione della Corte d’appello di Trieste, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011