Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14331 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2099-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRALE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PIER LUIGI ROMANO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2374/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di SIRACUSA, depositata

il 05/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la sentenza impugnata la CTR Sicilia, rigettando l’appello principale proposto dall’Ufficio e quello incidentale del contribuente R.P., esercente la professione di Avvocato, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso del contribuente avverso il diniego tacito dell’amministrazione finanziaria al rimborso della quota pari al 90% delle imposte IRPEF ed ILOR relative a redditi di lavoro autonomo versate per gli anni 1990, 1991 e 1992, richiesto in quanto residente in una delle province colpite degli eventi sismici, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, invece rigettando la richiesta di rimborso dell’IVA.

La CTR ha ritenuto, per quel che qui rileva, spettante il chiesto rimborso considerando che l’attività di avvocato non fosse equiparabile a quella imprenditoriale.

L’intimato si è costituito con controricorso e ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo, pure depositando memoria.

Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia deduce la violazione della L. n. 289 del 2000, art. 9, comma 17, della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la CTR avrebbe errato a riconoscere al contribuente il diritto al rimborso delle imposte pur in presenza di attività di impresa, quale doveva considerarsi quella dell’esercente la professione di avvocato.

Il motivo è fondato.

Come già ritenuto da questa Sezione (Cass. n. 29905 del 2017 e n. 3070 del 2018 “la nozione Eurounitaria d’impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia: 23/04/1991, Hofner & Elser; 16/11/1995, Federation francaise des societes d’assurances; 11/12/1997, Job Centre; 16/06/1987, Commissione vs. Italia; 01/07/2008, Motoe; 26/03/2009, Selex Sistemi Integrati)”; che ciò “si raccorda sia con la normativa fiscale Europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” (art. 9, p.1, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE), sia con la normativa Europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi” (art. 1, p.8, Direttiva UE, n. 2004/18/CE)”; che tale nozione è stata recepita dalla decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 final, p. 134, della Commissione UE, là dove si afferma che i “soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese””; e che “ciò significa che non importa neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione UE, 30/01/1995, n. 95/188/CE; conf. Corte giustizia, 23/04/1991, Hoefner e 18/06/1998, Commissione vs. Italia)”.

Va pertanto considerata attività d’impresa anche quella svolta da soggetti esercenti attività di lavoro autonomo – conf., fra le altre, Cass., n. 27577/2019 -.

Va poi ribadito, in linea con i precedenti resi da questa Sezione sul medesimo argomento, che lo svolgimento di un’attività di impresa costituisce limite all’applicabilità del beneficio in esame, previsto dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prima parte, posto che il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, in favore dei “soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’O.M. per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, art. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990” è espressamente escluso per “quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea”, atteso che la Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2008, in causa C-132/06, aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla L. n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale.

Peraltro, anche con riferimento al beneficio di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prima parte, la Commissione UE, con la decisione sopra richiamata (impugnata da una società siciliana dinanzi al Tribunale di primo grado UE, che l’ha confermata con sentenza del 26 gennaio 2018 e che, pertanto, è vincolante per il giudice nazionale, che deve darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante – Cass. n. 15354 del 2014 e n. 22377 del 2017), all’art. 1 ha stabilito, in via generale, che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; (…) e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno”, salvo che si tratti di “aiuto individuale” che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014”, ovvero dei regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 della decisione) o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’art. 1 del regolamento (CE) n. 994/98” (del 7 maggio 1998, sull’applicazione degli artt. 92 e 93 (ora 87 e 88) del trattato che istituisce la Comunità Europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali) “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3).

E’ stata poi la stessa Commissione UE ad aggiungere che “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sè aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perchè il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perchè il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis applicabile oppure perchè il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)” (p. 134 della “decisione”). In definitiva, risulta chiaro che in caso di svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale che sia) da parte del contribuente (assoggettato a imposizione sulle attività produttive), il giudice di merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), “tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza” (Cass., n. 22377/2017, cit.; conf. n. 29905/2017, cit.). In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (p. 150, lett. b), dec. cit.), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (p. 136 dec. cit.); il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovra-compensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto (p. 148 dec. cit.); inoltre, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. sez. lav., 09/06/2017, n. 14465). ”

Questa Corte ha ancora precisato, nei precedenti appena evocati, che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione UE (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello) e la sua diretta incidenza sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza delle commissione regionale, consentono alle parti l’esibizione, in sede di rinvio, di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. in tal senso già Cass. n. 5224 del 1998, cit.).

Alla stregua di tali considerazioni, il motivo di ricorso principale va accolto, non essendosi la CTR uniformata ai superiori principi laddove ha negato l’equiparazione fra l’attività libero professionale (nel caso di specie di Avvocato) e quella dell’imprenditore.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, e del D.L. n. 91 del 2017, art. 16 octies, è infondato.

Orbene, ritiene il Collegio che il delineato jus superveniens, attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale, per nulla incide sulla questione, della quale è investita la Corte con il ricorso in esame, del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, qual è il controricorrente, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza. Inoltre, costituisce jus receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incida sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (es. tra le tante Cassazione civile, sez. trib., 24/04/2015, n. 8373, in tema di IVA). Il che rende complessivamente tuttora operanti e pienamente attuali i principi di diritto già enunciati in materia da questa Corte – cfr. Cass. n. 25268/2018 -.

E’ inammissibile il ricorso incidentale con il quale si è prospettata sussistenza di un giudicato sul punto formatosi in forza della sentenza di primo grado, come dedotto dal controricorrente.

Ed invero, il R. ha omesso di riportare integralmente l’atto di appello dell’Agenzia, al cui interno, come è dato evincere dalla sentenza qui gravata, l’Ufficio aveva sostenuto l’infondatezza della pretesa del contribuente al rimborso in relazione ad un quadro normativo che il giudice di appello ha esaminato, giungendo alla conclusione della non equiparabilità della figura del professionista a quella dell’imprenditore. Da ciò consegue l’inammissibilità dell’eccezione di giudicato interno, priva del carattere dell’autosufficienza, tanto risultando sufficiente a superare i rilievi difensivi esposti in memoria dal ricorrente incidentale, anche alla luce dell’atto di appello prodotto dallo stesso ricorrente, dal cui esame si evince che la questione relativa alla natura dell’attività professionale svolta e alla possibilità di fare rientrare l’esonero dal pagamento dei tributi come aiuto di stato era stata puntualmente esposta a pag.3 del ricorso in appello.

In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso principale, disatteso il secondo ed inammissibile il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR Sicilia cui è demandato di procedere a nuovo esame in conformità ai superiori principi di diritto, alla decisione della Commissione UE del 14/08/2015 ed alle indicazioni della Corte di giustizia del 15/07/2015.

Vanno liquidate le spese del ricorso incidentale a carico del R., dando atto dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso principale nei termini di cui in motivazione, rigetta il secondo e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione.

Condanna R.P. al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidandole in Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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