Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1433 del 23/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1433 Anno 2014
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: MACIOCE LUIGI

Rep .

ORDINANZA

sul

ricorso iscritto al nr 27613 del R.U. ann Q ZQ12

Cde 19.11.2013

proposta da:
Comune di Bari in persona del Sindaco, domiciliato in Roma via
Bertoloni 37 presso l’avv. Roberto Ciociola con l’avv. Luisa Amoruso che
lo difende e rappresenta per procura speciale in calce

ricorrente

contro
Di Cagno Abbrescia Simenone — Di Cagna Abbrescia Amalia

quali
via

eredi e la seconda anche

in proprio, domiciliati in ROMA,

Papiniano 29 presso l’avv.

Marco Ravaioli con l’avv. Paolo Nitti che

li rappresenta e difende per procura a margine

avverso la sentenza 768 in data

contro ricorrenti –

28.06.2012 della Corte di Bari ;

udita la relazione della causa svolta nella c.d.c del 19.11.2013 dal Cons.
Luigi MACIOCE; udito l’avv. Paolo Nitti; presente il P.M., in persona del
Sost. Proc.Gen. Dott. I.Zeno che ha concluso per il rigetto.
RILEVA
Il Collegio che il relatore designato nella relazione depositata ex art. 380
bis c.p.c. ha ricostruito la vicenda nel senso di cui appresso.
La Corte di Appello di Bari con sentenza 28.06.2012, esaminando
in grado di appello la controversia introdotta nel 1993 dai Di CagnoAzzolini nei confronti del Comune di Bari e del locale IACP, avente ad
oggetto l’occupazione perpetrata nel 1978 di loro fondi in Bari ed irreversibilmente trasformati, ha determinato il risarcimento dei danni dovuti nella somma di C 320.133 oltre accessori ponendo tal somma a ca-

Data pubblicazione: 23/01/2014

Ed invero, la tesi della corte di merito è assolutamente corretta alla
luce anche della più recente giurisprudenza di questa Corte che con alcuni pronunziati ha ribadito il principio ed anzi ha condotto al Dicembre
1991 la data del dies a quo della prescrizione (Cass. 15089 e 20979 del
2012). Si trascrive parte del decisum della prima sentenza testè citata,
che si condivide appieno :
Giova prendere le mosse – proprio su sollecitazione della problematica posta dal motivo, che giustamente induce a riconsiderare il quadro
di compatibilità istituzionale dell’istituto di creazione pretoria della occupazione acquisitiva – dal principio formulato e ripetutamente ribadito da
questa Corte (Cass. 20543 e 22407 del 2008, 9620 e 12863 del
2010, 2064 del 2012), un principio consapevolmente formulato
nell’ambito della riconsiderazione dell’istituto della occupazione acquisitiva in un quadro di compatibilità con il disposto di cui all’art. 1 prot. I
della C.E.D.0 (come indicato da S. U. 6853 del 2003).
E’ stato dunque affermato che la fattispecie della c. d. accessione invertita (illegittima occupazione acquisitiva) — come delineata, con la decisione 1464 del 1983 delle Sezioni Unite, e normativamente per la prima
volta riconosciuta dall’art. 3 della legge 458 del 1988 – considerata quale illecito istantaneo da cui consegue il diritto del proprietario al risarcimento del danno costituito dalla irreversibile trasformazione del bene
occupato e dalla correlata perdita della proprietà (che viene acquisita
dall’amministrazione occupante, per accessione all’opera pubblica realizzata), non con fugge con l’art. 1, primo protocollo della CEDU.
Ed infatti, la norma europea, nell’interpretazione datane dalla Corte di
Strasburgo, è solo diretta ad escludere che il bene del privato possa essere acquisito dalla P.A. per ragioni diverse dalla pubblica utilità e senza
un ristoro effettivo e congruo [ristoro ora, comunque, rapportato alla integralità del valore dopo la pronunzia di Corte Cost. 349 del 2007) e
prescinde dal nomen iuris e dalle modalità di tutela adottate.
Tale istituto, quindi, nel momento in cui nel Novembre 1988 viene regolato espressamente, non è in collisione con alcuna disciplina internazionale che non sia quella che imponeva ed impone il giusto indennizzo per
la perdita della proprietà, adeguamento che è solo in prosieguo avvenuto
per effetto della appena ricordata decisione della Corte Costituzionale
(che ha eliminato il comma 7bis dell’art. 5 bis della legge 359 del 1992)
e con l’introduzione dell’art. 2 commi 89 e 90 della legge 244 del 2007.
Ma se è indubbio che la compatibilità dell’istituto de quo con l’art. I P.P.
CEDU si situa nel punto e nel momento in cui il legislatore porta ad
“emersione” l’istituto dotandolo di una propria veste giuridica e ne
disciplina i profili risarcitori con parametri effettivi e congrui, giova
dedicare alcune considerazioni al diverso profilo afferente il tempo nel
quale il così delineato quadro normativo può ritenersi compiutamente
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rico del solo Comune ed affermando in motivazione doversi disattendere
l’eccezione di prescrizione quinquennale che il Comune aveva ribadito
posto che alla luce della giurisprudenza di legittimità detta prescrizione
non poteva decorrere che dalla legge 458 del 1988 ed era stata quindi
tempestivamente interrotta dalla citazione 29.03.1993.
Ricorre con unico motivo il Comune (e resistono i Di Cagno Abbrescia) denunziando violazione dell’art. 2935 c.c. e dissentendo dalla giurisprudenza richiamata dalla Corte di Bari.
Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso. Il difensore dei controricorrenti ha depositato memoria adesiva alla proposta del relatore e invocante il rigetto del ricorso.
OSSERVA
A parere del Collegio il ricorso va certamente respinto alla stregua
delle esatte considerazioni di cui alla relazione, significativamente non
fatte segno ad alcun rilievo critico da parte del Comune.

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realizzato, essendo di totale evidenza, venendo alla questione che
occupa in questa sede, che nessun corso prescrizionale del credito
risarcitorio può maturare (art. 2935 c.c.) sintantoche la norma di legge
non regoli la vicenda acquisitiva della “espropriazione sostanziale” in
termini applicabili al caso di specie, al proposito questa Corte avendo
infatti con chiarezza precisato che l’istituto è conforme al principio di
legalità nel momento in cui è previsto dalla legge (Cass. 20543 del 2008
cit.).
Si tratta cioè di passare dalla affermazione – presente nei succitati
pronunziati di questa Corte – della individuazione nell’art. 3 della legge
458 del 1988 della fonte di giuridica esistenza dell’occupazione
appropriati va come istituto a disciplina legale alla chiarificazione
dell’ambito applicativo di quell’istituto. E l’indagine risponde alla precisa
esigenza “pratica” di determinare se e da qual momento un istituto
esistente sia anche alla fattispecie applicabile, solo da tal momento
potendosi predicare la decorrenza della prescrizione del diritto al ristoro.
Ebbene, la disposizione della legge 458 del 1988 (il proprietario del
terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e
convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da
provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata
in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene) ha regolato per
il settore della edilizia residenziale pubblica – e con riguardo a tutte e tre
le ipotesi di interventi costruttivi (quelli realizzati dalla mano pubblica,
quelli realizzati nel regime concessorio e convenzionale di cui all’art. 35
della legge 865 del 1971 e quelli posti in essere da privati in un quadro
indeterminato di regimi agevolativi) – l’ipotesi della occupazione
acquisitiva, condizionandola al duplice requisito A) della previa esistenza
ed efficacia della dichiarazione di p. u. B) della rimozione giurisdizionale
del decreto di esproprio.
La legalizzazione dell’istituto ha quindi avuto – inizialmente – una base
applicativa assai limitata.
L’intervento della sentenza n. 486 del 18.12.1991 della Corte
Costituzionale ha però rimosso l’irragionevole limitazione (supra sub 8)
della ipotesi dell’annullamento dell’esproprio, ad essa aggiungendo – con
sentenza demolitoria-additiva (tal formula essendo stata adottata stante
la insuperabile rigidità della formula normativa) – l’ipotesi della mancata
emissione del provvedimento espropriativo.
E da tal intervento questa Corte, in un significativo precedente, (Cass.
17274 del 2010) ha tratto le doverose conseguenze sul piano del
regime prescrizionale là dove ha affermato che, “….avendo il legislatore
riconosciuto gli effetti dell’istituto per la prima volta soltanto con la legge
n. 458 del 1988 (seppure indirettamente), è a partire da questo
momento che è iniziato a decorrere, in quanto solo allora
normativamente percepibile, il termine di prescrizione del diritto al
risarcimento del danno per l’avvenuta occupazione espropriativa al fine
di realizzare un’opera pubblica insorto in epoca anteriore.Ma se ciò è
vero per tali categorie di espropriazioni e per le utilizzazioni di terreni per
finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e
con venzionata,interessati da un decreto di espropriazione dichiarato
illegittimo con sentenza passata in giudicato,cui l’art.3 della legge
458/1988 ha esteso la regola della non restituibilità del bene
irreversibilmente trasformato,alla medesima conclusione non può
pervenirsi per l’ipotesi di terreni con analoga situazione fattuale,ma non
raggiunti da alcun decreto di esproprio, che per le ragioni esposte non
potevano considerarsi oggetto di occupazione acquisitiva e neppure
rientrare nell’ipotesi di edilizia residenziale che la menzionata norma
aveva equiparato a quest’ultima:tant’è che l’estensione è potuta
avvenire soltanto in seguito all’intervento di cui si è detto della Consulta.
Ed allora il Collegio deve concludere che per tale tipologia di crediti, il
contesto temporale in cui l’estensione dell’istituto a questi ultimi è

Ebbene, ad avviso del Collegio in questo quadro applicativo si
colloca proprio la vicenda sottoposta, ove l’intervento effettuato in
regime di delegazione ex artt. 35 e 60 legge 865 del 1978, portò ad una
occupazione disposta nel 1978 , seguita dalla realizzazione (premessa in
fatto della irreversibile trasformazione) in quel periodo e prima del
quinquennio di occupazione legittima scaduta nel 1983, ma non
conclusa da alcun decreto di esproprio.
Nessun dubbio, pertanto, sul fatto che nessuna occupazione
acquisitiva si sarebbe potuta ritenere avverata con la sola entrata in
vigore dell’art. 3 legge 458 del 1988 e prima della pubblicazione della
sentenza 486 del 1991 della Corte Costituzionale e che tampoco alcun
corso prescrizionale del diritto al risarcimento del danno avrebbe potuto
ingenerarsi. Di qui, iniziato il corso prescrizionale nel Dicembre 1991, la
sua tempestiva interruzione con l’atto introduttivo del 1993.
Giova conclusivamente notare che la questione de qua non è
interferita in alcun modo dalla questione, oggetto della rimessione alle
S.U. con la ordinanza interlocutoria 11684/2013 di questa Corte,
relativa alla possibile “scomparsa” della occupazione acquisitiva per
effetto dell’art. 42 bis dPR 327/2001 e pertanto della natura permanente
dell’illecito (escludente in radice la prescrittibilità di un diritto): ed
infatti, diversamente dalla ipotesi di cui al processo rimesso alle S.U.
nella presente sede è passato in giudicato l’accertamento della avvenuta
occupazione acquisitiva e si discute, ut supra, della sola maturazione
della prescrizione.
Si rigetta il ricorso regolandosi le spese secondo soccombenza
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Comune di Palermo a pagare ai contro
ricorrenti, in solido, per spese la somma di C 12.100 (C 12.000 per
compensi) oltre IVA e CPA.
Così deciso nella c.d.c. della Seta Sezione Civile il 19.11.2013.

divenuto percepibile dai privati interessati e perciò conforme ai principi di
chiarezza e di legalità richiesti dall’art.42 Costit. è proprio in coincidenza
con la pubblicazione della citata decisione 486/1991 della Corte
Costituzionale”

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