Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14329 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. II, 25/05/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 25/05/2021), n.14329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26426-2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– resistente –

avverso la SENTENZA n. 345/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO,

depositata il 19/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/1/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’impugnazione che A.A., nato in Pakistan il 27/1/1988, aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

A.A., con ricorso notificato il 19/9/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal richiedente ritenendo che il racconto svolto dallo stesso era privo dei requisiti di veridicità, senza, tuttavia, considerare che il richiedente aveva precisato le ragioni per le quali era stato costretto ad abbandonare il proprio Paese, compiendo ogni ragionevole sforzo per circostanziare la propria domanda, fornendo tutte le informazioni in suo possesso e documentando quanto dichiarato. La corte d’appello, inoltre, non ha adempiuto al suo dovere di cooperazione istruttoria acquisendo, anche d’ufficio, le necessarie informazioni relative alla situazione del suo Paese d’origine e alla specifica condizione del richiedente, il quale, avendo subito persecuzioni e minacce per l’impegno politico dello zio e la testimonianza resa contro il suo assassino, ha diritto, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 al riconoscimento dello status di rifugiato.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3 e art. 14, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha sommariamente rigettato la domanda di protezione per mancanza delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) senza, tuttavia, considerare le persecuzioni e le minacce subite dal richiedente ed il rischio, cui il richiedente sarebbe esposto in caso di rimpatrio, di patire un grave danno a fronte dell’incapacità delle forze dell’ordine di fronteggiare la situazione di violenza indiscriminata esistente sul territorio e di offrire adeguata tutela ai cittadini.

3.1. Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Ai fini della protezione internazionale, infatti, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente circa la sua personale esposizione a rischio grave per la vita o la persona, essendo solo in tal caso possibile considerare “veritieri”, se pur sforniti di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), i fatti che lo stesso ha narrato (cfr. Cass. n. 16925 del 2018). Il richiedente, invero, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, ed, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora lo stesso, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. n. 8367 del 2020, in motiv.; Cass. n. 15794 del 2019; conf., Cass. n. 19197 del 2015).

3.2. La valutazione d’inattendibilità del richiedente costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. n. 27503 del 2018) che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 33858 del 2019), e cioè, oltre che per mancanza assoluta della motivazione, per motivazione apparente o per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, soltanto per omesso esame di una o più di circostanze (e non delle prove: Cass. SU n. 8053 del 2014), dedotte in giudizio, la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una differente ricostruzione dei fatti idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata, dovendosi, per contro, escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 2019).

3.3. Nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente in ordine alle ragioni per le quali aveva abbandonato il suo Paese d’origine erano generiche in quanto non sufficientemente circostanziate quanto ai luoghi, alle persone, ai tempi e alle dinamiche degli eventi narrati, e poco credibili, in quanto caratterizzate da forti aspetti di inverosimiglianza, e quindi, in definitiva, prive del requisito della veridicità richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Tale apprezzamento, tuttavia, non risulta essere stato specificamente impugnato dal ricorrente con la precisa deduzione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dei fatti, principali o secondari, che il giudice di merito, nell’accertamento svolto circa l’attendibilità della sua narrazione, avrebbe omesso di esaminare, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risulterebbero esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti sarebbero state oggetto di discussione processuale tra le parti, ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.), nel senso che la loro considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto diversa rispetto a quella affermata dalla decisione impugnata.

Ed è, peraltro, noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, quanto la domanda di concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), senza che sia a tal fine necessario procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità (nella specie neppure specificamente invocata nè comunque accertata nel giudizio di merito) di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33858 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 11924 del 2020).

3.4. Il riconoscimento della protezione internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (che non è impedito dall’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente) presuppone, invece, una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, la quale dev’essere accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019). La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020), indicando la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

3.5. La decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti. Nel caso in esame, infatti, la corte d’appello, con apprezzamento in fatto che (corretto o meno che sia) non è stato specificamente impugnato per omesso esame di fatti decisivi a suo tempo dedotti nel giudizio di merito, ha ritenuto che, alle luce delle informazioni ricavate dalle fonti internazionali a tal fine consultate (la cui utilizzabilità e pertinenza non sono state specificamente censurate), nel (OMISSIS), e cioè la regione di provenienza del richiedente, non sussisteva, pur a fronte di episodi di conflitto, una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area in questione costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità.

3.6. Il ricorrente, d’altra parte, non ha adempiuto all’onere di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 26728 del 2019), e tali da far ritenere, in termini di certezza e non di mera probabilità, che, nella zona di provenienza del richiedente, per effetto di un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subirne la conseguente minaccia.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e dell’art. 3 CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria che il richiedente aveva proposto sul rilievo che lo stesso non versa in alcuna condizione di specifica e personale vulnerabilità in caso di rimpatrio, senza, tuttavia, considerare che la condizione di vulnerabilità personale può desumersi dalle persecuzioni e dalle minacce di morte che l’hanno costretto a lasciare il proprio Paese e dall’integrazione raggiunta in Italia.

5. 1. Il motivo è infondato. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

5.2. Nel caso di specie, escluso ogni rilievo alle dedotte persecuzioni subite in ragione dell’inattendibilità (ormai definitivamente accertata) della relativa narrazione, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che il richiedente, oltre a non aver allegato, neppure presenta una situazione di specifica vulnerabilità personale che potesse giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata. Il ricorrente, invece, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, che aveva dedotto nel giudizio di merito e che, pur se decisivi ai fini di una differente pronuncia a lui favorevole, non sono stati oggetto di esame da parte del giudice di merito: a partire dalla dedotta integrazione sociale e personale che la richiedente avrebbe conseguito in Italia, della quale, in effetti, la sentenza impugnata non tratta. Ed è noto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018), qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (nella specie, però, inadempiuto) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

6. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

7. Nulla per le spese di lite in mancanza di una effettiva attiva attività difensiva da parte del ministero.

8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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