Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14328 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. II, 25/05/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 25/05/2021), n.14328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27224/2019 proposto da:

S.W., rappresentato e difeso dall’Avvocato ASSUNTA FICO, per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– resistente –

avverso la SENTENZA n. 937/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO,

depositata il 2/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/1/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’impugnazione che S.W., nato in Pakistan l’1/1/1998, aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

S.W., con ricorso notificato l’11/9/2019, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

Il ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando

l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonchè l’omessa audizione del richiedente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha, con motivazione contraddittoria, rigettato la richiesta di audizione personale formulata dallo stesso, senza, tuttavia, considerare che, attraverso tale audizione, e l’esercizio dei poteri ufficiosi di cui dispone, avrebbe potuto fugare i dubbi, emersi nel corso della fase amministrativa e del giudizio di primo grado, concernenti le ragioni che lo avevano spinto a lasciare il suo Paese nonchè l’ottimo livello di inserimento che il richiedente ha attualmente raggiunto.

1.2. Il motivo è infondato. Il giudizio in esame, infatti,

introdotto con ricorso del 14/4/2017, risulta assoggettato non già al procedimento disciplinato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, commi 10 e 13, nel testo in vigore prima della sua abrogazione in parte qua disposta dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 20, (a norma del quale, in effetti, la decisione della commissione territoriale era impugnabile innanzi al tribunale che, a norma del comma 5, “sentite le parti”, decideva con sentenza soggetta a reclamo alla corte d’appello la quale, a sua volta, decideva all’esito di un procedimento in cui, in forza del comma 13, trovava applicazione il comma 10 cit.), ma, al contrario, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 36, comma 1, e art. 19 al rito sommario di cognizione, così come regolato dalle norme generali stabilite dagli artt. 702 bis ss. c.p.c. (D.Lgs. n. 150 cit., art. 1, lett. c) e dalle deroghe previste dal D.Lgs. n. 150 cit., art. 19: vale a dire norme che, a differenza dell’art. 35, comma 13, cit. (ed a prescindere dal significato che a quest’ultimo dev’essere attribuito, sul quale v. infra), non prevedono più che la corte d’appello prima di decidere debba sentire le parti, potendosi tutt’al più applicare le norme generali, tra cui quella, prevista dall’art. 117 c.p.c., che consente al giudice di merito di disporre in ogni stato e grado del processo la comparizione personale delle parti ed il loro libero interrogatorio sui fatti di causa, per trarne argomenti di prova in ordine ad essi (art. 116 c.p.c., comma 2), fermo restando, però, che la mancata utilizzazione di tale strumento, pur se invocato dal richiedente, non costituisce, in quanto rimesso alla discrezionalità del giudice, causa di nullità della sentenza.

1.3. D’altra parte, con riguardo al D.Lgs. n. 25 cit., art. 35 nel testo in vigore prima della sua parziale abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 150 cit., art. 34, comma 20, questa Corte ha ritenuto che, nel procedimento d’appello relativo ad una domanda di protezione internazionale, non fosse ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 cit., art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevedeva l’obbligo di sentire le parti, configurava non un incombente automatico e doveroso ma un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collegava il potere del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass. n. 3003 del 2018; conf., Cass. n. 24544 del 2011), avendo riguardo alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale (Cass. n. 14600 del 2019, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame, dove la corte ha ritenuto di escludere la necessità di disporre l’audizione del richiedente sul rilievo, rimasto incensurato, che il richiedente, essendo stato sentito dalla commissione territoriale, “è stato messo nelle condizioni di riferire ogni circostanza utile”.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, non ha provveduto ad alcuna valutazione in ordine ai documenti, dal cruciale valore probatorio, che il richiedente aveva depositato in data 12/2/2019, vale a dire il contratto di lavoro a tempo indeterminato a con decorrenza dal 12/3/2018, con le buste paga relative al periodo marzo/novembre 2018, ed il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato dallo stesso, e gli attestati di frequenza di frequenza di corsi di lingua italiana, laddove, in realtà, l’analisi di tali documenti, indispensabili ai fini della soluzione della controversia, avrebbe sicuramente reso una decisione differente rispetto a quella assunta.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria, omettendo di considerare che il richiedente aveva riferito di essere stato testimone di un attentato denunciando il fatto alla polizia e che, a fronte delle minacce ricevute, il pericolo per la sua incolumità scaturisce dall’impossibilità per lo stesso di ricevere adeguata tutela da parte dell’apparato statale pakistano, come la corte avrebbe potuto accertare acquisendo d’ufficio le informazioni relative alla situazione del Paese d’origine e alla specifica situazione del richiedente, non essendovi dubbio che, ai fini della protezione internazionale, la mancata protezione e/o il mancato accesso alla giustizia possano essere equiparati, ai fini di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), al danno grave che consente il riconoscimento della protezione sussidiaria.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria del richiedente senza, tuttavia, considerare in alcun modo il suo avvenuto inserimento sociale e l’elevato livello di integrazione raggiunta, quale emerge dall’attività lavorativa svolta in modo stabile e a tempo indeterminato, dalla situazione abitativa congrua e dalla conoscenza della lingua italiana, oltre che da legami sociali stabili, dimostrata dalla documentazione depositata in giudizio, e la condizione di vulnerabilità personale in cui, anche per effetto delle violenze già subite ad opera dei suoi persecutori, si verrebbe conseguentemente a trovare ove fosse nuovamente immesso, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico e ambientale, come quello del suo Paese d’origine, idoneo a determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali.

5. Il terzo motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, non ha provveduto a censurare la statuizione con la quale la corte d’appello, dichiaratamente condividendo la decisione assunta sul punto dal tribunale e dalla commissione territoriale, ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sul rilievo che le dichiarazioni rese dal richiedente non erano attendibili ed ha, sulla base del medesimo rilievo, rigettato (tra l’altro) anche la domanda di protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). Ed è noto che, in tema di protezione internazionale, una volta esclusa l’attendibilità della narrazione del richiedente relativamente alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, il giudice non è, poi, tenuto a reiterare il medesimo apprezzamento negativo in relazione alla istanza di protezione sussidiaria (per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a-b), solo perchè succedanea alla prima, giacchè l’una motivazione di diniego regge l’altra (Cass. n. 18648 del 2020). Peraltro, l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare la concessione della protezione sussidiaria, che lo stesso ha invocato, ai sensi del D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. b) senza che sia a tal fine necessario alcun un approfondimento istruttorio officioso salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità (nella specie neppure specificamente invocata nè comunque accertata nel giudizio di merito) di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33858 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 11924 del 2020).

6. Il secondo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La protezione umanitaria costituisce una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussid1aria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

Nel caso di specie – escluso ogni rilievo alle violenze asseritamente già subite in Pakistan ad opera dei suoi persecutori, trattandosi di un fatto la cui verificazione (anche solo in termini di veridicità della relativa narrazione) è rimasta (ormai definitivamente) esclusa – la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria rilevando l’insussistenza, in capo al richiedente, di una situazione di personale vulnerabilità. Si tratta di un apprezzamento in fatto che, come detto, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive (e non delle relative prove: Cass. SU n. 8053 del 2014) che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato, riproducendo i passi dei relativi atti difensivi, come dedotte nel giudizio di merito: a partire dalla condizione di integrazione sociale che il richiedente avrebbe conseguito, della quale la sentenza impugnata non tratta nè dà atto che i fatti (principali o secondari) ad essa relativi sono stati dedotti in giudizio.

D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6, (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018). Tale comparazione presuppone, tuttavia, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, a sua volta, non può derivare, come invece pretende il richiedente, nè dallo svolgimento in quest’ultimo di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020) nè dalla conoscenza della lingua italiana o dalla stipulazione di un contratto di locazione ad uso abitativo, in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con il ricorso contenente la domanda di protezione umanitaria.

7. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

8. Nulla per le spese di lite in mancanza di una effettiva attività difensiva da parte del ministero.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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