Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14322 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. II, 28/06/2011, (ud. 18/02/2011, dep. 28/06/2011), n.14322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 4709/2009 proposto da:

C.A., M.I., P.G., G.

D., C.P., G.R., B.M.,

A.P., S.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell’avvocato PERNAZZA Federico,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA

FRANCHIN, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.A., Q.B.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 466/2008 della CORTE D’APPELLO di ANCONA del

15/07/08, depositata il 26/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/02/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che

nulla osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Riformando la sentenza 24 maggio 2002 del tribunale di Ancona – Fabriano, la Corte d’appello di Ancona il 26 luglio 2008 dichiarava la nullità delle deliberazioni assunte il 29.11.2001 dal Condominio di (OMISSIS), al punto 1 dell’ordine del giorno.

Rilevava che, nel regolare la suddivisione dell’area condominiale esterna e la relativa ripartizione delle spese, con attribuzione di eguale godimento a tutti i condomini, la delibera aveva indebitamente inciso sui diritti individuali, poichè aveva stabilito una diversa ripartizione delle quote di comproprietà senza l’unanimità dei consensi.

C.P. e altri otto condomini, in epigrafe indicati, che avevano resistito alla domanda di annullamento della delibera, hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 12 febbraio 2009, imperniato su tre motivi.

Non si sono costituiti gli appellanti Q.B. e M. A..

Non risulta effettuata la notifica all’originario attore, sig. B.L., contumace nel giudizio di appello.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in Camera di consiglio.

Il ricorso, soggetto ratione temporis alla disciplina novellatrice di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, è inammissibile, come rilevato dalla relazione preliminare.

Il primo motivo, che concerne violazione dell’art. 1123 c.c., in relazione agli artt. 1120 e 1136 c.c., si conclude:

a) riassumendo la fattispecie con il dire che la Corte d’appello ha ritenuto che la delibera impugnata avrebbe modificato le tabelle millesimali, mentre “in realtà” si sarebbe solo voluto regolamentare l’uso della cosa comune, b) proponendo il seguente quesito: “Se nella fattispecie oggetto del ricorso siano applicabili i principi di diritto statuiti dall’art. 1120 c.c. e art. 1123 c.c., comma 2, art. 1136 c.c.”.

Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1138 c.c., in ordine alla qualificazione del regolamento condominiale e della modifica delle tabelle millesimale in ordine alla ripartizione delle spese. Dopo aver sintetizzato la fattispecie indicando brevi passaggi della delibera che smentirebbero la tesi della Corte territoriale in riferimento alla ritenuta volontà di modificare le tabelle millesimali relative alla proprietà, parte ricorrente pone il seguente quesito di diritto: “Se nella fattispecie oggetto del presente ricorso le clausole del regolamento modificate a maggioranza, per il miglior uso della cosa comune, siano da ritenere clausole regolamentari o negoziali”.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 345 e 356 c.p.c., e conseguente insufficiente motivazione in ordine alla mancata ammissione nel giudizio di appello – per tardività – di documentazione costituita da precedenti delibere condominiali. Pone il seguente quesito di diritto: “se le prove documentali prodotte nel giudizio di 2^ grado siano prove precostituite (e quindi ammissibili nel giudizio di appello) o prove costituende, e se la loro ritenuta inammissibilità e conseguente carenza e/o insufficiente motivazione sul punto sia in rapporto di causalità tra la circostanza insufficientemente valutata e la soluzione giuridica della controversia”.

I primi due motivi risultano per più aspetti inammissibili: in primo luogo perchè i quesiti di diritto si concretizzano in una semplice richiesta alla Corte di stabilire se il ricorso sia o meno fondato.

Ciò non è consentito, giacchè secondo la giurisprudenza di legittimità il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08).

Pertanto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (SU 26020/08).

Ne consegue che deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris” (Cass. 2658/08).

In ordine al primo motivo va aggiunto che esso avrebbe dovuto esporre censura di violazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o denuncia di un vizio di motivazione in ordine alla interpretazione della/e delibera condominiale, non essendo altrimenti percepibile la violazione di legge lamentata.

Altrettanto vale per il secondo motivo, che, oltre a chiudersi con un mero interpello e a non denunciare – nè con riferimento all’art. 1362 c.c., nè per vizio rilevabile ex art. 360, n. 5 – la eventuale illogicità della motivazione in ordine alla ricostruzione del contenuto della delibera impugnata, risulta viziato sotto il profilo dell’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. per tutte Cass. 4178/07).

Nella specie non risulta riportato integralmente e testualmente il testo degli atti indicati in ricorso, venendo così compromessa in radice la possibilità della Corte di compiere una ricostruzione del diverso significato che ad essi il ricorrente pretenda di attribuire.

Mette conto inoltre rilevare che ai sensi dell’art. 366 c.p.c., è stata omessa la specifica indicazione dei documenti posti a fondamento del ricorso e della sede processuale in cui risultano prodotti, con le conseguenze in punto di inammissibilità e improcedibilità, evidenziate da SU 7161/10.

Il ricorso si limita infatti, pur facendo riferimento a numerosi atti, a produrre la copia degli atti notificati e la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio.

Da ultimo, quanto al terzo motivo, va osservato che anche esso è affetto da genericità del quesito e da insufficiente illustrazione degli atti, al punto da non consentire di comprendere dalla lettura di esso quale sia il profilo criticato, se quello attinente alla ammissibilità della produzione documentale in appello, non ancorata nel quesito stesso alla fattispecie o il valore della prova ai fini della motivazione su un fatto controverso. Ne risulta l’inammissibilità del motivo.

In ogni caso, quanto al primo profilo, va rilevata la manifesta infondatezza di esso, alla luce di quanto ritenuto dalla Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze n. 8202 e 8203 del 2005, che hanno escluso la libera producibilità dei documenti (prove costituite) in appello, nel rito novellato dalla L. n. 353 del 1990 e successive modifiche.

Il Collegio condivide pertanto alla relazione preliminare, il cui tenore è stato puntualmente ripreso nei passaggi che precedono.

Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso, alla quale non segue la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva degli intimati.

Mette conto aggiungere che era superfluo disporre notifica ai fini di integrare il contraddittorio con la parte non intimata, atteso l’insegnamento di Cass. SU 6826/2010, nell’ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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