Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14322 del 06/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14322 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA

sul ricorso 14777-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso L’AREA
LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE,
rappresentata e difesa dagli avvocati CLAVELLI
2013

ROSSANA, URSINO ANNA MARIA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1189
contro

NAPOLI LETIZIA nata a il 26/06/1969, CHIANETTA
MICHELINA nata a il 09/08/1938, NAPOLI SAVERIO nato a

Data pubblicazione: 06/06/2013

il 08/12/1959,

NAPOLI FILIPPO nato a

NAPOLI MARIA ANTONIETTA nata a

il 04/05/1962,

il 13/02/1965,

tutti

quali eredi di NAPOLI AGOSTINO, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA RENO

21,

presso lo studio

dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che li rappresenta e

– controricorrenti
avverso la sentenza n.

29/2008

della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 16/06/2008 R.G.N. 3115/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/04/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato URSINO ANNA MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

difende, giusta delega in atti;

R. Gen. N. 14777/2009
Udienza 4/4/2013
Poste Italiane S.p.A. c/ Chianetta
Michelina +4

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata in data 16 giugno 2008 la Corte di appello di Roma, in
parziale riforma della decisione del Tribunale con la quale, a seguito di ricorso

dichiarata la nullità, per violazione di norme inderogabili di legge, della clausola
dell’accordo sindacale integrativo del c.c.n.l. del 26 novembre 1994 relativa alla
automatica risoluzione del rapporto di lavoro con i dipendenti che avessero raggiunto
la massima anzianità contributiva, condannava la società a risarcire a Michelina
Chianetta, Saverio Napoli, Letizia Napoli, Filippo Napoli, Maria Antonietta Napoli
(quali eredi di Agostino Napoli cui era stata comunicata siffatta risoluzione di
rapporto), il danno corrispondente alle retribuzioni perdute dal 25 luglio 2000 (epoca
del tentativo di conciliazione) fino alla data del decesso del Napoli (25 ottobre 2005)
oltre accessori di legge. Riteneva la Corte territoriale che il tempo decorso dal
collocamento a riposo alla richiesta di tentativo di conciliazione non fosse sufficiente
a far ritenere una intervenuta acquiescenza e che la società non avesse allegato
ulteriori circostanze idonee a conferire alla inerzia il preteso significato dismissivo.
Escludeva, inoltre, l’applicabilità del regime decadenziale di cui all’art. 6 della legge
n. 604 1966. Considerava, infine, che il Napoli solo con la richiesta di tentativo
obbligatorio di conciliazione avesse messo in mora la società datrice di lavoro e che
il risarcimento del danno fosse dovuto da tale data fino al decesso.
Avverso questa pronunzia la Poste Italiane S.p.A. propone ricorso per cassazione,
con quattro motivi.
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proposto da Agostino Napoli dei confronti della Poste Italiane S.p.A., era stata

R. Gen. N. 14777/2009
Udienza 4/4/2013
Poste Italiane S.p.A. c/ Chianetta
Michelina +4

Resistono gli intimati Michelina Chianetta, Saverio Napoli, Letizia Napoli,
Filippo Napoli, Maria Antonietta Napoli (quali eredi di Agostino Napoli) con
controricorso illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione del 3° comma dell’accordo integrativo al c.c.n.l. del 26/11/1994 (art.
360 n. 3 cod. proc. civ.) – Nullità della sentenza ai sensi degli artt. 112 e 161 cod.
proc. civ. (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.)”. Addebita alla sentenza di aver affermato la
nullità della clausola pattizia per la risoluzione automatica del rapporto al
raggiungimento della massima anzianità contributiva, mentre, nella specie, la
risoluzione era stata basata dall’azienda sul compimento del 65° anno di età.
2. La censura è innanzitutto inammissibile nella parte in cui denuncia, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione di una clausola dell’accordo
integrativo al c.c.n.l. del 26/11/1994 che, come è noto, può solo essere censurata
sotto il profilo della violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ovvero della
insufficienza o contraddittorietà della motivazione.
3. Per il resto il motivo è comunque inammissibile in quanto non è stata trascritta
la clausola denunciata né riportato il contenuto dell’atto risolutivo la cui erronea
interpretazione da parte della Corte di merito sarebbe alla base del denunciato vizio
di violazione di legge, ciò in violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
Peraltro la sentenza impugnata afferma la nullità della disposizione pattizia
contemplante la risoluzione sia per l’ipotesi del raggiungimento del 65° anno di età
sia per quella del raggiungimento della massima anzianità contributiva.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

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Udienza 4/4/2013
Poste Italiane S.p.A. c/ Chianetta
Michelina + 4

Si aggiunga che, per quanto si rileva dalla sentenza qui impugnata, già il giudice
di primo grado aveva statuito la illegittimità della risoluzione del rapporto negli
stessi termini di cui alla sentenza di appello senza che risulti che specifica doglianza
in ordine alla pretesa erronea ricostruzione del motivo di risoluzione ed alla asserita

individuazione di una diversa causa petendi fosse stata mossa dalla società in sede di
gravame.
3. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione dell’art. 1372 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)”. Si duole del
mancato accoglimento della deduzione di inammissibilità delle domande per
intervenuta acquiescenza alla risoluzione del rapporto di lavoro.
4. Il motivo non è fondato.
In proposito va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il
collegio aderisce, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui
all’art. 1372, comma 1, cod. civ., il comportamento delle parti che determini la
cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo in base a modalità tali da
evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione
ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel
quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo del contratto, a
discapito del ruolo e della rilevanza della volontà psicologica dei contraenti, con
conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti
sociali valutati in modo tipico; e ciò con particolare riferimento alla materia
lavoristica ove operano, nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non
consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (cfr., ad
es., Cass. 6 luglio 2007, n. 15264; id. 7 maggio 2009, n. 10526). Al riguardo, l’onere

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Poste Italiane S.p.A. c/ Chianetta
Michelina + 4

di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle
parti di voler porre fine al rapporto grava sul datore di lavoro che deduce la
risoluzione dello stesso per mutuo consenso (cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002, n.

E’, poi, consolidato l’orientamento secondo cui il relativo giudizio, sulla
configurabilità o meno, in concreto, di un tale accordo per facta concludentia, viene
devoluto al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata, si sottrae
a censure in sede di controllo di legittimità della decisione (cfr., diffusamente, tra le
altre, le sentenze citate).
Ciò posto in via di principio, si rileva che la Corte territoriale, dichiarando che il
lavoratore aveva reagito al collocamento a riposo, comunicatogli in data 22 aprile
1995 ed avente decorrenza dal 1° agosto 1995, con il deposito del ricorso di primo
grado e che il mero decorso del tempo tra la lettera del 1995 e l’iniziativa giudiziale
non poteva essere interpretato come fatto estintivo del rapporto (in quanto tale effetto
consegue dal concorso di altre circostanze significative), ha correttamente applicato
tali principi al caso in esame, facendo riferimento proprio a valutazioni di tipicità
sociale con riguardo alla semplice inerzia del Napoli nella situazione descritta (più
che altro riconducibile alle incertezze interpretative in merito alla illegittimità della
clausola risolutiva automatica), in cui il datore di lavoro non aveva dedotto alcuna
circostanza significativa del proprio assunto.
Una tale valutazione, proprio perché ragionevolmente ancorata a parametri di
tipicità sociale, non appare censurabile in questa sede di legittimità.
Il principio di diritto è, pertanto, nel senso che la mera inerzia del lavoratore nei
confronti dell’atto di risoluzione del rapporto di lavoro comunicatogli dal datore di

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17070 e 2 dicembre 2000, n. 15403).

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Mkhelina +4

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lavoro non è normalmente sufficiente a configurare una adesione implicita alla
risoluzione di tale rapporto per mutuo consenso.
5. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia: “Omessa, insufficiente e

proc. civ.) nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (art.
360, n. 3, cod. proc. civ.)”. Si duole la società del mancato esame da parte della Corte
territoriale dell’eccezione di prescrizione quinquennale ai sensi degli artt. 2947 e ss.
cod. civ..
6. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa pronuncia, che si traduce nella violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto incidente sulla sentenza
pronunciata dal giudice del gravame, è deducibile con ricorso per cassazione
esclusivamente ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. (nullità della sentenza e del
procedimento), mentre esso non può esser fatto valere come violazione o falsa
applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) né tanto meno come
vizio di motivazione (art. 360, n. 5 cod. proc. civ.) – cfr. in tal senso Cass. 17 gennaio
2003, n. 604; id. 29 luglio 2004, n. 14495 -.
7. Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione dell’art. 1363
cod. civ. in riferimento agli artt. 67 e 68 del c.c.n.l. del 26/11/1994”. Si duole del
fatto che la Corte territoriale ha incluso il premio di produttività e l’indennità di
funzione nella retribuzione, sulla quale è parametrato il risarcimento danni. Assume
che, non vigendo nel nostro ordinamento un principio generale di omnicomprensività
della retribuzione ed occorrendo verificare nelle discipline, legali o contrattuali, di

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contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, cod.

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ogni singolo istituto la sua attitudine ad essere ricondotto ad una tale nozione, nel
caso di specie gli artt. 67 e 68 del c.c.n.l. del 1994 escluderebbero tale esito.
8. Il motivo è improcedibile.

una sentenza depositata dopo l’entrata in vigore della legge n. 40 del 2006, è regolato
dall’art. 360 cod. proc. civ., e segg., si osserva che il motivo presuppone
necessariamente l’interpretazione delle disposizioni della contrattazione collettiva
richiamata a sostegno delle relative censure, ma una tale operazione non è allo stato
possibile non avendo il ricorrente provveduto a produrre il testo del c.c.n.l. del
26/11/1994, con conseguente improcedibilità dello stesso motivo. Oltretutto, non può
non rilevarsi che la produzione stessa del contratto collettivo non è specificamente
indicata tra gli atti annoverati in calce al presente ricorso, subito dopo le conclusioni.
Si è, infatti, statuito (Cass. n. 15495 del 2 luglio 2009) che “l’onere di depositare i
contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di
improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella nuova
formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la
trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si
duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la
produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi
generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al
citato d.lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte
di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli arti.
1362 cod. civ. e seguenti e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ.,
atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di

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Premesso che il presente procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso

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escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti
per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa. Si è, altresì, precisato
(Cass. 13 maggio 2010, n. 11614) che il suddetto onere “è soddisfatto solo con il

fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero
fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti
atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove
pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del
giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo
stati ritualmente depositati secondo la norma richiamata” (si veda, in senso
conforme, anche a Cass. 23 febbraio 2010, n. 4373). Da ultimo, le sezioni unite di
questa Corte, con sentenza del 23 settembre 2010, n. 20075, hanno statuito
espressamente che l’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui
onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di
depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si
fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente denunci, con ricorso ordinario,
la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi
nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (nel testo

deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si

sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad
oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel
ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale
contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione
nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di
legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.

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Nella specie la ricorrente non ha rispettato il suddetto principio, sicché nella
parte suindicata le censure sono improcedibili.
Peraltro la società contesta solo genericamente l’accertamento dei giudici di

incluse nella retribuzione su cui è commisurato il danno, trattandosi di elementi che
il lavoratore avrebbe potuto percepire ove fosse stato mantenuto in servizio nelle
mansioni sue proprie. Del resto si tratta di emolumenti che, pur se strettamente
connesso allo svolgimento del servizio da parte del lavoratore, devono comunque
essere corrisposti, in considerazione della natura risarcitoria della condanna e del
fatto che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa utile al perseguimento degli
stessi deriva, come ritenuto dalla Corte territoriale, da causa addebitabile
all’illegittimo comportamento della società.
9. Con il quinto motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 79 e 81 c.c.n.l. 26/11/1994 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)
nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1225 cod. civ.”. Lamenta che non si è
tenuto conto del fatto che il principio dettato dall’art. 1225 c.c. (il risarcimento è
limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione) opera
non solo con riferimento al termine iniziale del periodo da risarcire, individuato nella
offerta delle prestazioni, ma anche con riferimento del termine finale, da individuarsi
nel compimento dell’età pensionabile (avvenuto, nella specie, in data 3 luglio 1995)
e non, come ritenuto dalla Corte di merito nel momento del decesso del Napoli
(avvenuto il 25 ottobre 2005).
10. Oltre a rilevarsi l’improcedibilità del motivo per le stesse ragioni evidenziate
al punto sub 8, l’infondatezza deriva dal principio, cui va data continuità, già

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merito, secondo il quale l’indennità di funzione e il premio di produzione vanno

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affermato da questa Corte nella sentenza del 5 febbraio 2007, n. 2007 secondo il
quale: “Con riferimento al rapporto lavorativo privatizzato dei dipendenti postali, la
nullità della clausola di risoluzione automatica contenuta nell’accordo integrativo del

interrotto solo di fatto, e il raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, senza
alcuna manifestazione di recesso da parte del datore di lavoro, non vale ad
interrompere il rapporto e, di conseguenza, a costituire termine finale del
risarcimento del danno atteso che l’art. 79 del medesimo contratto, che consente la
risoluzione del rapporto di lavoro per il compimento di tale età, richiede pur sempre
una manifestazione di volontà datoriale non esclusa dalla situazione di pregressa
interruzione di fatto del rapporto”.
11. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o
obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso va rigettato.
10. Per il criterio legale della soccombenza la società ricorrente va condannata al
pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali, liquidate come in
dispositivo tenendo conto del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli
avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140 (che, all’art. 41 stabilisce che le
disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive
all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012) ed avuto
riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali
indicati nell’art. 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase
di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A.
P.Q.M.

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contratto collettivo 26 novembre 1994 comporta la continuità giuridica del rapporto,

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Udienza 4/4/2013
Poste Italiane S.p.A. c/ Chianetta
Michelina + 4

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento, in
favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in euro 50,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali,

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2013.

oltre accessori di legge, da corrispondersi all’avv. Roberto Rizzo, antistatario.

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