Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14317 del 13/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 13/07/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 13/07/2016), n.14317

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23195/2011 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA DELLA CROCE ROSSA 1, presso lo studio dell’avvocato

PATRIZIA CARINO, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO FANFANI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, giusta

delega in atti;

S.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE PARIOLI 87, presso lo studio dell’avvocato ALDO SEMINAROTI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISTINA

SEROTTI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

COOPERATIVA PORTABAGAGLI DI FIRENZE S.C.A.R.L. IN LIQUIDAZIONE COATTA

AMMINISTRATIVA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 763/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/06/2011 R.G.N. 785/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato SEMINAROTI ALDO;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO per delega verbale Avvocato SGROI

ANTONINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilita’ del

ricorso, in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- S.M., premesso che con sentenza passata in giudicato era stato accertato che, sin dal 1 marzo 1995, era stato instaurato un rapporto di lavoro subordinato con F.S. Spa, poi Rete Ferroviaria Italiana, per illecita interposizione di manodopera realizzata mediante la Cooperativa Portabagagli di Firenze Scarl, convenne innanzi al Tribunale di Firenze la datrice di lavoro per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 18.840,64 indebitamente trattenuta sulle retribuzioni dalla societa’ medesima, per un importo pari ai contributi a carico del lavoratore versati al fondo pensionistico in ragione della regolarizzazione contributiva relativa al periodo 1.3.95 – 1.2.2007.

Si costitui’ Rete Ferroviaria Italiana chiedendo il rigetto del ricorso e, in via riconvenzionale, di dichiarare che in ogni caso i contributi versati sulla posizione assicurativa del S. da parte della Soc. Cooperativa Portabagagli fossero utili e computabili ai fini della regolarizzazione del periodo lavorativo. Autorizzata altresi’, su istanza della societa’, la chiamata in causa sia della Soc. Cooperativa sia dell’Inps, si costitui’ solo l’Istituto eccependo l’inammissibilita’ della chiamata in causa e l’infondatezza della domanda di RFI tesa alla restituzione dei contributi versati a titolo di regolarizzazione della posizione del ricorrente per una somma pari ai contributi che erano stati versati dalla Cooperativa Portabagagli sulla medesima posizione.

Il Tribunale di Firenze accolse il ricorso e dichiaro’ che Rete Ferroviaria Italiana spa non aveva titolo per trattenere a carico del S. la somma di Euro 18.840,64, condannando la societa’ alla restituzione dell’importo, oltre accessori, e dichiarando inammissibile ogni altra domanda.

Con sentenza del 15 giugno 2011 la Corte di Appello di Firenze ha respinto l’impugnazione proposta da Rete Ferroviaria Italiana Spa avverso detta pronuncia di primo grado.

In merito alla domanda proposta dal lavoratore ha ritenuto applicabile il principio fissato dalla L. 4 aprile 1952, n. 218, art. 23, secondo cui il datore di lavoro che non provvede al pagamento dei contributi e’ tenuto al pagamento anche per la quota a carico dei lavoratori, senza possibilita’ di una rivalsa successiva nei confronti di costoro.

La Corte ha poi condiviso la pronuncia di inammissibilita’ della domanda avanzata da RFI nei confronti dell’INPS, “in quanto, oltre a mancare ogni prova circa un effettivo versamento di contributi da parte della societa’ interposta (e su questo specifico punto non vi e’ alcun motivo di gravame), si trattava comunque di una controversia del tutto distinta da quella (essenzialmente retributiva) introdotta dal lavoratore”.

2.- Per la cassazione della sentenza ha fatto ricorso Rete Ferroviaria Italiana Spa con sei motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. S.M. ed INPS hanno resistito con controricorso. Non ha svolto attivita’ difensiva la Cooperativa Portabagagli di Firenze Scarl.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il primo motivo del ricorso si denuncia violazione dell’art. 106 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; insufficiente ed errata motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione degli artt. 115 e 416 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui “ha ritenuto sostanzialmente inammissibile la chiamata in causa” dell’INPS. Il motivo, oltre ad essere inammissibilmente formulato in modo promiscuo denunciando unitariamente una pluralita’ di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., con una tecnica di redazione gia’ stigmatizzata da questa Corte per “la impossibilita’ di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneita’” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013), non puo’ trovare accoglimento.

Infatti, fuori dalla ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., il provvedimento del giudice di merito che ritenga o meno ammissibile la chiamata in causa di un terzo ai sensi dell’art. 106 c.p.c., involge valutazioni discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di ricorso per cassazione (Cass. n. 25676 del 2014; Cass. n. 18508 del 2006; Cass. n. 17218 del 2004).

4.- Con il secondo motivo si denuncia difetto di motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione degli artt. 36, 416 e 418 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello non avrebbe spiegato quali fossero le ragioni che rendessero inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata dalla societa’ nei confronti del S..

Il mezzo di gravame e’ inammissibile.

Esso censura impropriamente nella forme del vizio di violazione di legge o del difetto di motivazione un preteso error in procedendo rappresentato dalla violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale sull’eventuale motivo di appello proposto dalla societa’ avverso la declaratoria di inammissibilita’ di una riconvenzionale avanzata nei confronti del S. gia’ pronunciata in primo grado.

Come questa Corte ha piu’ volte affermato “l’omessa pronuncia integra un difetto di attivita’ del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacche’ siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c.” (Da ultimo: Cass., sez. 6, n. 329 del 2016; conforme a: Cass. n. 27387 del 2005; Cass. n. 1701 del 2006; Cass. n. 3190 del 2006; Cass. n. 12952 del 2006; Cass. n. 24856 del 2006; Cass. n. 25825 del 2009; Cass. n. 26598 del 2009; Cass. n. 7268 del 2012;, nonche’, in particolare, sulla contraddittorieta’ della denuncia in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia v. Cass. n. 15882 del 2007).

Inoltre il motivo e’ irrispettoso del canone dell’autosufficienza atteso che, nel caso in cui in concreto ci si dolga di una omessa pronuncia, e’ indispensabile innanzitutto dettagliare nel corpo del motivo i fatti processuali che la sostanziano e, quindi, i contenuti dell’atto che contiene la domanda o l’eventuale motivo di appello su cui il giudice non si sarebbe pronunciato (Cass. n. 2886 del 2014; Cass. n. 14561 del 2012). Nel medesimo senso si e’ affermato (Cass. n. 317 del 2002 e Cass. n. 3547 del 2004) che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su di una domanda, ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilita’ per genericita’ del motivo, di specificare quale sia il “chiesto” al giudice del gravame sul quale questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio all’atto di appello, atteso che la Corte di cassazione non e’ tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma puo’ accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso.

Invece nel motivo in esame parte ricorrente non si e’ peritata di ripercorrere specificamente i passaggi processuali in base ai quali la riconvenzionale nei confronti del S. sarebbe stata originariamente introdotta nel giudizio e successivamente gravata in appello, incorrendo, anche per questo verso, nella sanzione dell’inammissibilita’ della censura.

5.- Con il terzo motivo si denuncia insufficiente motivazione in quanto la Corte avrebbe omesso di argomentare sul regime speciale della previdenza dei ferrovieri; con il quarto motivo si lamenta violazione della L. 9 luglio 2008, n. 418, art. 3, del regolamento emanato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, arttt. 210 e 211, nonche’ della L. 6 febbraio 1979, n. 42, art. 25, dalle cui disposizioni si ricaverebbe che non esiste nell’ordinamento previdenziale FS un principio generale di accollo totale del contributo a carico dell’azienda nei casi di omesso versamento; con il quinto motivo si denuncia violazione della L. n. 218 del 1952, art. 23, nonche’ dell’art. 2115 c.c., dubitandosi che detto art. 23 costituisca “il fondamento di un principio generale applicabile anche al di fuori del regime AGO”.

I motivi, da esaminarsi congiuntamente per reciproca connessione, sono infondati per le ragioni gia’ espresse da questa Corte in controversie analoghe (Cass. n. 18232 del 2015; Cass. n. 22379 del 2015; Cass. n. 18027 del 2014; Cass. n. 15924 del 2013; Cass. n. 15004 del 2013; Cass. n. 14631 del 2013), dai quali precedenti questo Collegio non ravvisa ragione per discostarsi.

Invero la disciplina legislativa invocata dalla societa’ ricorrente a sostegno del proprio assunto, volto ad escludere l’applicabilita’ alla fattispecie concreta del principio fissato dalla L. n. 218 del 1952, art. 23, non conduce ai risultati dalla stessa auspicati.

Rammentato che il Fondo Pensioni del Personale delle Ferrovie dello Stato venne istituito con la L. n. 418 del 1998, va rilevato che il D.P.R. n. 1092 del 1973, artt. 210 e 211, richiamati dalla societa’, si limitano individuare le entrate del Fondo ed elencano le ritenute a carico dei lavoratori iscritti. Dette disposizioni sono inserite nel “testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato” ed include, piu’ specificamente nella “Parte terza – Trattamento di quiescenza del Personale dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato”. Analogamente, la L. n. 42 del 1979, avente quale suo oggetto “Nuove norme su inquadramento, ordinamento organico, stato giuridico e trattamento economico del personale dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato”, fa riferimento alle Ferrovie sempre in quanto “Azienda Autonoma”. Non sembra poi fuori luogo aggiungere che, in materia di appalto di mano d’opera, originariamente la L. n. 1369 del 1960, art. 8, comma 1, esonerava l’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato dall’osservanza diretta dell’art. 1, prevedendo future norme in materia, da emanare con decreto presidenziale. Questo, emesso l’anno successivo (D.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192), pur confermando nell’art. 1, comma 1, il divieto di cui alla L. n. 1369, art. 1, non riaffermo’ – secondo l’interpretazione offerta da Corte Cost. n. 191/1992 – la sanzione contenuta nel comma 5, escludendo, per cio’ stesso, che i prestatori assunti in violazione del divieto venissero considerati alle dipendenze dell’amministrazione pubblica. Da questa interpretazione, seguita dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 2517/1997, discende che, fintanto che il decreto presidenziale e’ rimasto in vigore, vale a dire fino al 5 febbraio 1988 data in cui, scaduto il regime transitorio di cui alla L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 21, e’ subentrato il regime privatistico dei rapporti di lavoro dell’Ente Ferrovie dello Stato – l’effetto legale previsto nella L. n. 1369, art. 8, comma 5, non e’ stato operante, applicandosi invece nel periodo successivo al 5 febbraio 1988 e per quei casi in cui i lavoratori risultassero formalmente dipendenti di imprese appaltatrici di mere prestazioni di lavoro, rendendo pero’ ed effettivamente la loro attivita’ direttamente a vantaggio dell’Ente.

In questo contesto normativo risulta del tutto coerente la pronuncia della Corte di Firenze che ha ritenuto che il principio fissato dalla L. 4 aprile 1952, n. 218, art. 23 – avendo carattere generale nell’ordinamento previdenziale, per essere, a sua volta, espressione del principio di buona fede e correttezza nell’attuazione del contratto di lavoro – dovesse trovare applicazione ad un rapporto lavorativo ormai del tutto provvisto di connotati privatistici.

Ne’ e’ ravvisabile un contrasto tra siffatta interpretazione e l’art. 2115 c.c..

Invero il combinato disposto della L. n. 218 del 1952, artt. 19 e 23, delinea il regime giuridico di due distinte fattispecie, la prima delle quali ha ad oggetto l’ipotesi – normale e fisiologica – del pagamento della contribuzione alla scadenza del periodo di paga, la seconda – quella patologica – dell’omissione del pagamento o dell’adempimento tardivo, facendone derivare conseguenze rilevanti in punto di responsabilita’ del datore di lavoro: nella prima ipotesi, la legge garantisce al datore di lavoro (che viene ad operare come mero adiectus solutionis causa nei confronti dell’ente creditore) il diritto a trattenere “il contributo a carico del lavoratore…sulla retribuzione corrisposta…alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce”, laddove, nella seconda, il datore di lavoro resta “tenuto al pagamento dei contributi o delle parti di contributi non versate, tanto per la quota a proprio carico che per la quota a carico del lavoratore”. La concentrazione in via definitiva del debito contributivo in capo al datore di lavoro (secondo un principio acquisito nella legislazione previdenziale gia’ con il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 111, in materia di assicurazioni obbligatorie) appare l’evidente elemento distintivo delle situazioni tipizzate dal legislatore attraverso disposizioni che risulterebbero prive di alcuna concreta utilita’ normativa ove l’art. 23 si limitasse a confermare quanto gia’ previsto nell’art. 19, trascurando che l’art. 19 qualifica il datore di lavoro come “responsabile del pagamento” dei contributi, contestualmente regolando il diritto di ritenzione a favore dello stesso, laddove l’art. 23 prevede che il datore di lavoro “e’ tenuto al pagamento” per l’intero, senza null’altro aggiungere. Cosi’ realizzandosi una coerente simmetria tra diversita’ di presupposti e diversita’ di effetti, che rende ragione della distinta individualita’ delle previsioni normative in relazione all’imputabilita’ (o antigiuridicita’) del comportamento del datore di lavoro, che ne costituisce la ratio giustificatrice. E tanto piu’ se si considera che l’azione di rivalsa si inserisce, comunque, nell’ambito del sistema previdenziale, restando qualificata dai suoi fini e dai suoi scopi di tutela, per cui non si vede come, in virtu’ di una assenta prevalenza della norma “civilistica”, si possano escludere effetti (come la concentrazione del debito contributivo) rispetto ai quali la norma speciale – alla prima pariordinata – e’ sicuramente abilitata. Giusto al fine di evitare che, in conseguenza dell’inadempimento del datore di lavoro, venga riversato sul lavoratore il pagamento delle somme arretrate, il cui livello si accresce per il tempo dell’inadempimento, assumendo proporzioni apprezzabili e direttamente proporzionali al perdurare dell’inadempimento del soggetto obbligato.

6.- Con il sesto motivo si denuncia “violazione dell’art. 1180 c.c., L. n. 1369 del 1960, art. 1 e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” censurando la parte della sentenza impugnata in cui si afferma che REI non sarebbe legittimata a richiedere all’INPS la “restituzione” dei contributi versati dalla societa’ interposta.

Anche tale mezzo di impugnazione non puo’ condurre alla cassazione della sentenza gravata atteso che censura una argomentazione svolta ad abundantiam dalla Corte territoriale che aveva gia’ confermato l’inammissibilita’ anche di detta domanda di restituzione per ragioni processuali.

Come noto, e’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam, e pertanto non costituente ratio decidendi della medesima (v. Cass. n. 23635 del 2010; Cass. n. 24591 del 2005; Cass. n. 7074 del 2006).

Invero, una volta che la decisione dei giudici di merito che ha decretato l’inammissibilita’ della domanda rivolta da RFI Spa all’INPS ha superato l’ultimo vaglio di questa Corte per le ragioni esposte al paragrafo 3, non vi e’ ragione per indagare il fondamento della questione proposta dalla societa’ perche’ la sentenza impugnata si regge autonomamente sulla pregiudiziale pronuncia in rito.

7.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore di S.M. e dell’INPS. Non occorre provvedere per le spese nei confronti della Cooperativa Portabagagli di Firenze Scarl che non ha svolto attivita’ difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in favore di ciascuno dei controricorrenti in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016

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