Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14313 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. II, 08/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20120-2019 proposto da:

J.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA n.

32, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GREGORACE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositata il

11/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento notificato l’8.5.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Siracusa respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela. Con il decreto oggi impugnato il Tribunale di Caltanissetta respingeva i ricorso avverso il predetto provvedimento di rigetto.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto J.O. affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della Direttiva n. 2004/83/CE, recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe omesso di svolgere una indagine sulle condizioni interne del Paese di provenienza del richiedente la protezione, essendosi limitato ad affermare che il richiedente non aveva dimostrato la sussistenza dei presupposti della domanda di protezione formulata.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame delle dichiarazioni rese dinanzi la Commissione territoriale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente inquadrato la vicenda narrata dal richiedente nell’ambito di un conflitto privato, senza eseguire alcun accertamento sulla condizione interna del Paese di origine (nella specie, il (OMISSIS)).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 perchè il giudice nisseno avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della tutela sussidiaria, pur in presenza di una situazione di pericolo e violenza generalizzata nello Stato di origine del richiedente la protezione.

Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili. Il decreto impugnato, invero, esamina le condizioni interne del (OMISSIS), dando atto delle convergenti notizie di miglioramento provenienti tanto dal sito “(OMISSIS)” del Ministero degli Affari Esteri che dal rapporto dell’E.A.S.O. del dicembre 2017, che dal report Freedom in the World 2018. Rispetto a queste fonti il ricorrente non allega alcuna contraria informazione, dal che deriva il difetto di specificità della censura, alla luce del principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv.655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e della Direttiva 2004/83/CE, recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, perchè il Tribunale di Caltanissetta avrebbe errato nel denegare anche il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La censura è infondata. Il decreto impugnato, sul punto, afferma che “… nessuna grave e oggettiva situazione personale, tale da integrare una possibile situazione di vulnerabilità e non consentire l’allontanamento dello straniero, è stata allegata ai fini dell’eventuale riconoscimento della protezione umanitaria atteso che il ricorrente ha raccontato di non aver lasciato il suo paese per motivi di natura economica ed ha comunque un nucleo familiare di riferimento…” e che ai fini dell’integrazione in Italia “… non basta la certificazione delle competenze acquisite”cfr. pag. 4 del decreto impugnato).

Rispetto a questa statuizione lo J. lamenta che il giudice di merito non abbia considerato il contratto di lavoro e la “documentazione scolastica” allegati agli atti del procedimento, sostenendo in particolare la rilevanza della “frequenza scolastica” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. Dall’esame del fascicolo, tuttavia, non risulta che il ricorrente avesse in corso al momento della decisione impugnata, o abbia in corso a tutt’oggi, un programma di studio per il cui completamento sia necessaria la frequenza scolastica: l’unico atto che è stato prodotto è infatti un certificato attestante l’avvenuto completamento di un corso di apprendimento della lingua italiana, che evidentemente non dimostra l’esistenza di un progetto educativo che possa essere compromesso dal diniego della protezione umanitaria.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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