Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14311 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. II, 08/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21429-2019 proposto da:

O.C., rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO ASARO

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 390/2019 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento notificato il 24.5.2016 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Enna respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile a storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela. Il Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza del 7.4.2017, respingeva il ricorso avverso il predetto provvedimento di rigetto. Interponeva appello l’ O. e si costituiva in seconde cure il Ministero. Con la sentenza oggi impugnata, n. 390/2019, la Corte di Appello di Caltanissetta rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto C.I. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la vicenda personale del richiedente facendo scorretta applicazione dei criteri di valutazione e delle informazioni evincibili dalle fonti circa la situazione nel Paese di provenienza. Il ricorrente, in particolare, lamenta la mancata considerazione, da parte del giudice di merito, della presenza di violenza di matrice cultista nell'(OMISSIS), regione di origine del richiedente, e più in generale del contesto di grave insicurezza che, alla luce delle informazioni diffuse dall’EASO, caratterizza tutta la (OMISSIS).

La censura è infondata, Il ricorrente aveva riferito, nel proprio racconto, di aver abbandonato il proprio Paese in conseguenza delle violenze e minacce originate dalla successione del nonno, nell’ambito delle quali erano rimasti uccisi prima il padre e poi la sorella dell’ O.; aveva inoltre dichiarato di essere di religione (OMISSIS) e di temere, anche per tale motivo, per la propria incolumità. La Corte di Appello ha ritenuto non credibile il racconto valorizzando il fatto che il richiedente avesse aggiunto in sede giudiziale, rispetto a quanto già dichiarato innanzi alla Commissione territoriale, di aver vissuto nel Nord della (OMISSIS) per tre anni, dal 2010 al 2013, per poi tornare ne 2014 a (OMISSIS) (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata); la Corte nissena ha affermato, in particolare, che “… proprio le ulteriori circostanze riferite solo in sede di udienza relative alla presunta presenza del richiedente nei territori funestati dall’azione di (OMISSIS) inducono a confermare il giudizio di non credibilità del racconto, non avendo peraltro il richiedente saputo fornire dati di contesto o informazioni sufficienti ad asseverare la circostanza di una sua effettiva permanenza nei territori del Nord” (cfr. pag.6 della decisione). Pertanto il giudice di merito, ritenendo non provata la permanenza del richiedente nel Nord della (OMISSIS), ha concluso che “… deve ritenersi l’ O. come proveniente dall'(OMISSIS), regione immune rispetto alle violenze perpetrate da (OMISSIS)” (cfr. pag. 7 della sentenza), in tal modo svalutando, ai fini del riconoscimento della protezione invocata dallo straniero, la rilevanza della deduzione relativa alla sua permanenza nell’area settentrionale del Paese. Inoltre, la Corte di Appello ha ritenuto di escludere la sussistenza, nell'(OMISSIS), di un pericolo generalizzato rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, della art. 14, lett. c) valorizzando i fatto che, nonostante si tratti di un’area instabile, caratterizzata da conflitti locali per il controllo dei pozzi e degli impianti petroliferi, violenza politica e criminalità ordinaria, “… da un’indagine sulla violenza in (OMISSIS), (OMISSIS) è risultato l’ottavo degli stati del (OMISSIS), il che significa che numerose altre aree di questa regione si trovano in una situazione peggiore rispetto allo (OMISSIS)” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). Questo passaggio motivazionale, pur proponendo una poco condivisibile modalità di apprezzamento a contrario circa la sussistenza della condizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – non, cioè, mediante un riferimento diretto e specifico alla zona oggetto di esame, ma desumendo la sicurezza di quest’ultima, appunto a contrario, dal fatto che vi siano aree dello stesso Paese in cui la violenza è maggiore o che sono funestate da fenomeni di violenza localizzati o di particolare natura – esprime tuttavia una complessiva valutazione di assenza nell'(OMISSIS), zona di provenienza del richiedente, di un livello di violenza generalizzata tale da integrare i requisiti previsti per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Tale apprezzamento, fondato sull’esame delle fonti internazionali, che la sentenza impugnata richiama (rapporto EASO 2017), non è adeguatamente attinto dalla censura in esame, con la quale il ricorrente si limita ad invocare una ricostruzione della situazione interna del Paese di provenienza diversa ed alternativa rispetto a quella indicata dal giudice di merito. Sul punto, va ribadito che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S. C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv.655559).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 ed il vizio della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che “Non sono state allegate, infine, situazioni di peculiare vulnerabilità o ragioni meritevoli di apprezzamento sotto il profilo della tutela dei diritti umani che possano fondare il riconoscimento della protezione umanitaria” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). Tale statuizione non è stata adeguatamente attinta dal ricorrente, che si è limitato a ribadire di lavorare e volersi integrare in Italia, senza tuttavia considerare che il giudice di merito aveva espressamente ritenuto ininfluente il mero dato dell’integrazione sociale, “peraltro debolmente dimostrata dalla produzione difensiva relativa ad una recentissima occupazione lavorativa” (cfr. pagg. 8 e 9).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perchè la Corte nissena non avrebbe considerato la sua permanenza in Libia, durata circa nove mesi.

La censura è inammissibile perchè il ricorrente non indica in quale momento del giudizio di merito la questione legata alla sua permanenza in Libia sarebbe stata sollevata, nè chiarisce il motivo per cui tale permanenza sarebbe rilevante ai fini del riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, invocata. Sul punto, occorre ribadire che la situazione del cd. “Paese di transito” può rilevare, ai fini della tutela di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) solo a condizione che il richiedente dimostri un particolare radicamento in quel Paese, tale da far presumere che il rimpatrio sarebbe eseguito non già verso la nazione di origine, ma proprio verso il Paese diverso in cui lo straniero si è radicato. I trattamenti inumani e degradanti subiti dal richiedente nella permanenza in un Paese di transito possono inoltre rilevare ai fini della protezione umanitaria, ma solo qualora l’interessato alleghi circostanze specifiche idonee a dimostrare che a causa di detti trattamenti egli ha residuato patologie permanenti o condizioni, fisiche o psicologiche, di particolare vulnerabilità ancora attuali. Poichè nel caso di specie il richiedente non ha dimostrato nè il particolare radicamento in Libia, nè di aver subito traumi e conseguenze permanenti o ancora attuati per effetto del trattamento subito in quel Paese, la mera allegazione della permanenza in esso, sia pure per diversi mesi, non ha rilevanza ai fini del riconoscimento della protezione invocata.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità, poichè l’atto notificato dal Ministero non presenta gli elementi minimi del controricorso.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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