Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14310 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. II, 08/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21149-2019 proposto da:

A.W., rappresentato e difeso dall’avvocato DIEGO GIUSEPPE

PERRICONE e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA,

depositata il 10/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento notificato l’11.2.2016 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Siracusa respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela. Il Tribunale di Caltanissetta respingeva il ricorso avverso il predetto provvedimento di rigetto. Interponeva appello l’ A. e la Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza appellata n. 3/2019, rigettava l’mpugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto A.W. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso l’esistenza di una situazione di violenza generalizzata in (OMISSIS), ed in particolare nella regione del (OMISSIS), dalla quale proviene il richiedente.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte nissena avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della tutela umanitaria, pur in presenza di una situazione di oggettiva instabilità del (OMISSIS) e di un inserimento del richiedente nel tessuto sociale italiano, documentato dall’attività lavorativa e dalla sistemazione abitativa che erano state documentate nel corso del giudizio di merito.

Le censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili. Il richiedente aveva infatti dichiarato di aver lasciato il proprio Paese di origine in conseguenza del fatto che una potente famiglia aveva ucciso prima il suo datore di lavoro ed il figlio, che si erano opposti alla richiesta di interrompere i lavori di costruzione di un edificio cui stava cooperando anche l’ A., e poi anche il fratello dell’odierno ricorrente. A dimostrazione del racconto, quest’ultimo aveva prodotto copia della denuncia inutilmente sporta alle locali forze dell’ordine. La Corte territoriale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria proposta dall’ A. sotto tutti i profili di cui all’art. 14. In questa sede, il ricorrente non impugna in modo specifico il rigetto ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) limitando la censura al mancato riconoscimento della tutela umanitaria ai sensi della lett. c), senza peraltro allegare alcun elemento a confutazione delle fonti che vengono richiamate nella sentenza impugnata (rapporto ACLD dell’agosto 2017 e relazione IGC del maggio 2016). Ne deriva il difetto di specificità della censura, alla luce del principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

Nè vengono proposte, dall’odierno ricorrente, specifiche deduzioni a sostegno dell’invocata sussistenza dei requisiti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, posto che il generico richiamo all’instabilità del Paese di provenienza e agli “… elementi di integrazione del richiedente nel territorio nazionale…” (cfr. pag. 5 del ricorso) non vale a superare la motivazione resa dal giudice di merito, che aveva evidenziato la precarietà del rapporto di lavoro documentato, l’esiguità del reddito risultante dalla busta paga e la natura egualmente precaria del rapporto contrattuale relativo alla locazione dell’immobile adibito ad abitazione del richiedente la protezione (cfr. ultima pagina della sentenza impugnata).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in considerazione del fatto che l’atto notificato dall’Avvocatura dello Stato non presenta i requisiti minimi del controricorso.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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