Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14310 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 08/06/2017, (ud. 16/02/2017, dep.08/06/2017),  n. 14310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11224/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G. FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO FEMIA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELE RIGITANO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2556/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/04/2010 R.G.N. 442/2009.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che con sentenza n. 2556/2010, depositata il 21 aprile 2010, la Corte di appello di Roma ha dichiarato la nullità del contratto di lavoro a termine stipulato dalla S.p.A. Poste Italiane e da N.R., ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito presso Polo Logistico Territoriale Campania – UDR Meridionale assente nel periodo dall’1/10/2005 al 31/1/2006;

rilevato che nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Poste Italiane con cinque motivi, illustrati da memoria;

– che il lavoratore ha resistito con controricorso;

osservato che il primo motivo, con il quale Poste Italiane deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 342, 346 c.p.c. e art. 434 c.p.c., comma 1, per non avere la Corte dichiarato inammissibile il ricorso in appello per genericità dei motivi posti a fondamento dell’impugnazione, non può essere accolto;

– che, al riguardo, deve essere richiamato l’orientamento, secondo il quale “il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte”: Cass. n. 86/2012; conforme Cass. n. 9734/2004;

– che, nella specie, la ricorrente ha invece sinteticamente osservato come la controparte, nel proprio ricorso in appello, si fosse, nella sostanza, “limitata ad affermare del tutto apoditticamente che il Giudice di primo grado aveva errato laddove aveva disatteso la prospettazione in fatto e non condiviso le ragioni in diritto contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado” (cfr. ricorso, pp. 6-7), senza assolvere, pertanto, l’onere di trascrizione di cui alla richiamata giurisprudenza di legittimità;

– che sono invece fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, con i quali la società Poste Italiane S.p.A.: deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, si duole che la Corte abbia considerato il contratto di lavoro “insanabilmente viziato dalla omessa specificazione scritta delle ragioni giustificative, di per sè tale da privare di ogni effetto l’apposizione del termine, a prescindere dalla reale sussistenza o meno di esse”, in tal modo trascurando di considerare i diversi elementi, anche direttamente desumibili dal contratto, che concorrevano a integrare e specificare la ragione “sostitutiva” per la quale il contratto stesso risultava stipulato (2 motivo); deducendo ancora il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, si duole che la Corte abbia ritenuto necessaria, nel caso di assunzione a termine dettata da ragioni di natura sostitutiva, alla luce della sent. n. 214/2009 della Corte costituzionale, l’indicazione del nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione (3 motivo);

– che, infatti, la Corte di appello non si è uniformata al principio, per il quale “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità”: Cass. n. 1576/2010; conformi: Cass. n. 1577/2010; Cass. n. 23119/2010 (ord.); Cass. n. 10068/2013;

– che restano assorbiti gli altri motivi di ricorso, con i quali la sentenza di appello viene censurata per avere la Corte omesso di motivare in ordine al rigetto dei mezzi istruttori dedotti dalla società (4^) e per avere disposto la conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato (5^);

ritenuto conclusivamente che l’impugnata sentenza della Corte di appello di Roma n. 2556/2010 deve essere cassata in relazione al secondo e al terzo motivo, rigettato il primo e assorbiti il quarto e il quinto, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.

PQM

 

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo e il terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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