Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1431 del 19/01/2018

Cassazione civile, sez. I, 19/01/2018, (ud. 30/11/2017, dep.19/01/2018),  n. 1431

Intestazione

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale per i minorenni di Milano, con sentenza del 22 settembre 2016, ha dichiarato lo stato di adottabilità di L.A., nato il (OMISSIS), ed ha confermato la nomina del Comune di Milano come tutore provvisorio, essendo i suoi genitori, L.M. e B.A., nell’impossibilità di esercitare la potestà sul figlio perchè detenuti. Entrambi sono stati condannati alle pene detentive, rispettivamente, di sedici e ventitrè anni di reclusione, pena rideterminata dalla Corte d’appello di Milano in venti anni di reclusione per la Levato, per avere cagionato a Ba.Pi. mediante lancio di acido corrosivo lesioni gravissime, come la deformazione e lo sfregio permanente del viso e l’indebolimento permanente dell’occhio destro, e per avere aggredito con analogo metodo altre persone ( Ma.An., C.G. e per errore S.S.).

2.- Le vicende criminose cui si è fatto cenno costituiscono effetto del complesso rapporto sentimentale tra L.M. e B.A., caratterizzato – secondo la valutazione dei consulenti tecnici, condivisa dai giudici di merito – da “tensione intersoggettiva perversa”, essendo entrambi affetti da disturbi della personalità che erano all’origine di quei comportamenti gravemente devianti. La L. si era determinata a compiere le riferite aggressioni nei confronti delle vittime con le quali in passato aveva avuto rapporti sessuali, assecondando le richieste del proprio compagno B. (coniugato con altra persona) e per dimostrargli di essere pentita e pronta ad iniziare una nuova vita con lui e il loro figlio che portava già in grembo.

3.- Il gravame di L.M. e B.A., di G.M.R. e L.V., genitori della L., e di R.P., madre di B., è stato rigettato dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza del 6 marzo 2017.

4.- La Corte ha confermato il giudizio del tribunale, secondo il quale, tenuto conto della lunga durata della detenzione in carcere, i genitori non sono in grado di garantire l’inserimento del minore in un ambiente familiare idoneo a sopperire ai suoi pressanti bisogni evolutivi, incompatibili con i tempi di recupero, assai incerti, degli stessi genitori, afflitti da disturbi della personalità; ha ritenuto che entrambi i genitori non abbiano dimostrato un reale pentimento, segno della mancanza di rielaborazione critica del loro vissuto; il medesimo giudizio di inadeguatezza è stato espresso dalla Corte con riguardo ai nonni di A., i quali hanno evidenziato mancata consapevolezza della gravità dei comportamenti dei loro figli, importanti fragilità delle loro personalità, scarsa empatia con il minore e atteggiamenti egoistici incompatibili con la cura e l’educazione di ques’ultimo.

5.- Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il padre di Ac., B.A., e la nonna paterna R.P.; in via incidentale, i nonni materni G.M.R. e L.V. e, con atto separato, L.M.. Il Comune di Milano, tutore provvisorio del minore, ha presentato controricorsi. L.M., L.V. e la G. hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ricorrente L.M. ha lamentato, nella memoria difensiva, di essere vittima di accanimento nei suoi confronti, che sarebbe dimostrato dal rigetto della sua istanza di essere autorizzata a presenziare all’udienza pubblica di questa Corte. Questa doglianza, che dev’essere esaminata sebbene formulata in via incidentale e non ribadita nella discussione orale, è infondata.

Il provvedimento presidenziale del 17 novembre 2017, non reclamato, non ha impedito (e non avrebbe potuto impedire) all’interessata di presenziare ad un’udienza pubblica, qual è quella svolta in Cassazione il 30 novembre 2017. La doglianza riguarda, in realtà, la mancata adozione di misure atte a consentire il superamento della limitazione derivante dallo stato di detenzione, misure che il presidente non ha ritenuto di adottare per ragioni che la parte non ha in alcun modo contestato. E’ necessario precisare che non si è verificata alcuna lesione dei suoi diritti di difesa per la mancata partecipazione all’udienza pubblica di cui all’art. 379 c.p.c., nella quale la L. non avrebbe potuto svolgere alcuna attività e comunque è stata rappresentata e difesa dal suo avvocato.

2.- Il ricorso di L.M., madre di Ac., assume rilievo logicamente preliminare e dev’essere esaminato in via prioritaria.

Con il primo motivo di ricorso, la L. ha denunciato violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 5 e art. 8 Cedu, per avere dichiarato lo stato di adottabilità del figlio, senza darle la possibilità di dimostrare le proprie competenze genitoriali, escluse solo in ragione della gravità dei suoi comportamenti e delle risultanze di una perizia in sede penale ormai risalente, senza considerare il proficuo percorso terapeutico da lei intrapreso, la possibilità di un affidamento etero-familiare del minore nè attivare alcun aiuto nei suoi confronti, visto il suo impedimento temporaneo, essendo detenuta in carcere.

Con il secondo motivo è denunciato omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per avere fondato il giudizio di inadeguatezza genitoriale sulle condotte criminali della L., omettendo di esaminare in concreto le sue capacità genitoriali e il suo percorso evolutivo in due anni di carcerazione e di terapia psicologica; per avere riferito di patologie personologiche senza individuarle e trascurato la perizia svolta in sede penale che escludeva l’esistenza di una patologia psichica tale da compromettere le sue capacità critiche e di giudizio; per avere omesso di valutare il positivo percorso evolutivo da lei compiuto in carcere, con l’aiuto dello psichiatra, dimostrato dalla sua scelta di mettersi in discussione, di troncare i rapporti con A., di riprendere gli studi universitari e di dedicarsi alla cura degli altri; per avere dato rilievo all’inverosimile teoria secondo cui il bimbo avrebbe praticato un “addormentamento difensivo” per esternare la propria ostilità verso la madre e i familiari.

Con il terzo motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo, per avere rilevato che L.M. sarebbe persona inidonea a crescere un figlio, senza valutare l’atteggiamento di autocritica da essa avviato, risultante dalle relazioni dello psichiatra Perico, con il quale aveva intrapreso un proficuo percorso psicologico, e del consulente di parte, P.C., il quale aveva riferito di una “metamorfosi radicale” e di un “processo irreversibile nella direzione positiva” da parte della L., e in definitiva senza considerare il fine rieducativo della pena e di reinserimento del reo nella società.

In sostanza, i suddetti motivi, reciprocamente connessi e, quindi, da esaminare congiuntamente, imputano alla Corte del merito di avere fondato il giudizio di incapacità genitoriale sulla base della mera constatazione della efferatezza dei reati commessi, come conseguenza di tipo sostanzialmente sanzionatorio, mentre l’adozione del minore, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisce extrema ratio cui è possibile ricorrere solo in presenza di una conclamata e irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo, non desumibile dal loro attuale stato di detenzione.

3.- Questa imputazione si basa su una lettura parziale e travisata della sentenza impugnata.

3.1.- E’ necessaria una premessa sulla giurisprudenza di questa Corte, nella quale è acquisito il principio secondo cui la prioritaria esigenza del figlio di vivere nell’ambito della propria famiglia di origine può essere sacrificata in presenza di pregiudizio grave e non transeunte per un equilibrato ed armonioso sviluppo della sua personalità, quando la famiglia di origine non sia in grado di garantirgli la necessaria assistenza e stabilità affettiva. Tale esigenza impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, e non può fondarsi di per sè su anomalie non gravi del carattere e della personalità dei genitori, comprese eventuali condizioni patologiche di natura mentale, quando non sia compromessa la loro capacità di assicurare al minore una crescita serena ed un equilibrato sviluppo psicofisico (Cass. n. 28230 del 2013, n. 18563 del 2012). Le gravi carenze morali e materiali integranti lo stato di abbandono non devono dipendere da cause di forza maggiore transitorie, le quali, una volta cessate, fanno venire meno il presupposto della dichiarazione di adottabilità, restando irrilevante la positiva valutazione prognostica della situazione che verrebbe per il minore a realizzarsi presso eventuali genitori adottivi o affidatari. Infatti l’adozione, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisce una misura eccezionale cui è possibile ricorrere non già per consentire al minore di essere accolto in un contesto più favorevole o per assicurargli le migliori condizioni di vita possibili, sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici, ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici (Cass. n. 13435 del 2017, n. 7391 del 2016, n. 19862 del 2003). Si è precisato che la condizione di abbandono del minore può essere dimostrata anche dallo stato di detenzione al quale il genitore sia temporaneamente assoggettato, trattandosi di circostanza che, essendo imputabile alla condotta criminosa posta in essere dal genitore nella consapevolezza della possibile condanna e carcerazione, non integra gli estremi della causa di forza maggiore di carattere transitorio individuata dalla L. n. 184 del 1983, art. 8 quale causa di giustificazione della mancata assistenza (Cass. n. 26624 del 2017, n. 19735 del 2015).

3.2.- Di questi principi la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione.

I giudici di merito hanno valutato sia i gravissimi comportamenti delittuosi posti in essere dalla L., con in grembo il piccolo Ac., essendo lei consapevole della gravidanza, sia le anomalie del carattere e della personalità della madre (oltre che del padre), sebbene non integranti patologie psichiatriche definite, e – in linea con le indicazioni della giurisprudenza (Cass. n. 25213 del 2013, n. 18563 del 2012) – hanno valutato i negativi “effetti” sulla sua capacità genitoriale, escludendo che lei possa garantire al bambino uno sviluppo psicofisico sereno ed equilibrato negli anni più delicati per la sua crescita.

Hanno evidenziato i disturbi psicologici della L., la sua immaturità, l’esaltazione narcisistica del proprio io, l’assenza di Ac. dalle proprie riflessioni e preoccupazioni e, in sostanza, la mancanza di un autentico cambiamento di vita, che avrebbe richiesto necessariamente la presa di coscienza della gravità dei propri comportamenti e il pentimento, all’esito di un percorso doloroso che non è stato riscontrato. Hanno riconosciuto che è in atto un percorso terapeutico che potrebbe condurla “in futuro” ad una maturazione della propria personalità ed ad acquisire le competenze necessarie per sviluppare un rapporto equilibrato con il proprio figlio, ma i tempi di attesa di questa auspicabile evoluzione non sono compatibili con le pressanti esigenze di un bambino dell’età di Ac..

Si tratta di apprezzamenti di fatto riservati ai giudici di merito, compiuti sulla base di argomentazioni idonee a rivelare la ratio decidendi e non censurabili in Cassazione, risolvendosi le doglianze nella critica della sufficienza del ragionamento logico posto a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile a norma del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Inoltre il ricorso si appunta su argomentazioni motivazionali svolte ad abundantiam e comunque prive di influenza sul dispositivo della stessa (Cass. n. 22380/2014), come nel caso del cosiddetto “addormentamento difensivo”; apodittica e avulsa dalla fattispecie concreta è la doglianza della ricorrente di non avere ricevuto l’aiuto e il sostegno previsto dalla L. n. 184 del 1983.

3.3.- Ulteriore ratio decidendi, evincibile dalla sentenza impugnata, è lo stato di lunga detenzione della L. che verrebbe indubbiamente a pregiudicare la garanzia della convivenza del nucleo familiare che è espressione di un diritto fondamentale della persona umana e, in particolare, dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della famiglia (Corte cost. n. 183 del 2008, n. 203 del 1997). Deve quindi ritenersi che lo stato detentivo di lunga durata costituisca, nella specie, una causa di forza maggiore non transitoria che oggettivamente impedisce un adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali, incidendo negativamente sul diritto del bambino di vivere in un contesto familiare unito e sereno negli anni più delicati della sua crescita.

Neppure sussiste la situazione (considerata da Cass. n. 19735 del 2015 cit., n. 10126 del 2005) che il genitore si sia comunque preoccupato di assicurare al minore l’assistenza morale e materiale, trattandosi di ipotesi riferibile al genitore che, diversamente dalla L., sia capace di svolgere le funzioni genitoriali ma temporaneamente impedito perchè detenuto e che per questo lo abbia affidato a parenti in grado di prendersi cura di lui, mentre, nella specie, i nonni (come si vedrà) non sono stati ritenuti idonei a sostituire efficacemente i genitori nella funzione genitoriale, tra l’altro per un periodo lungo come quello della detenzione.

4.- B.A. e la nonna paterna, R.P., hanno denunciato violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8 e 16 per avere dichiarato l’adottabilità del minore senza valutare la disponibilità della R. a rendersi affidataria o collocataria del minore, senza verificarne adeguatamente la sua capacità di accudimento del piccolo Ac. e nonostante essa non soffrisse di patologie psichiche.

4.1.- Il ricorso è infondato.

Si osserva preliminarmente che B. non censura la sentenza impugnata nella parte che lo riguarda direttamente, ma in quella che ha giudicato infruttuoso il tentativo della propria madre di evitare la dichiarazione di adottabilità proponendosi come affidataria del minore.

La Corte territoriale ha verificato l’inidoneità della R. ad assicurare al piccolo Ac. le cure materiali e le attenzioni necessarie a garantirgli un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalità, come dimostrato dalla mancanza di un atteggiamento critico e di distacco dai comportamenti delittuosi del proprio figlio che ha continuato a difendere. Si tratta di un accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito – sulla base delle valutazioni espresse dai consulenti tecnici e dagli operatori all’esito di quarantadue incontri con la R. – e non censurabile in sede di legittimità, a norma del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass., sez. un., n. 8053/2014).

5.- I nonni materni, G.M.R. e L.V., hanno denunciato violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8 e 16 per avere dichiarato l’adottabilità del minore quando lo stato di abbandono del minore non si era ancora concretizzato, essendo stato piuttosto determinato dalla decisione della Procura della Repubblica di Milano di aprire il procedimento per l’adottabilità del piccolo Ac. prima della sua nascita, con l’effetto di precludere la formazione di un legame genitoriale con la madre e l’evoluzione naturale del legame affettivo con i nonni materni; per non avere dato a L.M. la possibilità di sperimentare o recuperare il rapporto con il figlio, nè valutato il carattere transitorio della sua condizione di detenuta e la possibilità di un affidamento etero-familiare; per non avere valutato la disponibilità dei nonni materni a rendersi affidatari o collocatari del minore, tanto più che entrambi erano stimati insegnanti di scuola media da molti anni.

5.1.- Il ricorso è infondato nella parte in cui reitera censure e doglianze della figlia M. già esaminate (v. supra, p. 2 ss.) e, nel resto, per ragioni analoghe a quelle riguardanti la nonna paterna.

Infatti anche i nonni materni non hanno dimostrato una reale presa di coscienza delle atrocità delle condotte della figlia, come accertato dai consulenti tecnici e dagli operatori all’esito di quarantasei incontri, dai quali è emersa nelle loro personalità una significativa fragilità emotiva di tipo narcisistico. L’incidenza negativa sulla idoneità dei nonni a svolgere funzioni genitoriali vicarie è stata plausibilmente argomentata dai giudici di merito con un accertamento – di fatto non censurabile in sede di legittimità. Tale valutazione è rafforzata dalla considerazione della Corte di merito – ispirata alla valutazione del superiore interesse del minore – che, ove questi rimanesse legato alla famiglia di origine, inevitabilmente sarebbe costretto a confrontarsi con la drammatica storia familiare dei suoi genitori.

6.- In conclusione, i ricorsi sono rigettati. Le spese devono essere compensate, in considerazione della dimensione umana della controversia.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi; compensa le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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