Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14307 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/06/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 28/06/2011), n.14307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27788/2006 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

Antonietta, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ASPES MULTISERVIZI S.P.A., ASPES SPA;

– intimati –

e sul ricorso 31499/2006 proposto da:

ASPES MULTISERVIZI S.P.A., ASPES S.P.A., in qualità di successori di

ASPES Azienda Servizi Pesaresi, in persona del legali rappresentanti

prò tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI

22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che li rappresenta

e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 439/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 17/10/2005 R.G.N. 312/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito l’Avvocato GRASSI MONICA per delega MARESCA ARTURO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per: sollevare questione di

Costituzionalità in riferimento alla L. 11 gennaio 1943, n. 138,

art. 6 comma 2.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al giudice del lavoro di Pesaro l’ASPES, Azienda Servizi Pesaresi, chiedeva che, previo accertamento della sua natura di ente pubblico ai fini della contribuzione previdenziale e assistenziale INPS per il periodo febbraio 1990 – 31 agosto 2000, il giudice adito la dichiarasse esentata dall’obbligo di pagamento dei c.d. contributi minori e cioè: TBC, ENAOLI, CUAF, Fondo TFR, maternità e malattia, con conseguente condanna dell’INPS a restituire alla ricorrente le somme indebitamente percepite per le suddette causali nel periodo febbraio 1990 – maggio 2000.

Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Pesaro, con sentenza non definitiva, dichiarava il diritto dell’azienda ricorrente, alla quale erano succedute la ASPES s.p.a. e la ASPES Multiservizi s.p.a., ad essere inquadrata, ai fini contributivi, nella categoria degli enti pubblici fino al 31 agosto 2000; con la conseguenza che le aziende stesse non erano tenute a corrispondere all’INPS, a partire dal 13 settembre 1990, i contributi TBC, ENAOLI, fondo TFR, malattia e maternità e, dal 13 settembre 1995, il contributo CUAF; le suddette esenzioni cessavano alla data del 31 agosto 2000. Il Tribunale disponeva inoltre attività istruttoria per la quantificazione della somma corrispondente ai contributi versati indebitamente.

La Corte d’appello di Ancona, in parziale accoglimento del gravame proposto dall’INPS, respingeva la domanda dell’azienda ricorrente in primo grado limitatamente all’obbligo di pagamento dei contributi di malattia e al conseguente diritto alla restituzione delle somme versate a tale titolo. Confermava nel resto la sentenza impugnata. Ad avviso della Corte territoriale i contributi di malattia erano dovuti in applicazione del principio enunciato dalla Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SSUU, 27 giugno 2003 n. 10232) secondo cui la L. n. 138 del 1943, art. 6, comma 2, che esonera l’INPS dal pagamento dell’indennità di malattia quando il relativo trattamento economico venga corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro, non vale ad esonerare quest’ultimo dall’obbligo di versare la contribuzione previdenziale a favore deil’INPS, atteso che, da una parte, in virtù del generale principio di solidarietà che costituisce il fondamento della previdenza sociale, non esiste fra prestazioni e contributi un nesso di reciproca giustificazione causale, sicchè ben può persistere l’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni dei lavoratori dipendenti l’ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, e che, d’altronde, la predetta obbligazione contributiva partecipa della natura delle obbligazioni pubblicistiche, equiparabili alle obbligazioni tributarie, sottratte alla disponibilità di negozi giuridici di diritto privato, quali devono ritenersi, nell’attuale ordinamento, i contratti collettivi.

Per la cassazione di tale sentenza l’INPS propone ricorso affidato ad un unico, complesso motivo; ASPES s.p.a. e ASPES Multiservizi s.p.a., in qualità di enti successori di ASPES Azienda Servizi Pesaresi, resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale. L’INPS ha proposto controricorso avverso il ricorso incidentale.

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale ASPES s.p.a. e ASPES Multiservizi s.p.a. denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 138 del 1943, art. 6, comma 2, con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata che ha affermato il loro obbligo di versare all’INPS i contributi di malattia. Premesso che la norma sopra citata prevede che l’indennità di malattia posta a carico dell’ente assistenziale non è dovuta quando il datore di lavoro è tenuto a corrispondere, in forza di legge o di contratto, un trattamento economico ai lavoratori assenti per malattia pari o superore all’indennità di malattia stessa, deducono che, in applicazione di tale norma, le stesse non sono tenute al pagamento del relativo contributo atteso che una norma collettiva ad esse applicabile (l’art. 32 c.c.n.l.) prevedeva espressamente l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere direttamente il trattamento di malattia. Le società ricorrenti incidentali deducono altresì, in via subordinata, che, ove si dovesse accogliere l’interpretazione dell’art. 6, comma 2, sopra citato offerta dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza (Cass. SSUU, 27 giugno 2003 n. 10232) richiamata dalla Corte territoriale, si porrebbe una questione di legittimità costituzionale della norma stessa per violazione degli artt. 2 e 3 Cost.. Ed infatti l’obbligo di solidarietà, gravante sulle imprese, sarebbe distribuito fra le stesse in modo illogico e irrazionale in quanto, in particolare, tutte le imprese, sia quelle tenute, in base alla contrattazione collettiva, a versare l’intera retribuzione al lavoratore malato, sia quelle non tenute a tale versamento, sarebbero ugualmente e ingiustificatamente tenute a corrispondere per intero la contribuzione.

Sulla questione di legittimità costituzionale della L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2, il Collegio, nell’accogliere pienamente le argomentazioni del Procuratore Generale, che ha concluso per la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione suddetta, osserva:

1. SULLA RILEVANZA DELLA QUESTIONE. Come sì è accennato in narrativa la sentenza impugnata ha statuito che la domanda di ripetizione dei c.d. “contributi di malattia” svolta dalle società ASPES s.p.a. ed ASPES MULTISERVIZI s.p.a. non può essere accolta; tale statuizione è basata su una determinata interpretazione della L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2.

Avverso tale capo della sentenza le società sopra citate hanno proposto ricorso incidentale col quale, premesso che la domanda originaria aveva ad oggetto, in particolare, “la restituzione dei contributi indebitamente versati detraendo dall’importo relativo le indennità di malattia rimborsate dall’INPS”, hanno chiesto, in forza di una diversa interpretazione del citato art. 6, la riforma, sul punto della sentenza della Corte d’appello di Ancona.

Appare pertanto evidente che, per la delibazione del ricorso incidentale, è necessario fare applicazione della L. n. 138 del 1943, art. 6, comma 2.

Nelle more del presente giudizio è intervenuto il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convecrtito dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, il quale ha così disposto: la L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2, si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1 gennaio 2009. Si tratta di una norma di interpretazione autentica del citato art. 6, comma 2, secondo la quale: a) per un verso, i datori di lavoro non sono più tenuti al versamento della contribuzione all’INPS per il trattamento economico di malattia (primo inciso); b) le contribuzioni comunque già versate restano acquisite alla gestione, e quindi non sono suscettibili di ripetizione.

Il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, citato, è stato oggetto di scrutinio da parte della Corte costituzionale, essendone stata denunciata l’illegittimità costituzionale. Precisamente, la norma – eliminando, per i datori di lavoro inadempienti in epoca antecedente la data di entrata in vigore dello stesso D.L., l’obbligo contributivo di malattia previsto dalla L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 9 (Costituzione dell’Ente “Mutualità fascista – Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori”) e dalla L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, comma 5 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 1986) e statuendo, altresì, che Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1 gennaio 2009 – è stata sospettata di violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, in quanto: a) sebbene formulata come una norma di interpretazione autentica, costituirebbe in realtà una legge-provvedimento; b) irragionevolmente premierebbe i datori di lavoro inadempienti e discriminerebbe quelli che hanno tempestivamente versato i contributi dovuti.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 48 del 2010, ha dichiarato non fondata la questione. La Corte tuttavia – ed è questo il profilo di maggiore importanza per la presente questione – ha precisato: a) che oggetto della censura da parte del giudice a quo (e dunque dello scrutinio di costituzionalità) era non già la seconda parte del D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 1 (quella che esclude la ripetibilità dei versamenti eseguiti prima del 2009), bensì la sola prima parte del comma suddetto (quella che contiene la norma di interpretazione autentica per effetto della quale non sono dovuti i contributi da parte delle imprese che erogano la retribuzione ai dipendenti in malattia); b) che, così limitato l’oggetto dello scrutinio, la questione era infondata, in quanto l’art. 20, comma 1, del D.L. n. 112 del 2008: b1) non può essere qualificato come legge- provvedimento, riferendosi ad un numero indeterminato di destinatari e non concernendo un oggetto rientrante tra quelli propri dei provvedimenti amministrativi; b2) non realizza una sanatoria di comportamenti illeciti che – come ritenuto dal giudice a quo – continuerebbero ad essere qualificati come tali; b3) introduce una nuova disciplina del contributo previdenziale relativo all’assicurazione contro le malattie e, pertanto, costituisce espressione della discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione dell’obbligazione contributiva. La Corte ha poi affermato, testualmente, che in tale discrezionalità rientra anche la contestuale estensione retroattiva della nuova disciplina, la cui legittimità costituzionale non è inficiata dalla previsione dell’irripetibilità delle contribuzioni versate per i periodi anteriori al 1 gennaio 2009. Ciò in quanto – ha aggiunto la Corte – (…) come già rilevato da questa Corte in altra analoga fattispecie (sentenza n. 292 del 1997), l’irripetibilità di quanto versato prima dell’entrata in vigore del nuovo regime dell’obbligazione contributiva, più favorevole per i datori di lavoro, non determina, di per sè, l’illegittimità dell’efficacia retroattiva di tale nuovo regime.

Nell’ultimo capoverso della motivazione della sentenza n. 48 del 2010 la Corte costituzionale ha peraltro precisato: Resta impregiudicata, ovviamente, qualsiasi valutazione sulla legittimità dell’esclusione della restituzione delle somme già versate a titolo di contributi di malattia, prevista nella parte della norma non censurata. In sostanza, la compatibilità costituzionale della norma di interpretazione autentica (D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 1) in combinato disposto con la norma interpretata (L. n. 138 del 1943, art. 6, comma 2) è stata affermata solo in relazione alla parte della norma oggetto di censura (prima parte), ma la Corte ha ritenuto impregiudicata la questione della legittimità costituzionale della parte della norma non censurata – vale a dire di quella relativa al divieto di ripetizione dei contributi già versati all’INPS. Nel presente giudizio, come si è in precedenza rilevato, la Corte di legittimità è chiamata ad applicare proprio quest’ultima parte della norma nella sua interpretazione autentica proveniente dall’art. 20, comma 1, citato. Peraltro, tale applicazione darebbe necessariamente un risultato scontato: la norma interpretativa, infatti, vieta la ripetizione, ragion per cui ne dovrebbe necessariamente seguire, sul punto, il rigetto dell’appello incidentale e la conferma del capo di sentenza da esso attinto.

2. SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA. Il parametro costituzionale di riferimento risulta, all’evidenza, l’art. 3 Cost.. Infatti, è proprio il carattere retroattivo della norma interpretativa che sancisce una inevitabile disparità di trattamento, priva dei requisiti minimi di ragionevolezza. Il divieto di ripetizione dei “contributi di malattia” già corrisposti pone i soggetti che hanno correttamente adempiuto a tale obbligo previdenziale in una condizione di oggettivo pregiudizio rispetto a quanti hanno omesso, contravvenendo al dettato normativo, il medesimo versamento. Tale effetto, peraltro, non può qualificarsi come meramente accidentale o “di fatto” (e come tale risultare irrilevante, secondo la nota giurisprudenza costituzionale), trattandosi di effetto de ture direttamente discendente dal portato normativo della norma interpretativa. Nè a evitare la violazione del principio di eguaglianza possono valere considerazioni meta giuridiche quali: a) il prevedibile contenzioso (giudizi tendenti alla ripetizione dei contributi versati) derivante dall’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma; b) il connesso onere finanziario che deriverebbe per la restituzione da parte dell’INPS. E’ quasi ovvio evidenziare, infatti, che tali argomenti non inficiano il dato giuridico di fondo, nè possono costituire una “giustificazione” ad una palese diseguaglianza normativa. Quest’ultima è tanto più irragionevole considerando che la norma di interpretazione autentica (“salvata”, nella sua essenza, dalla pronuncia n. 48 del 2010) è sopravvenuta a quasi sessant’anni dalla emanazione della norma interpretata. Ma, soprattutto, a risultare irragionevole è la premialità innestata dalla norma:

vengono, infatti, ad essere beneficiati proprio i soggetti inadempienti e, per contro, vengono penalizzati (con l’impossibilità di ripetizione) proprio i soggetti adempienti: chi non ha pagato in passato non dovrà più farlo; ma, chi ha pagato in passato, non potrà ottenere, in restituzione, ciò che oggi (ed anche ieri) non è più dovuto.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, ultimo inciso, convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, di interpretazione autentica della L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, comma 2, con riferimento all’art. 3 Cost..

Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti della Camera dei deputati e del senato della Repubblica.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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