Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14307 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. II, 15/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 15/06/2010), n.14307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.M.D., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Grillari Franco,

elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv. Dimasi Pasquale in

Roma, via Belli, n. 36;

– ricorrente –

contro

M.T., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Borgese Eleonora,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Iavicoli

Raffaele, via Gregorio VII, n. 500, Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Palmi n. 261 del 14 aprile 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 8 marzo 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: ” M.T., proprietaria di un’abitazione confinante con quella di G.M.D., convenne in giudizio quest’ultima, chiedendo che venisse ordinato alla convenuta: di rimuovere le travi infisse nella parete di essa M.; di costruire sul piano della terrazza coperta con le lamiere, lungo il fronte della casa M. e lateralmente ad essa fino a 75 cm., un muro fino all’altezza delle lamiere ovvero non inferiore a due metri di altezza con sovrastante inferriata fissa; di elevare il muretto della terrazza, dal lato prospiciente sull’atrio retrostante, fino a due metri di altezza; di tagliare le lamiere sporgenti sul tetto di essa M.; di rimuovere il tubo pluviale discendente sino ad un metro dalla casa di essa M.; di arretrare la canna fumaria sino a distanza tale da non arrecare danno alla casa vicina; di rimuovere qualsiasi altra opera abusiva eventualmente accertata in corso di causa fino a distanza legale. Chiedeva inoltre la condanna della G. al risarcimento dei danni.

Si costituì la convenuta, resistendo alle pretese dell’attrice e proponendo, in via riconvenzionale, domanda con cui chiese: che fosse accertato che il terreno posto sul retro dell’abitazione G. era di sua proprietà; che fosse accertato che il muro di confine tra le due abitazioni era comune, con conseguente suo diritto di infiggervi le travi; la condanna della M. all’eliminazione di pluviali da lei posti a distanza inferiore a quella di legge ed al risarcimento dei danni da infiltrazioni di acqua; la condanna della M. allo sgombero ed al rilascio del terreno retrostante; che fosse accertato, in ogni caso, il suo diritto di accedere alla parte retrostante per potere intonacare il muro della sua abitazione.

L’adito Pretore di Cinquefrondi accolse parzialmente le domande avanzate da entrambe le parti, condannandole al risarcimento dei danni liquidati equitativamente e ponendo il pagamento di metà delle spese processuali a carico della G..

Con sentenza in data 14 aprile 2008, il Tribunale di Palmi, decidendo sull’appello principale della G. e sull’appello incidentale della M., ha così provveduto: ha dichiarato l’inesistenza di servitù di passaggio dei tubi del servizio idrico nell’immobile di proprietà della M., e per l’effetto ha condannato quest’ultima ad arretrare l’impianto idrico di un metro e mezzo dal confine con la proprietà G.; ha condannato la G. a realizzare un manufatto di altezza corrispondente alla struttura di cortina del fabbricato M., lungo tutto il relativo lato del terrazzo; ha dichiarato compensate in ragione di 1/3 le spese di entrambi i gradi del giudizio e condannato la G. al pagamento dei residui 2/3.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale la G. ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi. L’intimata ha resistito con controricorso. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. (relativamente all’accertamento dello spazio retrostante le abitazioni delle parti) e pone i seguenti quesiti: in presenza di un documento espressamente indicato nell’indice dei documenti prodotti con l’atto di costituzione in giudizio della parte (indice mai contestato da alcuno), nel caso in cui lo stesso atto non dovesse rinvenirsi successivamente, se può il giudice a quo ritenere tale documento come mai prodotto dalla parte; in presenza di c.t.u. che accerti che un terreno è (quanto meno) pertinenza comune a due particelle facenti capo a proprietari diversi ed in mancanza di ulteriori accertamenti probatori, se può il giudice a quo ritenerlo in proprietà esclusiva ad uno dei proprietari soltanto.

Il motivo è manifestamente infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

Il Tribunale ha accertato la proprietà in capo alla M. dell’area retrostante l’appartamento della G. in base all’interpretazione dei rogiti notarili del 3 luglio 1944 e del 30 agosto 1974.

Il Tribunale ha anche evidenziato che la mancata produzione nel fascicolo d’appello del fascicolo di parte contenente i rogiti del (OMISSIS), invocati dalla G. a fondamento del suo diritto, preclude di procedere al riscontro delle affermazioni poste a base del corrispondente motivo di gravame: e ciò correttamente, essendo onere dell’appellante produrre, o ripristinare in appello, se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame, per cui egli subisce le conseguenze della mancata produzione del fascicolo di parte, essendo il giudice del gravame tenuto a decidere sulla base del materiale probatorio sottoposto al suo esame.

Quanto al contrasto con la c.t.u., il motivo omette di trascrivere, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le parti della relazione del consulente tecnico che sarebbero state male o insufficientemente valutate dal giudice.

Il secondo ed il terzo mezzo denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., relativamente alle vedute esercitate dal fabbricato della ricorrente e in relazione alla presunta invasione del muro comune, al rilascio della corte da parte della M. ed al mantenimento delle distanze in favore della G..

I motivi sono inammissibili. Essi, nonostante siano formalmente rubricati come violazione e falsa applicazione di legge, finiscono con il denunciare, in realtà, un mal governo delle risultanze probatorie, ossia un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In ogni caso, i quesiti che li accompagnano non risultano rispettosi dell’art. 366-bis c.p.c., perchè non sono tali da consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso (Cass., Sez. 1, 22 giugno 2007, n. 14682). Parte ricorrente non ha enunciato alcun principio di diritto, diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato, tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata.

Il quarto motivo (omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni spettante alla ricorrente) è inammissibile, perchè non accompagnato dalla formulazione del conclusivo quesito di diritto, in violazione della prescrizione di cui all’art. 366-bis c.p.c.. Il quinto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.) è manifestamente infondato, perchè, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca è rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (Cass., Sez. 2, 5 ottobre 2001, n. 12295)”.

Letta la memoria di parte ricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che, in ordine al primo motivo, va ribadito (quanto alla mancata produzione nel giudizio d’appello del fascicolo contenente i rogiti Albanese e Cimellaro) che – a meno che si versi nel caso dell’incolpevole perdita dei documenti (con conseguente possibilità di loro ricostruzione previa autorizzazione giudiziale) – è onere della parte stessa che vi abbia interesse assicurarne al giudice d’appello la disponibilità in funzione della decisione (Cass., Sez. 3, 8 maggio 2003, n. 6987; Cass., Sez. 3, 15 maggio 2007, n. 11196);

che, d’altra parte, nella specie non si tratta di mancanza degli atti, ma dell’intero fascicolo di parte di primo grado non depositato in appello, del quale non risulta che la parte avesse denunciato lo smarrimento e chiesto la restituzione;

che, contrariamente a quanto si sostiene nella memoria, le pagg. 5, in fine, e 6 del ricorso non riportano per esteso, trascrivendole, le pertinenti parti della consulenza tecnica ritenute erroneamente disattese: il ricorso si limita, infatti, ad una lettura estrapolata delle conclusioni alle quali sarebbe giunto il consulente, così impedendo alla Corte il controllo sull’effettiva decisività della risultanza;

che, infine, in ordine al secondo e terzo motivo del ricorso, la relazione ex art. 380-bis c.p.c. rileva non già l’omessa formulazione dei quesiti, ma la formulazione di quesiti inidonei;

che, sotto questo profilo, questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che nessuno dei quesiti proposti con il secondo ed il terzo motivo si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

 

 

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