Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14306 del 13/07/2016

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 13/07/2016), n.14306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3755/2016 proposto da:

APREAMARE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PARIGI 11, presso Io studio dell’avvocato ORESTE CARDILLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA GRAZIA

VASATURO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.B.R., (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso stitiche

dell’avvocato FRANCESCO GRISANTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato EMILIO BALLETTI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7652/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata 21/11/2014 r.g.n. 3763/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato VASATURO MARIA GRAZIA;

udito l’Avvocato BALLETTI EMILIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, l’ing. P.B. R. impugnava la sentenza n. 5896/12 emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, con la quale era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento intimatogli il 3.5.2010 dalla s.p.a. Apreamare per giustificato motivo oggettivo e ritenuta assorbita l’impugnativa di un secondo licenziamento intimatogli per motivi disciplinari il 27.5.2010, lamentando non solo che l’attività di logistica e programmazione, della quale era responsabile, non era stata soppressa, ma erano stati assunti poco dopo, con contratto a tempo indeterminato, 11 lavoratori, a seguito della conversione dei loro contratti a tempo determinato. Ribadiva, poi, l’illegittimità anche del licenziamento disciplinare successivamente intimatogli in data 27.5.2010 – non esaminato dal primo giudice, che aveva ritenuto la legittimità del primo licenziamento – sia per la inesistenza degli addebiti che per la loro assoluta lievità (con relativa sproporzione della sanzione espulsiva). Concludeva pertanto per la riforma della impugnata sentenza, con accoglimento dell’impugnative di licenziamento e reintegrazione nel proprio posto di lavoro, con condanna al risarcimento dei danni subiti, quantificati nelle retribuzioni medio tempore maturate.

Si costituiva la società Ferretti che evidenziava l’inammissibilità dell’appello proposto nei suoi confronti in quanto privo di doglianze e conclusioni ad essa riferite. Eccepiva quindi la sua improcedibilità per violazione dell’art. 435 c.p.c., comma ,.

Si costituiva anche la Apreamare s.p.a. che contestava quanto ex adverso sostenuto e difendeva la correttezza della impugnata sentenza.

Con sentenza depositata il 21 novembre 2014, la Corte d’appello di Napoli dichiarava la inammissibilità dell’appello proposto nei confronti della s.p.a. Ferretti, compensando le spese; accoglieva per il resto il gravame e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza: dichiarava l’illegittimità sia del licenziamento intimato al P. in data 3.5.2010, sia del successivo recesso (del 27.5.2010); ordinava la immediata reintegra del P. nel proprio posto di lavoro;condannava la società Apreamare al pagamento di una indennità, a titolo risarcitorio, pari alle mensilità medio tempore maturate dalla data del primo licenziamento alla effettiva reintegrazione, quantificate in Euro 4.376,29 lorde mensili, oltre accessori, fino al soddisfo; condannava la s.p.a. Apreamare al pagamento, in favore del P., delle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Apreamare, affidato a tre motivi.

Resiste il P. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo, articolato, motivo la società ricorrente denuncia, con riferimento al primo licenziamento per g.m.o.: omessa pronuncia con violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 111 Cost.; omesso esame di un fatto (e di prova documentale) decisivo/a; violazione dell’art. 1418 c.c., e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1; violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, e art. 41 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., oltre che di vizio motivo con violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ed all’omesso esame di prove decisive.

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne illegittimo il licenziamento 3.5.10 esclusivamente sulla base della circostanza che l’azienda aveva provveduto, dopo circa due mesi dal recesso, a convertire in rapporti di lavoro a tempo indeterminato 11 contratti a termine già in essere (e secondo la ricorrente invalidi), assegnando a due di tali lavoratori parte dei compiti precedentemente svolti dal P.. Evidenzia che trattavasi di lavoratori già occupati (e dunque non realizzanti alcun incremento occupazionale e comprovanti l’impossibilità di adibire il P. alle mansioni da essi svolte) prima del licenziamento del P., con contratti a termine invalidi (D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1) che necessitavano di essere convertiti. Lamenta che la corte di merito non valutò minimamente tali decisive circostanze, non spiegando in particolare perchè le conversioni di contratti a termine in tesi nulli, dovevano ritenersi nuove assunzioni, tanto più che è ben consentito all’impresa (in tesi in crisi e) che intenda ridurre i costi del lavoro, “sopprimere una posizione lavorativa, distribuendo le relative mansioni tra il personale occupato”. Lamenta ancora che il licenziamento del P. era diretto a sopprimere la sua posizione di quadro preposto al settore Logistica e Programmazione e non anche quelle inferiori presenti in azienda cui potevano essere affidate parte delle mansioni del primo ( P.). Si duole ancora che la sentenza impugnata non avesse adeguatamente valutato la crisi produttiva dell’azienda, escludendola nonostante la prova per testi, ed i bilanci 2007-2010 prodotti, da cui risultava una riduzione della produzione di oltre il 30%.

1.1- Il motivo presenta ampi profili di inammissibilità, ed è per il resto infondato.

Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione si sostanzia in un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deve allora rimarcarsi che “..Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).

Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito.

Quanto alla redistribuzione delle mansioni, poi, ferma restando l’inammissibilità di nuovi e diversi accertamenti di fatto in sede di legittimità, questa Corte ha già chiarito (Cass. 1giugno 2012 n. 8846; Cass. 21 novembre 2011 n. 24502; Cass. 24 maggio 2011 n. 11356;

Cass. 2 ottobre 2006 n. 21282) che tale operazione può rientrare nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, purchè riconducibile ad un effettivo riassetto organizzativo, stabile e non meramente contingente. Questa Corte ha anche chiarito (Cass. n. 11402/12, pure invocata dalla ricorrente) che ai fini della configurabilità della soppressione del posto di lavoro integrante giustificato motivo oggettivo di licenziamento non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo (e dovendo) le stesse essere (almeno) quelle prevalentemente esercitate in precedenza dal lavoratore.

Nella specie, come risulta dalle stesse deduzioni della società ricorrente essa provvide a licenziare il P., senza provare l’effettivo venir meno delle mansioni da esso svolte, provvedendo anzi ad affidare parte delle stesse a lavoratori assunti dopo qualche mese (ancorchè già occupati con contratti a termine), per un verso così confermando la necessità di mantenere la posizione lavorativa svolta dal P., per altro verso ammettendo che non si trattò di effettiva riorganizzazione aziendale, bensì della volontà dell’azienda di assumere con contratti a tempo indeterminato lavoratori già occupati con contratti a termine, in quanto ritenuti illegittimi. Tale circostanza, peraltro priva di adeguate allegazioni, nulla prova in ordine alla effettiva soppressione delle mansioni affidate al P., dimostrando, al contrario, la persistente utilità delle mansioni svolte dal lavoratore, e la mera opportunità per l’azienda di affidare le stesse a dipendenti che avrebbero potuto impugnare i contratti a tempo determinato con essa instaurati.

2.- Con riferimento al secondo licenziamento per giusta causa (del 27.5.10) la società denuncia: una omessa pronuncia con violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; una omessa motivazione, con violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 111 Cost.; l’omesso esame di un fatto e di prove decisive per il giudizio, con violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 3.

Lamenta che la corte di merito ritenne erroneamente, ed in violazione delle norme indicate, insussistente il fatto addebitato e segnatamente l’avere il P. reiteratamente (ed anche scorrettamente, fornendo erronee indicazioni circa il suo domicilio) ostacolato l’attività aziendale di consegna ed invio di provvedimenti (il suo licenziamento e controlli di malattia) inerenti il suo rapporto di lavoro.

Lamenta che la sentenza impugnata non considerò (e dunque non esaminò, neppure dando ingresso alla prova, che non viene meglio specificata) il fatto decisivo che il dipendente utilizzò fraudolentemente il ricorso alla malattia (in tesi inesistente), indicandola come causa della sua assenza che derivava invece dal licenziamento.

Lamenta dunque la violazione dei principi di cui agli artt. 2119 e 2106 c.c., essendo le circostanze (falsa rappresentazione di malattia; non reperibilità per i relativi controlli, con non veritiere indicazioni del suo domicilio, rifiuto di sottoscrivere per ricevuta la lettera di licenziamento in questione) particolarmente gravi.

Il motivo è inammissibile per le ragioni sopra dette: solo la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, mentre l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione inerisce ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, limitato all’omesso esame di uno o più fatti storici decisivi, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nella specie la corte di merito ha ampiamente esaminato i fatti in questione, di cui la società ricorrente richiede inammissibilmente in questa sede una diversa ricostruzione.

Deve inoltre evidenziarsi che la esposizione dei fatti in questione, non risulta rispettosa dell’art. 366 c.p.c., affidandosi, più che ad una originale sintesi degli stessi, alla riproduzione del testo di numerosi documenti (cfr. per l’inammissibilità di simile censura, Cass. n. 17168/12, Cass. n. 593/13, Cass. n. 10244/13), demandando peraltro a questa Corte la selezione delle parti rilevanti e quindi una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n.1716).

3.- Con riferimento alla condanna al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18, la società formula le seguenti doglianze:

omessa motivazione e violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 111 Cost.; omesso esame di fatti e prove decisive; omessa applicazione del principio di non contestazione, oltre a violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; violazione degli art. 2909 c.c., art. 1227 c.c., comma 2, L. n. 300 del 1970, art. 18, e violazione del principio secondo cui il giudice, in presenza di eccezione di aliunde perceptum, deve rilevare d’ufficio le cause emergenti dagli atti processuali che possano comportare la riduzione del risarcimento in questione.

3.1- Il motivo è fondato.

La società risulta infatti aver tempestivamente allegato e documentato in sede di merito la sussistenza di altra attività lavorativa svolta dal P. in seguito ed a causa del licenziamento in questione (lo svolgimento di attività lavorativa presso la società TECNAV dal luglio 2010, circostanza in verità neppure esplicitamente contestata dal lavoratore), e dunque la detraibilità di tale aliunde perceptum da parte del lavoratore a causa della perdita del posto di lavoro.

Deve infatti rimarcarsi che il principio della “compensatio lucri cum damno” trova applicazione quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso (Cass. n 12248/13, Cass. n. 4146/11, Cass. n. 4950/2010, Cass. n. 18837/10, Cass. n 7453/2010).

La sentenza impugnata si limita, erroneamente, ad affermare che trattavasi di circostanza non provata ed avente “un carattere meramente esplorativo” (cfr. pag. 7), sicchè essa va cassata, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia sul punto.

4. In conclusione mentre debbono rigettarsi i primi due motivi, il terzo merita accoglimento, come da dispositivo.

L’accoglimento sia pur parziale del ricorso esclude l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, in materia di raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte accoglie la censura in ordine all’aliunde perceptum e rigetta le restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016

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