Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14306 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 08/06/2017, (ud. 08/02/2017, dep.08/06/2017),  n. 14306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14587-2011 proposto da:

BLU SPORT DI BIANCHINI VITTORIO & C. S.N.C., P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PISISTRATO 11, presso lo studio

dell’avvocato GIANNI ROMOLI, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati SERGIO CENCETTI, NICOLA DI MARIO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati LELIO MARITATO, ENRICO MITTONI, ANTONINO SGROI, CARLA

D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA UMBRIA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 111/2010 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 27/05/2010 r.g.n. 165/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. UMBERTO SERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIANNI ROMOLI;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Perugia ha rigettato l’impugnazione proposta dalla società Blu Sport di Bianchini Vittorio & C. s.n.c. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che le aveva accolto parzialmente l’opposizione alla cartella esattoriale recante l’ingiunzione di pagamento in favore dell’Inps per la somma di Euro 22.314,23 a titolo di contributi non versati, somme aggiuntive ed interessi di mora in relazione alla posizione lavorativa di D.P., dopo aver stabilito che l’opponente era tenuta alla corresponsione del minore importo di Euro 16.109,07.

Nel respingere l’appello la Corte territoriale ha osservato che, nonostante il fatto che in data 1 marzo 2000 le parti avessero stipulato un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, dopo che tra le stesse era in precedenza intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 3 agosto 1998 al 21 febbraio 2000, l’esito dell’istruttoria non autorizzava a ritenere che la D. fosse stata libera di sospendere a sua discrezione l’attività di commessa, per cui anche il secondo rapporto aveva avuto le caratteristiche della subordinazione atta a giustificare la pretesa contributiva dell’Inps.

Per la cassazione della sentenza ricorre la società Blu Sport di Bianchini Vittorio & C. s.n.c. con quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. in relazione agli artt. 1322 e 2222 c.c., degli artt. 1322 e 2094 c.c. in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè per omesso esame di un punto decisivo della controversia, la ricorrente lamenta l’erronea valutazione del materiale probatorio in quanto la Corte d’appello di Perugia avrebbe omesso di verificare la sussistenza del requisito della eterodirezione nel rapporto intercorso con D.P., avendo dato rilievo dirimente alla circostanza irrilevante dell’osservanza di un orario di lavoro da parte di quest’ultima ed ignorando che nei contratti di parasubordinazione, come quello in esame, sussistono elementi riconducibili alla prestazione di lavoro subordinato senza che ciò implichi la sussistenza della subordinazione.

2. Col secondo motivo, proposto per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente lamenta l’erronea valutazione della prove da parte della Corte territoriale che si sarebbe limitata a considerare le dichiarazioni della pretesa dipendente senza attribuire nessun rilievo all’evidente tenore letterale delle deposizioni rese da soggetti estranei alla vicenda, i quali avevano dichiarato di non aver mai assistito ad una richiesta di ferie o di permessi per allontanarsi da parte della D.. Quindi, una corretta valutazione degli esiti dell’istruttoria orale avrebbe dovuto condurre il collegio giudicante ad escludere la natura subordinata del rapporto di lavoro oggetto di causa. Inoltre, quest’ultimo non avrebbe valutato le dichiarazioni rese dai testi R. e P., i quali avevano confermato l’effettivo cambiamento della modalità di esplicazione della prestazione dopo la stipula del contratto di collaborazione continuativa e coordinata e l’autodeterminazione della D. nell’assentarsi per lo svolgimento di attività estranee al rapporto dedotto in causa.

3. Col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 1362 c.c. in relazione a quella di cui all’art. 2222 c.c., la ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito avrebbe ignorato il valore fondamentale della dichiarazione di volontà contrattuale espressa dalle parti contraenti nel senso della sussistenza di un rapporto di parasubordinazione.

4. Col quarto motivo la ricorrente invoca lo sgravio totale dal pagamento delle spese di lite del giudizio di merito in conseguenza dell’auspicato accoglimento del presente ricorso.

5. Osserva la Corte che i primi tre motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Invero, attraverso le censure di cui ai primi tre motivi la ricorrente tenta di effettuare una inammissibile rivisitazione del materiale probatorio adeguatamente scrutinato dai giudici d’appello, offrendo, nel contempo, una prospettazione giuridica del rapporto di lavoro in esame diversa da quella eseguita correttamente nell’impugnata sentenza, il tutto nell’intento di veder affermata la natura parasubordinata del rapporto di lavoro al fine dell’esclusione della pretesa contributiva dell’Inps basata sull’esito dell’accertamento ispettivo che aveva consentito di appurare il carattere subordinato delle prestazioni lavorative eseguite da D.P..

6. La Corte di merito ha, infatti, spiegato che gli ispettori dell’Inps avevano constatato che anche dopo la conclusione del primo rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra le stesse parti nel periodo 3.8.1998 – 21.2.2000, non erano mutate nè le mansioni, nè le modalità di svolgimento della prestazione, atteso che la D. aveva continuato ad eseguire quest’ultima sotto il potere direttivo gerarchico del datore di lavoro. In particolare la Corte ha rilevato che, a parte gli elementi della natura fissa e della cadenza periodica dei compensi, ciò che appariva decisivo per affermare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso fra la Blu Sport e la D. era il fatto che quest’ultima era tenuta ad osservare l’orario di lavoro impostole dalla ditta. Tali emergenze probatorie risultavano, come precisato in sentenza, dalle dichiarazioni rese dalla D. che non erano state smentite dalle deposizioni dei testi P.M. e R.G., i quali avevano confermato che la medesima lavoratrice aveva svolto le mansioni di commessa addetta alle vendite nel negozio della Blu Sport, sia allorquando era stata inquadrata come dipendente, sia nel periodo successivo decorrente dal 1°marzo 2000. La Corte ha poi aggiunto che la dichiarazione del teste P. circa il fatto che quando la D. si allontanava dal negozio non doveva chiedere permessi non autorizzava a ritenere che quest’ultima fosse libera di sospendere a sua discrezione l’attività di commessa, trattandosi di una deduzione del teste e non di un fatto, non potendosi escludere che il permesso fosse stato previamente accordato o che vi fosse stato un accordo preventivo a tal riguardo con la parte datoriale. Infine, la Corte d’appello ha posto in evidenza che non era risultato che la D. avesse mai svolto le attività previste dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa, in aggiunta a quelle di addetta alle vendite, o di collaborazione nella gestione amministrativa e del magazzino.

7. Al riguardo è utile ricordare che “in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.” (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04).

Nella fattispecie la sentenza impugnata sfugge ai rilievi di legittimità posto che la Corte d’appello di Perugia ha fondato il proprio convincimento sulla infondatezza del gravame sulla scorta di una motivazione supportata da adeguate argomentazioni e riscontri ed esente da vizi di ordine logico e giuridico.

8. E’, altresì, infondato il quarto motivo atteso che la Corte territoriale ha correttamente applicato il principio della soccombenza nel momento in cui ha condannato l’appellante alle spese di lite nei confronti dell’Inps risultato vincitore, compensandole, invece, in relazione agli altri rapporti processuali instauratisi all’interno dello stesso giudizio.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate in favore dell’Inps come da dispositivo.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese nei confronti della società Equitalia Umbria s.p.a. che è rimasta solo intimata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge in favore dell’Inps. Nulla spese nei confronti di Equitalia Umbria s.p.a..

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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