Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14303 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. II, 15/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 15/06/2010), n.14303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Avv. O.L., rappresentato e difeso da se medesimo, per

legge domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di

cassazione, piazza Cavour, Roma;

– ricorrente –

contro

Avv. G.L., rappresentato e difeso da se medesimo e, in

forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.

Muoio Fatima, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Rampioni Riccardo in Roma, via Fasana, n. 16;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 98 del 19

gennaio 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto;

sentiti gli Avv. O.L. e Muoio Fatima;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso:

“concordo con la richiesta di accertamento in merito all’opportunità

di riunione; in subordine, concordo con la relazione”.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 8 marzo 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “Con atto di citazione notificato in data 5 maggio 1999, C.A., C.E. e C.L. proposero opposizione al decreto ingiuntivo n. 810 del 1999, emesso dal Pretore di Napoli per la somma di L. 5.076.500 oltre accessori, in favore dell’Avv. G.L., sostenendo che il suddetto avvocato aveva chiesto spettanze professionali per le quali aveva avuto parere favorevole da parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli e precisando che non avevano mai conosciuto l’Avv. G., ma che avevano conferito solo ed esclusivamente all’Avv. O. L. il mandato per la causa C. – Consorzio GOI e che lo stesso Avv. O. aveva acconsentito a che l’Avv. G. si costituisse nel giudizio al solo scopo di fargli maturare il numero dei giudizi allora necessario ai fini dell’iscrizione all’albo degli avvocati.

Resistette in giudizio l’Avv. G.; e propose intervento ad excludendum l’Avv. O.L., dichiarando di sostituirsi in tutto ai C., ritenendoli estranei alla vicenda tra esso e l’Avv. G..

Con sentenza depositata il 5 giugno 2004, il Tribunale di Napoli rigettava sia le richieste degli opponenti che dell’Avv. O., condannando i predetti, in solido, al pagamento in favore dell’opposto delle spese processuali.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza in data 19 gennaio 2009, ha rigettato il gravame proposto dai C. e dall’Avv. O..

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha interposto ricorso l’Avv. O., con atto notificato il 21 aprile 2009, sulla base di quattro motivi. Ha resistito, con controricorso, l’Avv. G.. Il primo motivo (violazione per mancata applicazione dell’art. 112 c.p.c., comma 1) formula il quesito “se la Corte d’appello di Napoli abbia seguito le norme del diritto, come dispone l’art. 113 c.p.c., comma 1, utilizzando la pregiudiziale penale oggi non più in vigore dopo la riforma dei primi anni novanta, invocando la mancata proposizione della querela di falso, per giustificare la non ammissione di alcune prove nel giudizio che ci occupa, prove oggettivamente idonee a orientare in senso opposto il convincimento del giudice”.

Il secondo mezzo (violazione per mancata applicazione degli artt. 1703 e seg. c.c., con particolare attenzione agli artt. 1711 e 1717 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è accompagnato dal seguente quesito di diritto: “dica la Corte se sia legittima l’applicazione della normativa sul mandato come sopra esposta ai rapporti tra C.A., C.L., C. E. e l’Avv. O. da una parte e l’Avv. G. dall’altra e se del caso vada annullata la sentenza della Corte d’appello di Napoli, la quale ha invece affermato che l’Avv. G. ha rappresentato in giudizio i signori C.”.

Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione del D.M. n. 585 del 5 ottobre 1994 nonchè della L. 13 giugno 1942, n. 794) domanda conclusivamente “se in mancanza di dimostrazione positiva delle proprie pretese debba essere revocato il decreto ingiuntivo per compensi professionali fondato esclusivamente sul parere del Consiglio dell’ordine professionale, con tutte le conseguenze di legge in fatto di spese, diritti ed onorari annessi e connessi, precisando altresì se in casi del genere anche il mandato possa avere valenza processuale e non sostanziale”.

Il quarto motivo – sotto la rubrica violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. – formula il que-sito di diritto “se, nel caso di specie, una volta annullata la sentenza della Corte d’appello di Napoli per il primo e secondo motivo del presente ricorso e revocato il decreto ingiuntivo n. 810/99 del pretore di Napoli con la conseguente dichiarazione che A., E. e C.L. nulla devono all’Avv. G. a nessun titolo, si sostanzi il diritto dell’Avv. O. al risarcimento dei danni nei confronti dell’Avv. G. ex art. 2043 c.c.”.

Nessuno dei quattro quesiti proposti è stato formulato nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 366-bis c.p.c..

E’ noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 1, 22 giugno 2007, n. 14682) il quesito che il ricorrente è chiamato a formulare, per rispondere alle finalità della norma, deve esser tale da consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso. Se cosi non fosse, se cioè il quesito non risultasse finalizzato alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, o comunque non apparisse idoneo a conseguire tale risultato, ciò vorrebbe dire o che esso non ha in realtà alcuna attinenza con l’impugnazione e con le ragioni che la sorreggono o che il ricorrente non ha interesse a far valere quelle ragioni. Nell’uno come nell’altro caso non potrebbe non pervenirsi alla conclusione dell’inammissibilità del motivo di ricorso.

Nella fattispecie in esame i quesiti sopra riferiti non rispondono a tali requisiti, perchè essi si limitano a prospettare una diversa soluzione della lite, ma non e-videnziano in alcun modo l’esistenza di un’eventuale discrasia tra la (non individuata dal ricorrente) ratio decidendi alla base della sentenza impugnata ed un qualche principio giuridico che il ricorrente medesimo vorrebbe invece fosse posto a fondamento di una decisione diversa”.

Letta, la memoria del ricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che non vi sono ragioni per disporre la riunione del presente ricorso a quelli, tuttora pendenti, indicati dal ricorrente nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, posto che essi hanno ad oggetto sentenze diverse da quella impugnata con il presente ricorso;

che va invece ribadito che nessuno dei motivi con cui vengono prospettati vizi di violazione e falsa applicazione di legge è corredato dalla conclusiva formulazione di idoneo quesito di diritto;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collabo-rando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione;

i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che, pertanto, i motivi sono inammissibili, perchè nessuno di essi si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 700, di cui Euro 500 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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