Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14301 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. II, 15/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 15/06/2010), n.14301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.M., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Papadia Alberto Maria,

elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma, via Catanzaro, n.

9;

– ricorrente –

contro

O.L., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Ruggeri Gianfranco e

Proto Tommaso, elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Nizza, n. 11;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n.

2808 del 1 luglio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto;

sentito l’Avv. Papadia Alberto Maria;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso:

“concordo con la relazione”.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 8 marzo 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “Con sentenza depositata in data 14 settembre 2004, il Tribunale di Roma respingeva la domanda con la quale M. M. aveva chiesto la condanna di O.L. al pagamento della somma di L. 6.120.000 a titolo di compenso professionale per le prestazioni espletate e lo condannava alla rifusione delle spese di lite. Il Tribunale rilevava che soggetto passivo dell’obbligazione dedotta in giudizio non era l’ O., socia della Spazio Milano s.r.l., bensì la società stessa, non avendo il M. fornito la prova che le prestazioni (consistenti nella verifica e nuova redazione del bilancio del 1992, predisposto dalla Spazio Milano s.r.l. e delle relative schede contabili, nonchè per la sistemazione dei rapporti tra detta società e la s.n.c. R.Q. Ricerche Qualitative di C. Cantucci) fossero state rese nei confronti della convenuta. La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 1 luglio 2008, ha rigettato il gravame del M. e confermato la pronuncia impugnata. Analizzando le risultanze processuali (le deposizioni testimoniali, l’interrogatorio formale della convenuta e la documentazione in atti), la Corte territoriale ha ribadito che la parte appellante non ha fornito la prova che l’incarico professionale di cui è causa sia stato conferito dall’appellata.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il M. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi.

Ha resistito, con controricorso, l’intimata O.. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e mancata applicazione degli artt. 2230 e 2233 c.c. per errata individuazione del cliente del professionista, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Esso si conclude con il quesito di diritto “se l’attribuzione della qualità di cliente nei rapporti di prestazione d’opera intellettuale sia ravvisabile, in mancanza di un contratto scritto, da comportamenti e dichiarazioni della persona presunta cliente, da fatti e da documenti di terzi, anche in assenza di un interesse diretto o in presenza di un interesse indiretto”. Il motivo non coglie nel segno.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, 29 settembre 2004, n. 19596), obbligato al pagamento dell’onorario per l’opera professionale svolta è il committente che non necessariamente è anche il beneficiario della prestazione, potendo l’incarico essere conferito da un terzo o soltanto da alcuni dei soggetti nel cui interesse la prestazione è svolta.

La censura articolata con il motivo non tiene conto che la Corte d’appello, al pari del primo giudice, ha escluso che le risultanze probatorie dimostrino proprio che l’incarico professionale sia stato conferito dalla O. ed ha affermato che la prestazione del professionista è stata svolta nell’interesse della società. Il motivo di ricorso – al di là della deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge – finisce con il richiedere a questa Corte di legittimità un nuovo esame degli atti di causa.

Il secondo motivo di ricorso (con cui si denuncia contraddittoria motivazione in relazione all’accertamento ed alla valutazione di fatti rilevanti per la decisione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) è inammissibile, perchè non reca un momento di sintesi conclusiva (omologo del quesito di diritto) contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. 3, 7 aprile 2008, n. 8897)”.

Letta la memoria depositata in prossimità della camera di consiglio dal ricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che, quanto al primo motivo, va ribadito che esso – nonostante formuli una denuncia di violazione e mancata applicazione di norme di diritto – tende ad una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito alla soluzione della controversia esaminata, e sollecita, pertanto, un nuovo giudizio di fatto;

che, in ordine al secondo motivo, occorre ricordare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è contraddittoria, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1, 23 gennaio 2009, n. 1741);

che, in altri termini, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis c.p.c. – che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma contraddittoria la motivazione e si indichi quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

 

 

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