Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14301 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. II, 08/07/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 08/07/2020), n.14301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2209/2016 proposto da:

C.D., C.L., C.G., in qualità di eredi

di C.V. e G.R., CA.SA.,

C.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIACOMO BONI 15, presso

lo studio dell’avvocato ELENA SAMBATARO, rappresentati e difesi

dagli avvocati SALVATORE RESTIVO, GIUSEPPA RESTIVO;

– ricorrenti –

contro

B.C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato DANIELE LIUTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MASSIMO PUNZI;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 1686/2015 della CORTE D’APPELLO di

PALERMO, depositata il 16/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/11/2019 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, e ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Antonio Fricchione, con delega depositata in udienza

dall’avvocato Giuseppa Restivo, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento dl ricorso;

udito l’Avvocato Giuseppe Massimo Punzi, difensore della resistente,

che si è riportato agli atti depositati.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nella controversia iniziata da B.M.C. per la divisione dei beni ereditari di C.D. deceduto senza testamento lasciando eredi il coniuge G.R., i due figli C.V. e C.S.e l’attrice, figlia della figlia premorta C.M.C., il Tribunale di Termini Imerese rigettava sia la domanda principale di divisione, sia la domanda riconvenzionale dei convenuti C.V. e C.S.. Costoro avevano chiesto che fosse dichiarata l’usucapione in proprio favore di due fabbricati oggetto della domanda, avendoli posseduti ininterrottamente dalla data di edificazione, avvenuta a loro cura e spese su terreno messo a loro a disposizione dal genitore: in particolare, quanto a C.V., di un fabbricato realizzato nel 1971 e, quanto a C.S., di un capannone edificato nel 1980. Il tribunale rigettava altresì la domanda subordinata dei convenuti, volta ad ottenere, per il caso di rigetto della domanda di usucapione, la condanna dell’attrice al pagamento di una indennità ai sensi dell’art. 936 c.c..

La Corte d’appello di Palermo, adita da C.S. e dagli eredi di C.V., nel frattempo deceduto ( Ca.Sa., C.D., C.L. e C. Gianmarco), confermava la sentenza di primo grado.

Essa riconosceva che la concessione, da parte del de cuius, delle aree sulle quali i fratelli C.V. e C.S. avevano poi edificato trovava titolo in un contratto di comodato. A tal fine la corte poneva l’accento sulla dichiarazione sostitutiva del de cuius del 29 giugno 1990, con la quale il genitore aveva dichiarato di avere dato ai propri figli “la piena e ampia disponibilità dei due lotti di terreno” per consentire a V. la realizzazione della propria abitazione e a S. l’edificazione di un capannone.

Gli appellanti, nel censurare la sentenza di primo grado, avevano sostenuto che il titolo del potere di fatto trovasse la propria origine in una donazione e non in un comodato. La corte rigettava il relativo motivo di appello, in base al rilievo che gli appellanti essi avevano fondato l’esistenza della donazione sulla dichiarazione del 1990, senza considerare che la donazione richiede l’accettazione, di cui nella specie non c’era prova, e requisiti di forma non riscontrabili in quella stessa dichiarazione.

La corte proseguiva nell’analisi del documento, ponendo in luce che l’uso della parola “disponibilità” da parte del proprietario faceva propendere circa la natura di comodato del rapporto intercorrente fra le parti al momento della consegna dei beni, con conseguente negazione del possesso.

La corte condivideva inoltre la valutazione del primo giudice circa l’inapplicabilità dell’art. 936 c.c.. In presenza di un vincolo di carattere personale con il proprietario faceva difetto il requisito della qualità di terzi dei costruttori, qualità essenziale ai fini dell’applicabilità della norma.

In ogni caso, proseguiva il giudice d’appello, il diritto all’indennizzo rimaneva escluso in considerazione del carattere abusivo delle opere. Gli appellanti avevano prodotto copia delle istanze di sanatoria, ma non ne avevano comprovato l’esito.

Per la cassazione della sentenza C.S. e gli eredi di C.V., l’uno e gli altri anche nella qualità di eredi di G.R., hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi.

B.C.M. ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1140,1146,1158 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

I ricorrenti censurano la sentenza perchè la corte di merito ha deciso la causa in base al tenore letterale della dichiarazione del defunto, ignorando totalmente le altre prove, che deponevano nel senso del possesso utile per l’usucapione. Nel fare ciò, inoltre, essa ha errato nella valutazione del contenuto della stessa dichiarazione, che non aveva altra finalità se non quella di consentire ai costruttori di presentare in proprio la domanda di condono.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1141 c.c..

Seppure il contratto iniziale potesse considerarsi comodato vi era stata interversione, tenuto conto della edificazione realizzata sui terreni, che rendeva palese l’intenzione di colui che si era avvalso della relativa facoltà, siccome espressione tipica del diritto di proprietà, di comportarsi come proprietario riguardo al bene.

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 936 c.c..

Si sostiene che la corte male ha fatto a non riconoscere ai costruttori la qualità di terzi, essendo gli stessi costruttori possessori in proprio e non detentori in forza di contratto di comodato. La corte, inoltre, nel negare l’indennità a causa del carattere abusivo delle opere, non ha tenuto conto della presentazione delle relative domande di condono accompagnate dal pagamento delle oblazioni, con la conseguente estinzione dell’abuso edilizio.

Il primo motivo è fondato.

Ex art. 1141 c.c., comma 1, quando è stato accertato l’esercizio di un potere di fatto sulla cosa corrispondente al contenuto di in diritto reale, il possesso si presume. Grava pertanto su chi contesti tale potere l’onere di provare che l’attività esercitata configuri una semplice detenzione (Cass. n. 14640/2017; n. 26984/2013; n. 6944/1999; Cass. n. 966/1983; n. 1172/1980). Per poter riconoscere se una determinata situazione sia da qualificare non come possesso, ma come semplice detenzione, occorre risalire al titolo in base al quale il potere di fatto sulla cosa ha cominciato ad essere esercitato (art. 1141 c.c., comma 2) (Cass. n. 21690/2014; n. 14593/2013; n. 7271/2003; n. 12569/1003).

In altre parole, con riguardo al possesso, la prova da parte di colui che l’invoca deve avere ad oggetto soltanto l’elemento di fatto (relazione materiale con la cosa) perchè sia per il codice civile vigente (art. 1141) sia per quello abrogato (art. 687) si deve sempre presumere il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato ad esercitarlo come detenzione, con la conseguenza che, provato il potere di fatto del soggetto che vanta il possesso ad usucapionem, fa carico alla controparte l’onere della prova della detenzione iniziale atta a vincere la presunzione iuris tantum del possesso legittimo (Cass. n. 5415/1990; n. 11286/1998).

E’ stato chiarito che la prova contraria alla presunzione in esame non può essere senz’altro desunta da dichiarazioni del possessore, le quali, potendo essere informate ai motivi più vari e non essere aderenti alla situazione reale, vanno invece controllate nel contesto di tutte le risultanze relative alla condotta del soggetto, secondo un criterio di valutazione oggettiva, ispirato, cioè, alla considerazione della rilevanza sociale di tale condotta (Cass. n. 1172/1980; n. 475/1970; cfr. altresì Cass. n. 8176/1998).

La corte d’appello, in palese contrasto con tali principi, ha desunto la prova contraria al possesso esclusivamente sulla base di una dichiarazione postuma nemmeno del possessore, ma del formale titolare del diritto, laddove tale dichiarazione, in conformità a quegli stessi principi, a maggior ragione costituiva, al limite, elemento valutabile ai fini della decisione che la corte era chiamata ad assumere in ordine alla natura del potere di fatto esercitato dai costruttori sulla cosa già in essere al momento della dichiarazione.

Insomma la corte di merito avrebbe dovuto condurre l’indagine riportandosi al momento iniziale di esercizio del potere di fatto, senza arrestarsi al contenuto della dichiarazione postuma del disponente, ma verificandone il contenuto nel contesto di tutte le risultanze di causa (interrogatorio formale e prove per testimoni).

E’ poi palese come la decisione sia conseguita a una sopravvalutazione di un elemento letterale tutt’altro univoco. L’uso del termine “disponibilità”, associato nella specie agli aggettivi “piena e ampia”, non è incompatibile con la descrizione di una vicenda traslativa reale, se è vero che la facoltà di piena disposizione rappresenta il contenuto del diritto di proprietà (art. 832 c.c.).

Si ricorda ancora che la nullità del titolo traslativo non è circostanza sufficiente ad escludere l’acquisto del possesso da parte del cessionario (contra Cass. n. 21726/2019, ma sulla base di argomenti che non intaccano il principio, già sancito dalla precedente giurisprudenza della Corte, secondo cui “Ai fini dell’usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l’invalido trasferimento della proprietà, l’accipiens può possedere il bene animo domini, ed anzi proprio la circostanza che la traditio sia stata eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido (perchè non concluso nella necessaria forma scritta), era comunque volto a trasferire la proprietà del bene costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi, riconosciuto da che la nullità del titolo non esclude di per sè l’animus rem sibi habendi del cessionario” (Cass. n. 14115/2013; n. 14395/2004).

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo e del terzo.

La sentenza è cassata in relazione al primo motivo, con rinvio della causa per nuovo esame alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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