Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14300 del 13/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 13/07/2016, (ud. 30/06/2016, dep. 13/07/2016), n.14300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

Dott. DAVIGO Piercamillo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1983/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.A.C.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 71/06/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di BOLOGNA del 12/11/2008, depositata il 25/11/2008, non

notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. Piercamillo Davigo;

udito l’Avvocato difensore della ricorrente che si riporta agli

scritti;

udito l’Avvocato difensore della contro ricorrente che si riporta

agli scritti;

udito il Procuratore Generale della Repubblica in persona del

Sostituto Anna Maria Soldi, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, n. 71/06/08, pubblicata il 25 novembre 2008, con la quale essa aveva confermato la pronunzia della Commissione tributaria provinciale di Bologna, che aveva accolto il ricorso di A.A.C. contro l’avviso di accertamento in materia di I.V.A. per l’anno d’imposta 2000.

La Commissione Tributaria regionale confermava la prima sull’assunto che non era stato provato dall’Ufficio impositore che la contribuente, cantante lirica, benche’ iscritta all’A.I.R.E. fosse in realta’ residente in Italia e non nel Regno Unito e che i committenti delle prestazioni avevano auto fatturato le prestazioni ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, sicche’ non vi era stata sottrazione di materia imponibile all’erario.

2. Con controricorso la contribuente deduceva l’inammissibilita’ del ricorso essendo il quesito di diritto proposto in relazione al primo motivo formulato in modo generico e tale da richiedere un accertamento di fatto. In ogni caso gli articoli di stampa, neppure allegati, possono essere considerati confessione stragiudiziale e sono comunque stati smentiti. Deduceva la infondatezza del secondo motivo di ricorso rilevando che comunque era ipotizzata la presenza della contribuente in Italia per 22 giorni e che comunque era dedotta una questione di fatto. Concludeva per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce i vizi di violazione degli artt. 2730 e 2735 c.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto, a fronte dell’iscrizione all’A.I.R.E., risultavano legami personali in Italia, sia con la famiglia di origine che con il nuovo nucleo costituito con il convivente ed il figlio e in interviste rilasciate la contribuente aveva affermato (al (OMISSIS)) di cercare casa in Italia in vista dell’arrivo del bambino e di aver finora vissuto a (OMISSIS) nonche’ (a (OMISSIS)) di aver intenzione di seguire il compagno che si sarebbe trasferito in Liguria. La Commissione Tributaria regionale ha ritenuto prive di valore le dichiarazioni riportate dalla stampa, mentre si trattava di confessione stragiudiziale liberamente apprezzabile dal giudice, anche tributario.

Il motivo di ricorso e’ infondato ed in larga parte svolge censure di merito.

La controricorrente, se pur non ha formalmente smentito di aver effettuato le dichiarazioni riportate dalla stampa, ne ha negato la veridicita’, alla luce delle complessive deduzioni.

I giudici di merito hanno effettuato una valutazione complessiva, ritenendo che le dichiarazioni rese alla stampa avessero poco valore, dato il contesto, che e’ sostanzialmente un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede in assenza di illogicita’ e di violazione di legge.

2. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativamente al possesso di un conto corrente in Italia e di carte di credito rilasciate in Italia. La Commissione Tributaria regionale ha ritenuto che sarebbe stato onere dell’Ufficio fornire prova dei movimenti e dell’uso delle carte di credito, senza considerare che il solo possesso di carte di credito italiane valeva a provare la residenza in Italia e che la contribuente ben avrebbe potuto dimostrare di averne fatto uso solo nei periodi di permanenza in Italia per lavoro.

Il motivo di ricorso e’ infondato.

Se e’ vero che il possesso di carte di credito italiane ha valore indiziari, non puo’ trascurasi che la contro ricorrente aveva segnalato come le spese effettuate in Italia equivalevano a quelle effettuate all’estero, sicche’ l’indizio non era univoco.

3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

4. Le spese devono essere compensate alla luce della situazione di incertezza probatoria emersa dagli elementi rappresentati.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso. Spese compensate.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 30 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016

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