Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1430 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/01/2017, (ud. 02/12/2016, dep.20/01/2017),  n. 1430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO ANNAMARIA – Presidente –

Dott. SCODITTI ENRICO – Consigliere –

Dott. RUBINO LINA – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI CHIARA – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI MARCO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25098-2014 proposto da:

ASTIR CONSORZIO COOPERATIVE SOCIALI SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE in

persona del legale rappresentante pro tempore, Dott.ssa

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II

18, presso lo STUDIO GREZ, rappresentata e difesa dall’avvocato

GUIDO GIOVANNELLI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE SENIOR SPA, in persona del suo legale rappresentante

pro-tempore sig. C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI NOVELLA 22, presso lo studio LEGALE GITTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIANLUCA SANSONETTI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1041/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato MAURO GIOVANNELLI per delega;

udito l’Avvocato GIAMMARIA CAMICI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 18 giugno-7 luglio 2014 la Corte d’appello di Firenze ha parzialmente accolto l’appello proposto da Astir-Consorzio di cooperative sociali-Società cooperativa sociale avverso sentenza 15 gennaio 2013 del Tribunale di Prato – che aveva respinto l’opposizione di Astir a decreto ingiuntivo di pagamento dei canoni locatizi per la somma di Euro 251.816,94 a Immobiliare Senior S.p.A. e le sue domande riconvenzionali nei confronti dell’opposta revocando il decreto ingiuntivo e condannando l’appellante a pagare a Senior la somma di Euro 250.901,75 oltre interessi, per il resto confermando la sentenza di primo grado, compensando per un nono le spese processuali dei due gradi e condannando Astir a rifonderne i residui otto noni all’appellata.

2. Ha presentato ricorso Astir sulla base di dieci motivi, concludendo, oltre che per la cassazione della sentenza impugnata, anche con la richiesta di decisione nel merito di condanna di Senior in accoglimento delle sue domande riconvenzionali; si è difesa Senior con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1.1 Considerato il contenuto che ora si verrà ad esporre dei primi tre motivi, questi meritano un vaglio congiunto.

Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 2342 e 1813 c.c. quanto alla qualificazione come conferimento di capitale anzichè come mutuo di finanziamenti elargiti dalla ricorrente a controparte. Secondo la ricorrente, la comune volontà sua e di controparte sarebbe stata “ben esplicitata nelle richieste formulate da Senior” – di cui Astir era socia – cui seguirono i versamenti di Astir. Su tali richieste la corte territoriale ha concluso nel senso che l’appellante, come gli altri soci, aveva dovuto intervenire per ripianare debiti di Senior verso istituti bancari. La ricorrente ritiene ciò sostanzialmente corretto perchè “l’intenzione dei contraenti consisteva nel fornire alla società le risorse liquide di cui essa aveva necessità”. Ma il giudice d’appello sarebbe incorso in errore di diritto nella qualificazione di tali versamenti come conferimento di capitale di rischio anzichè mutuo. E ciò perchè i versamenti di Astir non rientrerebbero in nessuna delle fattispecie che costituiscono conferimento di capitale: nè nei versamenti in conto aumento di capitale, nè nei versamenti in conto futuro aumento di capitale – perchè Astir, per finanziamenti, non ha goduto alcun incremento della sua partecipazione sociale -, nè nei versamenti a copertura di perdite perchè questa riguarda i finanziamenti per copertura di perdite di esercizio mentre nel caso in esame i finanziamenti non sarebbero stati preceduti da delibere assembleari di approvazione del bilancio di esercizio. I versamenti di Astir, dunque, sarebbero serviti a Senior “per far fronte alle proprie correnti esigenze finanziarie”, cioè pagamenti di rate di un mutuo ipotecario stipulato con Mediocredito Toscano ed ulteriori spese per la realizzazione dell’immobile di proprietà di Senior. Il fatto poi che i versamenti siano avvenuti su richiesta di Senior non sarebbe sufficiente a qualificarli come conferimenti di capitale di rischio. Inoltre la lettura del giudice d’appello porterebbe alla eliminazione della categoria “finanziamenti soci irripetibili”, rendendo così incomprensibile l’introduzione avvenuta con la riforma societaria del 2003 dell’art. 2467 c.c., che pure la stessa controricorrente avrebbe invocato nelle sue difese, così dimostrando di ritenere essa stessa versamenti ripetibili quelli effettuati da Astir. I giudici di merito hanno d’altronde rilevato che la contabilizzazione tra i debiti dello stato patrimoniale non consente comunque la qualificazione dei versamenti come mutui: e ciò è vero, ma se ne può trarre argomento per ricostruire la natura dell’operazione e in mancanza di una chiara manifestazione della volontà per determinare la rimborsabilità dei finanziamenti dei soci occorre riferirsi alla loro qualificazione nel bilancio approvato dall’assemblea ordinaria. Invero, i versamenti dei soci sono contabilizzati o come “versamenti in conto capitale” – e allora sarebbero assimilabili al capitale di rischio – o come debiti – e allora sarebbero appunto dei mutui -.

Il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e/o nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente sulla qualificazione come conferimento di capitale anzichè mutuo dei finanziamenti di Astir a Senior.

Il terzo motivo, infine, denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2467 c.c. quanto ai finanziamenti concessi da Astir: la sentenza “sembrerebbe…aver escluso la ripetibilità” di tali finanziamenti anche applicando l’art. 2467 c.c., che nel caso di specie applicabile non è, in quanto introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in vigore dal 1 gennaio 2004 – e i finanziamenti di cui si tratta furono anteriori al 1 gennaio 2004 – e concerne solo la s.r.l., oltre ad essere in concreto comunque inapplicabile.

3.1.2 La sentenza impugnata, in realtà, ha diversamente affrontato la questione della domanda riconvenzionale di rimborso dei finanziamenti che secondo l’appellante Astir sarebbero stati versati come “mutuo gratuito”. Si osserva che la contabilizzazione non è “dirimente” come era stato prospettato nel gravame, “perchè l’appostazione contabile nei bilanci…non è da sola sufficiente, dato che la prova della reale natura dell’erogazione non può desumersi solo dalla denominazione nelle scritture contabili. Viceversa è il socio che agisce in restituzione…che deve dimostrare in concreto il modo in cui il rapporto si è atteggiato e la finalità dell’erogazione, secondo la volontà delle parti”. Questo, in effetti, è il vero nucleo del ragionamento della corte territoriale, integrandone la ratio decidendi: l’onere probatorio dei fatti costitutivi del diritto alla restituzione doveva essere assolto da Astir, l’appostazione contabile non avendo del resto alcun valore confessorio o che comunque esoneri completamente dal suddetto onere probatorio. E’ solo a questo punto che la corte territoriale richiama giurisprudenza in ordine alla distinzione tra finanziamenti/mutui e versamenti dei soci, questi ultimi non dando luogo a crediti esigibili finchè esiste la società, potendone i soci chiedere la restituzione al suo scioglimento nei limiti dell’attivo del bilancio di liquidazione, essendo in sostanza assimilabili al versamento in conto capitale di rischio; ma quasi subito la motivazione ritorna sul piano dell’accertamento fattuale dell’adempimento dell’onere probatorio, evidenziando così che non si tratta, nel caso di specie, di un problema di qualificazione, dovendosi a priori risolversi sul piano probatorio la ricostruzione dell’elemento fattuale della volontà negoziale delle parti. Osserva infatti la corte che la stessa giurisprudenza richiamata, per stabilire se si tratta di un versamento in conto di capitale di rischio oppure di un rapporto di mutuo, rimarca che occorre fare riferimento alla volontà negoziale delle parti, e puntualizza che la prova che vi sia diritto alla restituzione – prova di cui è onerato il socio che ha operato il versamento – va tratta non tanto dalla denominazione attribuita al versamento nelle scritture contabili della società, quanto piuttosto dalla concreta conformazione che le parti hanno dato al rapporto. E allora giunge la corte a concludere che, “a parte la sola appostazione contabile in bilancio, Astir non ha dato prova di aver diritto alla restituzione”, emergendo anzi dalla prodotta documentazione la prova contraria, ovvero che Astir, “come gli altri soci, era semmai dovuta intervenire a ripianare i debiti nei confronti di Istituti Bancari”, intendendo quindi con i suoi versamenti “partecipare al rischio di impresa”. E’ solo a questo punto, chiaramente ad abundantiam avendo già ben chiarito che Astir non aveva adempiuto al suo onere della prova e che anzi era emersa una netta prova contraria al suo diritto di restituzione, che la corte richiama l’art. 2467 c.c. (che, come frutto assimilato dalla riforma legislatibva di una precedente evoluzione interpretativa giurisprudenziale, concerne il finanziamento postergato) ma non per applicarlo, bensì nell’ambito della trascrizione di un passo motivazionale di una delle sentenze che aveva già in precedenza citato (Cass. sez. 1, 23 febbraio 2012 n. 2758/2012) che, nella parte finale, enuncia un mero “avvicinamento” di un tale versamento al conferimento di capitale “confermato ora indirettamente anche dal disposto dell’art. 2467 c.c., quantunque non applicabile ratione temporis alla presente fattispecie” (motivazione, pagine 6-7).

Non può dunque negarsi che le doglianze versate nei primi tre motivi del ricorso non trovano riscontro nella decisione del giudice d’appello, il quale non ha ritenuto applicabile l’art. 2467 c.c., non ha affatto omesso di fornire motivazione e ha operato, come si è visto, sul piano fattuale in base ad una corretta spartizione dell’onere della prova (conforme alla giurisprudenza che si è sviluppata in tema di erogazioni di somme da parte di soci alla society da ultimo v. Cass. sez. 1, 9 dicembre 2015 n. 24861, Cass. sez. 1, 3 dicembre 2014 n. 25585, Cass. sez. 1, 23 febbraio 2012 n. 2758 – citata anche dalla corte territoriale -, nonchè la non massimata Cass. sez. 1, 9 agosto 2012 n. 14359), constatando che dal complessivo compendio probatorio – nel cui ambito ha tenuto conto entro certa misura anche della appostazione contabile – non è emersa la prova che avrebbe dovuto fornire Astir quale mutuante che chiede la restituzione, ovvero la prova della stipulazione di un mutuo come titolo del versamento delle somme che Astir ha reso oggetto della domanda riconvenzionale di condanna di cui si tratta. Prive di consistenza per il caso in esame sono pertanto le argomentazioni di diritto societario dispiegate dalla ricorrente, perchè, in realtà, non è contestabile – e neppure la ricorrente infatti lo contesta – che l’onere della prova del mutuo spettasse ad Astir, onde quel che viene richiesto al giudice di legittimità è una revisione della valutazione di fatto che il giudice di merito ha operato in ordine al risultato probatorio nel senso che Astir non ha adempiuto con successo al suo onere. Nessuno dei tre motivi, in conclusione, merita accoglimento.

3.2.1 Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 79 e 32 e art. 1344 c.c. quanto alla determinazione del canone pattuito nel contratto locatizio de quo.

La ricorrente adduce che l’art. 3 del contratto, al terzo capoverso, prevedrebbe un progressivo aumento del canone annuo, fissato in Euro 361.519,93 per i primi tre anni. Il giudice d’appello ha ritenuto che il contratto indichi la volontà delle parti di agevolare la conduttrice per i primi tre anni, da qui discendendo la riduzione del canone libero, determinato in Euro 465.000 annui. Ma in tal modo verrebbe a discostarsi da quella giurisprudenza di legittimità (viene richiamata Cass. sez. 3, 19 febbraio 2009 n. 4040) – che insegna che la clausola che prevede variazione in aumento del canone locatizio deve essere connessa ad un ampliamento della controprestazione – qui mancante – oppure correlata a elementi incidenti sull’equilibrio economico del contratto: su questa ipotesi (richiamata altresì Cass. sez. 3, 5 marzo 2009 n. 5349) la ricorrente invita il giudice di legittimità ad operare la valutazione, omessa dalla corte territoriale, del significato della dicitura presente nella clausola “in funzione delle spese di avvio della struttura”, la quale sarebbe una mera clausola di stile, senza riferimento alla fattispecie concreta, le spese di avvio della struttura posta nell’immobile non essendo identificate nè quantificate, con conseguente mancato rispetto del requisito di predeterminazione. Pertanto detta clausola sarebbe stata un espediente per violare il divieto di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 32 che consente la variazione del canone al massimo nel 75% della variazione dell’indice Istat, con conseguente nullità per violazione dell’art. 79 della stessa legge “o comunque, più in generale, perchè in frode alla legge”.

3.2.2 Il motivo in esame si impernia dunque sull’art. 3 del contratto che, nel primo periodo, stabilisce che “il canone di locazione viene fissato in Euro 465.000,00” annui, e, nel suo terzo periodo, così recita: “Per i primi tre anni di locazione…è accordato al locatore, in funzione delle spese di avvio della struttura, motivate dal conduttore prima e fuori dal presente contratto, un pagamento del canone ridotto”, cioè Euro 361.519,83 annui. La censura corrisponde in sostanza al secondo motivo d’appello, che la corte territoriale ha respinto ritenendo insussistente la violazione della L. n. 392 del 1978, art. 79 prospettata dall’appellante, trattandosi invece di una “opposta ipotesi di riduzione del canone libero” ammontante a Euro 465.000 annui, di cui le parti hanno appunto ritenuto giustificata dalla riduzione per i primi tre anni. Richiama al riguardo il giudice d’appello la recente Cass. sez. 6-3, ord. 17 maggio 2011 n. 10834, per cui nella locazione di immobili ad uso non abitativo, in correlazione con il principio della libera determinazione convenzionale del canone, anche il frazionamento di questo in misura differenziata e crescente può essere legittimo se risulta giustificata la riduzione del canone per un limitato periodo iniziale. Si tratta, evidentemente, proprio dell’applicazione dell’autonomia negoziale sul canone libero, che, per non violare il combinato disposto della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79 che la limita, deve trovare supporto in un’oggettiva giustificazione indicata nel negozio stesso. La corte territoriale, nella sua pur concisa motivazione, manifesta di ritenere che le parti non hanno pattuito neppure una sequenza di aumento del canone – che è poi quello che sostiene anche in questa sede la ricorrente -, bensì hanno concordato una sorta di sconto iniziale in considerazione dei costi che gravavano la conduttrice all’inizio del rapporto per poter utilizzare l’immobile (motivazione, pagina 3: “Ritiene la Corte che non emerga una sottostante volontà delle parti di eludere l’art. 79…dato che semmai il contratto ha indicato la volontà di agevolare la società conduttrice nei primi tre anni, per cui trattasi dell’opposta ipotesi di riduzione del canone libero, determinato nella fattispecie in Euro 465.000, ma per il quale, rispetto al periodo iniziale e circoscritto a tre anni, le parti hanno ritenuto giustificata la riduzione”; per inciso, si nota che tanto dalla sentenza quanto dal ricorso risulta che l’immobile veniva destinato a struttura per anziani).

Non è sostenibile, pertanto, che il giudice d’appello abbia omesso di valutare la clausola contrattuale in ordine anche all’incidenza delle spese di avvio della struttura; e d’altronde è palesemente inammissibile chiedere al giudice di legittimità di effettuare quel che è un accertamento di fatto, ovvero la ricostruzione della volontà negoziale delle parti. Nè è pertinente la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, poichè, come si è appena visto, la corte territoriale ha ritenuto sussistente una volontà negoziale non nel senso di un aumento del canone originario, bensì una volontà negoziale – fattispecie “opposta”, come si esprime la stessa corte – che ha identificato immediatamente il canone annuo, decurtandolo parzialmente nella prima parte temporale del rapporto in conseguenza di oggettive necessità della ricorrente che la corte ha escluso costituissero una finzione per aggirare le barriere normative.

Il motivo, in conclusione, non merita accoglimento.

3.3 Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1575, 1576 e 1609 c.c. riguardo agli interventi di ripristino e sostituzione qualificabili come straordinaria manutenzione.

Tali interventi sono stati ritenuti manutenzione ordinaria dal giudice d’appello, che ha richiamato quanto “dato conto” dal giudice di prime cure, che ritiene emergente dalle fatture. Adduce la ricorrente che i giudici di merito non avrebbero applicato i criteri normativi per distinguere la manutenzione ordinaria da quella straordinaria; e richiama quindi un recente arresto di questa Suprema Corte (Cass. sez. 3, 10 dicembre 2013 n. 27540) deducendone che straordinarie sono le opere non prevedibili o normalmente necessarie. Quindi la ricorrente illustra “a titolo significativo”, essendo “le fatture depositate…assai numerose”, alcune fatture (ricorso, pagine 36-38) per concludere che le opere ivi fatturate non sarebbero state prevedibili, aggiungendo che la non prevedibilità andrebbe intesa estensivamente se l’immobile locato e i suoi impianti sono nuovi, perchè da tale novità deriverebbe nel conduttore un legittimo affidamento sulla non necessità di interventi.

La doglianza si correla al quarto e al sesto motivo d’appello – che la corte territoriale ha ritenuto motivi identici, affermando poi che “buona parte” degli interventi erano di manutenzione ordinaria, e “di ciò ha dato conto la sentenza ricordando anche la tipologia” di essi -, ed è di evidente natura fattuale, perchè chiede al giudice di legittimità di determinare, secondo “alcune” delle fatture prodotte, se le opere effettuate sono di manutenzione straordinaria (soprattutto per imprevedibilità) oppure ordinaria. Quindi inammissibilmente si persegue la revisione in questa sede della valutazione di fatto operata dal giudice d’appello, logicamente attraverso le fatture, e senza incorrere in contrasto con l’insegnamento nomofilattico, non essendo certo sostenibile – come prospetta invece la ricorrente – che ogni intervento in un immobile nuovo sia straordinario per la novità dell’immobile. La presenza di vizi occulti in un immobile, anche se nuovo, produce, d’altronde, effetti giuridici diversi nell’ambito di un rapporto locatizio che lo ha per oggetto (art. 1578 c.c.), effetti che non sono stati in questa causa invocati.

3.4 Il sesto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo, cioè l’effettuazione di interventi di ripristino e sostituzione qualificabili come straordinaria manutenzione. Ciò “nell’ipotesi” che questo giudice ritenga che gli interventi di cui alle fatture e alle ricevute in atti non siano state esaminati dal giudice d’appello. Il motivo, non a caso presentato come “ipotetico” in quanto denuncia, è manifestamente infondato, visto quanto si è appena riportato in ordine alla motivazione del giudice d’appello sulla questione della pretesa manutenzione straordinaria e sulla documentazione relativa.

3.5 Il settimo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1577 e 2697 c.c. in ordine all’asserita mancata prova dell’urgenza degli interventi di ripristino e sostituzione sull’immobile.

Nel caso di specie l’urgenza di tali interventi sarebbe in re ipsa trattandosi di locazione per attività di residenza sanitaria assistita (RSA), e vista anche la convenzione con Azienda Usl n. (OMISSIS) di (OMISSIS) – nota a Senior – con cui la ricorrente si era obbligata al rispetto delle norme in materia; e “buona parte degli interventi” effettuati dalla ricorrente riguarderebbero il sistema antincendio e gli impianti sanitari e di smaltimento delle acque. La documentazione prodotta dimostrerebbe inoltre che “ad una eventuale preventiva richiesta” della ricorrente conduttrice la locatrice sarebbe rimasta inerte. Irrilevante sarebbe poi la mancata prova dell’avviso a Senior ex art. 1577 c.c., comma 2, perchè si tratterebbe di un immobile urbano ad uso abitativo.

Anche questo motivo si correla al quarto e al sesto motivo d’appello, e anche questo motivo chiede al giudice di legittimità una valutazione fattuale, cioè quella sull’esistenza o meno della prova dell’urgenza degli interventi, che la ricorrente cerca di sorreggere infatti con dati fattuali (il tipo di attività che avrebbe svolto nell’immobile e il suo rapporto con l’Azienda Usl). Evidentemente fattuale è pure l’argomento con cui il motivo tenta di confutare il rilievo del giudice d’appello a proposito dell’art. 1577 c.c. (pagina 5: “non vi è prova ex art. 1577 c.c. che si trattasse di riparazioni urgenti che il conduttore ha dovuto eseguire e di cui ha dato avviso al locatore”) sulla mancata richiesta alla locatrice disposta dal suo secondo comma, asserendo invero la ricorrente che dalla documentazione agli atti deriverebbe la prova che a fronte di una “eventuale” richiesta la locatrice sarebbe rimasta inerte.

Infondato risulta poi l’ulteriore argomento sulla non necessità della richiesta ex art. 1577 c.c., comma 2, perchè si sarebbe trattato di locazione ad uso abitativo, visto che proprio in questo motivo la stessa ricorrente riconosce che l’immobile sarebbe stato utilizzato per una sua attività di RSA, ovvero per un’attività imprenditoriale.

3.6 Un’appendice del settimo motivo si rinviene nell’ottavo, che è rubricato come omesso esame, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di fatto discusso e decisivo rappresentato dall’avvenuta stipulazione della convenzione tra la ricorrente e l’Azienda Usl n. (OMISSIS) di (OMISSIS), da cui deriverebbe l’urgenza in re ipsa degli interventi. A tacer d’altro, anche qualora tale convenzione dimostrasse l’urgenza, resterebbe insuperato l’omesso avviso alla locatrice ai sensi dell’art. 1577 c.c., comma 2, rilevato dalla corte territoriale.

3.7 Il nono motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamenta nullità della sentenza e/o del procedimento per omessa pronuncia sulla domanda ex art. 2041 c.c.che la ricorrente aveva presentato per i suoi interventi prima di entrare in possesso dell’immobile come domande in subordine rispetto a quella fondata sugli artt. 1592 e 1593 c.c.. La domanda ex art. 2041 c.c. potrebbe proporsi cumulativamente, e sarebbe fondata nel merito perchè gli interventi avvennero prima della presa in possesso e della stipula del contratto locatizio, per cui “parrebbe da escludere” che i lavori siano stati eseguiti per il futuro contratto, da ciò conseguendo il difetto di giusta causa per l’arricchimento. L’omessa pronuncia causerebbe poi nullità del procedimento.

Il motivo è inammissibile per difetto di insufficienza, non avendo indicato quali censure, a proposito dell’azione ex art. 2041 c.c., avrebbe nell’appello versato l’attuale ricorrente avverso la sentenza del Tribunale, del quale poi non indica neppure quale fu la statuizione al riguardo. Peraltro, la domanda di arricchimento non può in questo caso essere formulata in via subordinata per l’ipotesi di rigetto dell’azione contrattuale. La ricorrente infatti ha avanzato in tesi la domanda per il rimborso delle spese “preparatorie” ex art. 1592 c.c., e tale domanda è stata ritenuta infondata per difetto di prova del consenso del locatore. Ma l’azione di arricchimento senza causa è proponibile in via subordinata rispetto all’azione contrattuale proposta in via principale soltanto quando l’azione tipica abbia esito negativo per carenza ab origine dell’azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento, oppure qualora la domanda ordinaria, dopo essere stata proposta, non sia stata più coltivata (Cass. sez. 3, 2 agosto 2013 n. 18502), circostanze che, come si è appena evidenziato, nel caso di specie non ricorrono.

3.8 Il decimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Si lamenta che il giudice d’appello ha compensato le spese dei due gradi di merito solo nella misura di un nono e condannato la ricorrente a rifondere gli altri otto noni a controparte, pur essendo stati riconosciuti “vizi particolarmente gravi” nella prima sentenza, che riconobbe un giudicato inesistente e omise di esaminare la domanda di restituzione del finanziamento, per cui, “a tutto voler concedere”, vi starebbero stati i presupposti per una compensazione totale.

Il motivo è palesemente infondato, dato che la decisione sulle spese deve valutare l’esito complessivo della lite, e, quando il giudice d’appello ha provveduto sulle spese, l’appello aveva in effetti sostanzialmente confermato la prima sentenza, poichè l’unica riforma è consistita nella revoca del decreto ingiuntivo per condannare l’appellante a pagare a controparte, in sostituzione della somma ingiunta di Euro 251.816,94, la – ben poco diminuita – somma di Euro 250.901,75: in rapporto a tale esito, allora, ben potrebbe addirittura sostenersi che anche la compensazione di un nono delle spese di entrambi gradi sia stata concessa in una misura eccessivamente favorevole ad Astir.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato – non essendovi quindi luogo per la richiesta decisione nel merito di condanna della controricorrente in conformità delle domande riconvenzionali di Astir -, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 15.000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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