Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14299 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. II, 15/06/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 15/06/2010), n.14299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso per revocazione proposto da:

A.F.E., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Bruno Mecali, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Pier Giorgio Manca in Roma,

via Ruggero Fauro, n. 86;

– ricorrente –

contro

I.F. ved. F., F.A. e F.

R., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a

margine del controricorso, dall’Avv. Massimo Morelli, elettivamente

domiciliati nel suo studio in Roma, via Paolo Emilio, n. 26;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di cassazione, Sezione 2^ civile, n.

438 del 12 gennaio 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto;

sentito l’Avv. Morelli Massimo;

sentito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale

dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso: “confermo la relazione”.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 24 febbraio 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: ” A.F.E., con atto notificato il 6 aprile 2009, ha proposto ricorso per revocazione avverso la sentenza della 2^ Sezione civile della Corte di cassazione 12 gennaio 2009, n. 438, con la quale era stato rigettato il ricorso dal medesimo proposto avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3321 del 19 luglio 2005.

Hanno resistito, con controricorso, I.F. ved.

F., F.A. e F.R.. L’unico, complesso motivo di ricorso è inammissibile perchè non contiene una sintesi conclusiva recante l’indicazione specifica, chiara ed immediatamente intelleggibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e l’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c..

Non risulta, di conseguenza., rispettato quanto prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis c.p.c., applicabile – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 26022) – anche al ricorso per revocazione.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Lette le memorie di entrambe le parti.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che deve ribadirsi che l’art. 366-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, è applicabile anche al ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. contro le sentenze della Corte di cassazione (pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del detto D.Lgs.), atteso che detta norma è da ritenere oggetto di rinvio da parte della previsione dell’art. 391-bis c.p.c., comma 1, là dove dispone che la revocazione è chiesta “con ricorso ai sensi degli artt. 365 e seg.”; la formulazione del motivo deve, pertanto, risolversi nell’indicazione specifica, chiara ed immediatamente intelligibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c.;

che, diversamente da quanto mostra di opinare; il ricorrente, allorchè si lamenti un vizio revocatorio, l’onere di indicare chiaramente il fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e di esporre le ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c., imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso;

che, in altri termini, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis c.p.c. – che il motivo stesso concerne un fatto revocatorio;

che è irrilevante l’integrazione ai motivi prospettata con la memoria, poichè la sanzione dell’inammissibilità è prevista dall’art. 366-bis c.p.c. quale conseguenza dell’omessa formulazione dei quesiti e/o dell’omessa articolazione di un momento di sintesi, onde un’integrazione tardiva del ricorso, effettuata nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3, risulta comunque priva d’effetti sananti, giacchè la causa di inammissibilità opera ab origine;

che, in ogni caso, la censura articolata con il primo motivo non coglie il senso della decisione: essendosi denunziata omessa pronunzia su di una censura svolta con l’appello, poichè questa non risultava dalla sentenza impugnata, doveva il ricorrente riprodurne testualmente il contenuto nel motivo di ricorso (Cass., Sez. 2, 19 marzo 2007, n. 6361) e, ciò non avendo fatto, il motivo era, appunto, inammissibile;

che anche la censura prospettata con il secondo motivo non coglie nel segno: poichè dalla sentenza impugnata non risultava che la questione avesse formato oggetto d’appello, il ricorrente, per evitare l’adottata pronuncia di inammissibilità, avrebbe dovuto preliminarmente impugnare la sentenza per omessa pronunzia sul punto e dimostrare, riportandone testualmente il contenuto, l’avvenuta sua proposizione nel giudizio a quo;

che, pertanto, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti in solido, che liquida in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 5.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

 

 

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